Lunedì, 07 Ottobre 2024

Backstage: Mozart e il suo Requiem - Quinta parte - di Francesco Zicari

Aggiunto il 23 Giugno, 2012

Da Mozart al romanticismo, il passo rimane lungo là dove egli s'abbandona con più accoramento al dolore. Il «patetico» mozartiano sottostà sempre alla misura espressiva ed alla padronanza delle proprie emozioni che s'addicono ad uno spirito ellenico, adoratore della simmetria e della bella forma; un'aura di attica serenità accoglie, avvolge ed attenua ogni accento sospiroso. Manca a Mozart, tanto nella vita quanto nell'arte, quella propensione ad insistere sulla propria sofferenza, che è propria dei romantici. Spirito arrendevole e fiducioso, fondamentalmente ottimista, amabilmente ironico verso sé e verso gli altri, negato alle tempeste della tragedia, ha ancora la lacrima tremolante sul ciglio, e già ritorna a sorridere. (Clemente Fusero, scrittore)

Infaticabile assimilatore di tutte le mode e maniere musicali del suo tempo, da Boccherini a Joahnn Cristian Bach a Haydn, per non parlare di compositori assai minori ai quali largamente attinge, Mozart, come Bach, trasforma a sua immagine e somiglianza tutta la materia musicale con la quale viene a contatto in una sintesi di meravigliosa originalità. (Gianfranco Maselli, musicologo)

I Propilei

Il grande affresco di stili che Mozart concepisce in questo suo ultimo lavoro è magistralmente sintetizzato nei primi monumentali due numeri di apertura, ossia il Requiem Aeternam e il Kyrie. Possiamo, come abbiamo già visto, ravvisare almeno due "strati" di influenza sin già dalle prime note del capolavoro mozartiano. Con la sua apertura in crome staccate, sincopate e singhiozzanti, e l'entrata dolente e cupa degli unici legni presenti in partitura (ovvero la catacombale accoppiata tra fagotti e corni di bassetto) Mozart rievoca lo stesso scenario agghiacciante e desolato del Requiem di Michael Haydn, ma pure, proiettandosi più indietro, cita senza tanto mistero "The Ways of Zion do Mourn" dalle musiche funebri per la regina Carolina di Handel (HWV 264). L'ingresso ritardato delprimo corno di bassetto non solo imprime un colore livido e terribilmente moderno all'intera atmosfera che piano piano si va schiudendo, ma genera alla terza battuta una triade eccedente (ossia un particolare accordo molto dissonante) che si ricostituirà più volte nelle battute successive costruendo una sorta di fugato cromatico insolitamente aspro di sconvolgente suggestione. Come se, per intenderci, Bach incontrasse Wagner. Il coro, al suo ingresso, riprende le mosse di questa sublime apertura in un intreccio di preghiere che sembrano sgorgare da più punti dello spazio per convergere al nodo dell' "et lux perpetua", scandito all'unisono e recitato sull'incipit di una melodia gregoriana, cui segue una figurazione discendente dei violini di chiara derivazione bachiana. Al rischiararsi della tenebra segue una inattesa sortita del soprano, che intonerà una melodia tropica tratta dal Salmo 114 "In exitu Israel de Aegypto" a mo' di "canto fermo", sotto il quale germoglierà un soave contrappunto strumentale di figurazioni ancora discendenti. Ancora una volta il moderno (la dolce sortita "all'italiana" del solista) si fonde con l'antico (la stessa melodia gregoriana che Mozart utilizzò nell'oratorio La Betulla Liberata, nella Musica Funebre Massonica e che lo stesso Haydn utilizzò nel suo requiem). L'orchestra (in questa primissima parte tutta di pugno mozartiano) è perennemente in bilico tra le suggestioni atmosferiche del "Te decet Hymnus" e le tradizionali antifone barocche di violini e viole che corredano il successivo "Exaudi", tra la consolatoria carezza di scale discendenti (figurazione ricorrentissima in tutta la partitura, qualcosa che chiameremmo "elemento rassicurante") del primo episodio, e lo slancio ansioso colmo di speranza e al contempo di sofferenza del secondo (che potremmo chiamare "elemento tensiogenico"). Sarà il contrasto tra tensione e consolazione a reggere in un equilibrio miracoloso tutto l'intero lavoro.

La grande fuga del Kyrieche segue è un altro esempio di studiato contrasto tra elementi contigui e interni ad essa stessa. L'assertivo e serioso tema principale sembra direttamente pescato dalla fuga che chiude il quartetto op.20 di Joseph Haydn (quartetti che Mozart aveva studiato a fondo e amato a lungo) ma anche qui, ad una attenta analisi, ritroviamo nell'arcaico salto di settima diminuita l'eco delle grandi fughe handeliane (sia ascolti “And with his stripes” dal Messia) e bachiane (vedi la cantata funebre BWV 106). Ancora una volta questa incalzante preghiera a Dio è rappresentata da una suggestione del passato. Prima che il soggetto si sia dispiegato interamente però, Mozart vi contrappone per contrasto un convulso controsoggetto che in realtà è un vero secondo soggetto indipendente (sulle parole Christe eleison) che attraverso i suoi gorgheggi serrati e ascendenti crea una spinta opposta ed un effetto emotivamente propulsivo. I due soggetti, uno quadrato e ieratico, piegato verso il basso in senso rispettosamente rassegnato (Kyrie eleison), l'altro ansante e frastagliato, proiettato verso l'alto (Christe eleison) sono l'ennesima espressione della dicotomia centripeta-centrifuga che abbiamo già incontrato, e paiono rappresentare il diverso atteggiamento dell'uomo rispetto all'invocazione verso la divinità e verso la figura del Cristo, verso il quale è quasi più lecito provare un pudore minore delle proprie paure, liberando un pianto accorato di intercessione che sfiora la disperazione, quasi che lui - uomo fra gli uomini - parlasse il nostro linguaggio di passioni e di debolezze (vedremo come proprio l'Agnus dei sarà elemento centrale di tutto il discorso del mozart sacro). Anche in questo caso il clichè barocco diventa oro colato, risultando solo un mezzo funzionale al messaggio. La doppia fuga così articolata non ammette schiarite, non una modulazione ai toni maggiori (appena sfiorati) non una diversificazione tematica (l'introduzione dei cosidetti "divertimenti"), è una sorta ditreno implacabile che dapprima viaggia sui binari di un alienante diatonismo, poi si comprime in maniera drammatica e insostenibile nel gorgo di un fremente cromatismo. Il climax generato da questa "ansia del perdono" si schianta in fermata su d'un accordo di settima diminuita, per risolversi poche note più avanti su un interlocutorio accordo di quinta "vuota" (ovvero nè maggiore nè minore) che lascia il discorso in bilico tra terrore e speranza (un po' come farà Beethoven con la celebre apertura della sua ultima sinfonia).

Un affresco incompiuto

La Sequentia si avvia in maniera impressionante. Come se fossero numeri di un melodramma, le parti si susseguono - ancora - per contrasti, che procedendo diacronicamente con attitudine narrativa, tendono a farsi via via più accentuati. La furia e la severità del giudice supremo (rappresentato nei numeri dispari: Dies Irae, Rex, Confutatis) si contrappone alla speranza misera, implorante ma al contempo fiduciosa dell'uomo (Tuba mirum, Recordare, Lacrimosa), in una dualità terreno-ultraterreno che adesso pare esplicitarsi in tutta la sua crudezza. E' crudo Mozart, giammai violento in senso edonisticamente romantico. Il suo essere "esplicito" rimane sempre contestuale all'estetica in cui si muove. E quindi l'esplosione all'unisono del Dies Irae, con tromboni e timpani roboanti e sfuriate degli archi "in tremolo", suona modernissima ma rimane barocca nella sua austerità e nella scrittura stessa delle parti. Basta notare la sola parte dei primi violini, con i suoi guizzi geometrici taglienti, oppure l'effetto di "terremoto" dei bassi provocato da una magmatica salita cromatica (fa, fa#, sol, ecc. sulle parole Quantus tremor est futurus) tipico artificio del primo '700 (Bach ad esempio lo usò proprio nella morte di Cristo, nel momento in cui trema la terra, nella sua Passione di S.Matteo). Il seguente Tuba Mirum riprende invece la struttura dell' "aria con strumento obbligato", sfoggiando in aperturaun placido assolo di trombone. L'effetto è spiazzante, solenne ed al contempo rasserenante. La voce di basso che ne riprende la melodia appare come una figura sacerdotale (ricordate Sarastro?) oseremmo dire profetica; racconta il risveglio dei morti al suono della tromba, appunto, finchè il clima non è turbato dall'ingresso successivo degli altri solisti. L'esclamazione ex-abrupto del soprano sulle parole "E allora che dirò, misero, io?" è il punto culminante e poeticamente più intimo di questo numero, uno straniamento "microscopico" che si contrappone alla macroscopia magniloquenza dell'incipit e del successivo Rex tremendae majestatis. Stiamo di nuovo parlando di Dio, che come abbiamo visto si esprime sempre attraverso un arcaismo stilistico fortemente simbolico. Ancora invocazioni all'unisono del coro (tre, come la sacra trinità), un ritmo rigidamente puntato in classico stile handeliano, un serrato canone triplo (ancora la trinità) dall'aroma ancestrale, la grandezza di Dio è sempre più granitica, l'invocazione ormai fragile come un cristallo (salva me, fons pietatis). Notiamo quindi che, ancor di più nella Sequentia, non solo v'è un contrasto tra i vari numeri, ma pure all'interno dei numeri stessi. Un "principio implorante" che affonda le radici nella forma-sonata bitematica, nella dialettica dell'opera lirica e, filosoficamente, nella dimensione dell'iconografia religiosa.

Qualche critico ha fatto notare come il canone, inteso come forma polifonica, rappresenti nel Requiem "il canone" inteso come legge divina. E' interessante a questo punto notare come una stessa forma pescata dal passato sia funzionale a due diversi contesti che esprimono, da due punti di vista diversi, lo stesso concetto di legge suprema. Il Recordare è uno dei momenti più toccanti della messa, e forse di tutta la produzione mozartiana. Di nuovo una finissima e carezzevole introduzione di figurazioni discendenti preannucia un messaggio ottimista, di nuovo (comenell'Introitus) la polifonia si fonde ora con un'espressività del tutto soggettiva ed, ancora, melodrammaticamente cangiante. Sotto le setose vesti barocche, ogni terzina del testo è musicata per ricreare una atmosfera, ora l'affanno del sacrificio del Cristo sulla croce (Quaerens me) ora lo sciogliersi della supplica (Ingemisco), fino a veri e propri cinematografici effetti "proustiani" di riminiscenza (il brivido sulle parole "che io non arda nel fuoco perenne"). Man mano che si va avanti si ha l'impressione che, come in un viaggio dantesco, Mozart entri sempre più nell'intimo delle proprie sensazioni, contaminando di pari passo il linguaggio neutro del barocco con il suo pugno appassionatamente modernista. Se nel Rex echeggia ancora Handel, nel Recordare è W.F.Bach, con le sue ardite orchestrazioni e i suoi patetici cromatismi ad essere rievocato (si ascolti la sua sinfonia - non a caso - in re minore). Fino ad arrivare al Confutatis, citazione anfossiana ma pure volo pindarico in un futuro non ancora scritto. Il fiammeggiante ostinato dei violini che accompagna bassi e baritoni parrebbe saccheggiato da Verdi, se questo non fosse ancora di lì a venire, così come le pittoriche progressioni armoniche del tema preannunciano il cromatismo wagneriano più vibrante. Anche il contrasto interno tra gli elementi si fà esasperato. Al caotico galoppare delle voci maschili (le voci dei maledetti), segue la supplica più efebica e trascendente che si possa immaginare. Se non fosse un termine improprio potremmo definire "minimalista" la scrittura del "Salva me", due note intonate dalle voci femminili, ricamate semplicemente da un arpeggio e da una scala maggiore/minore. Siamo di fronte ad un dualismo ormai sinestetico: all'inferno ipertrofico di fiamme scoppiettanti si contrappone la speranza di un paradiso scarno inondato di una luce immobile e pervasiva; sembra che Mozart, in questo caso, voglia andare oltre la musica sottraendosi alla musica stessa. Quel che seguirà questovertice espressivo/poetico/concettuale sarà così complicato da sviluppare che lo stesso Mozart si serberà di lavorarci successivamente. Non farà in tempo, e da quì il nostro racconto, come il suo, prenderà una piega diversa
Francesco Zicari (Triboulet)

Categoria: Backstage

 

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