Lunedì, 07 Ottobre 2024

Backstage: Mozart e il suo Requiem - Quarta parte - di Francesco Zicari

Aggiunto il 31 Maggio, 2012

"Adesso la questione è solo: dove posso avere più speranza di emergere? forse in Italia, dove solo a Napoli ci sono sicuramente 300 Maestri [...] o a Parigi, dove circa due o tre persone scrivono per il teatro e gli altri compositori si possono contare sulle punte delle dita? [...] già i miei nemici dicono che io voglio correggere l'opera di Anfossi" (W.A. Mozart 1778)

“Constanze non vuol sentir altro che quel tipo di musiche, e in particolare fughe di Händel e Bach. – Avendomi sentito che ne improvvisavo mi ha chiesto se ne avessi già scritta qualcuna, e poiché le ho risposto di no m’ha rimproverato perché avevo lasciato da parte quanto di più bello e artistico c’è nella musica” (W.A. Mozart 1782).

Per cercare di comprendere l'origine di quella sensazione di "senza tempo" che ci provoca un'opera come il Requiem dobbiamo forse premettere una riflessione. Cominciamo col puntualizzare che quando dico "senza tempo" non intendo genericamente lo stato per cui un certo componimento di qualsivoglia natura assurge al rango di "classico", bensì più letteralmente il configurarsi di una commistione di stili di tale varietà da renderlo, alla prima fruizione, quasi storicamente incollocabile. La musica sacra del '700-'800 ha una caratteristica peculiare in questo senso: laddove nell'opera, nella sinfonia, nella produzione solistica ad un'evoluzione corrispondeva in qualche misura il superamento di un vecchio stilema, nella musica sacra si ha una sorta di sedimentazione dei vari processi compositivi, a tal punto che, come in un fossile, si possono distinguere in sezione le varie stratificazioni delle varie ere, che in questo caso vanno dal canto piano del XVI secolo, passando attraverso la polifonia rinascimentale, fino alle moderne istanze dello stile "romantico". A questa sedimentazione si aggiunge il fenomeno della contaminazione. E', come già accennato altrove, in particolare nel '700 che il linguaggio chiesastico si arricchisce pure sempre piùdi elementi "profani", come le dinamiche della forma-sonata, la drammaturgia dell'opera lirica, la ricercatezza timbrica della letteratura sinfonica. Va da sè che nel percorso poliedrico di un compositore come Mozart tanto più si va avanti quanto più le esperienze nei vari ambiti musicali si ritrovano a confluire nella produzione sacra in una sorta di sincretismo stilistico di stupefacente ricchezza. A questo si aggiungano ancora tutte le influenze esterne che derivano naturalmente dallo studio di altri compositori. Le influenze principali che Mozart ha negli anni assorbito si possono sintetizzare così: influenze della contemporaneità tedesche (M. e J. Haydn, i figli di J.S.Bach, per citare i principali) e italiane (Anfossi, Salieri, la scuola napoletana), e influenze del passato tedesche (Handel e lo stesso J.S.Bach) e italiane (Scarlatti, Marcello, Pergolesi ecc.).

Parlando italiano

Se, come abbiamo già visto, l'incontro con la vecchia scuola italiana aveva influenzato in maniera forse poco evidente ma determinante (nel senso della "modernità") lo stile del giovanissimo Mozart, lo scontro con lo stile italiano del suo tempo fu, questa volta senza mezzi termini, uno dei passaggi chiave nello sviluppo dello stile del musicista. Mozart, come abbiamo letto dalle sue stesse parole, riteneva gli italiani impareggiabili nell'arte musicale e specie nel teatro, tant'è che, con un certo disappunto, lui stesso ricorda come i suoi detrattori lo additassero come un epigono dell'Anfossi, da lui definito altrove "il cognito Napolitano". La ricchezza armonica e al contempo la leggerezza delle melodie, la ricerca dell'effetto, la grande potenza drammatica, l'uso vertiginoso del contrappunto e le mirabili fioriture solistiche dello stile tardo-galante furono tanto criticate quanto imitate da un Mozart tanto polemico e (giustamente) presuntuoso quanto desideroso di apprendere qualsiasi novità galleggiasse nell'aria. E l'atteggiamento "teatrale" saràla caratteristica di molta sua musica, si pensi soltanto allo svolgimento in senso fortemente dialogico-narrativo-immaginifico dei suoi concerti per piano. Lo stile italiano sarà in particolare un continuo riferimento per il compositore specie nelle opere vocali, basti pensare che la cosiddetta trilogia dapontiana altro non è che il remake di opere di Paisiello (Il Barbiere di Siviglia), Gazzaniga (Don Giovanni), Salieri (Grotta di Trofonio), tutti titoli che all'epoca ebbero grande successo. Ma proprio Anfossi, prima ancora dei suddetti, rappresentò per il giovane Mozart il primo riferimento per la "musica da teatro", collocandosi stilisticamente a metà tra la grande tradizione napoletana (Jommelli, Traetta, Sarti ecc.) e le moderne istanze drammaturgiche della riforma gluckiana. La sua Finta Giardiniera, una delle opere-svolta nella carriera del musicista, era praticamente costruita su modello dell'omonimo titolo di Anfossi, dal quale Mozart saccheggiò lo scheletro, lo stile melodico, gli andamenti ritmici e persino la struttura bipartita dell'aria solistica. Il suo unico oratorio, La Betulla liberata, utilizzava lo stesso soggetto dell'omonimo titolo anfossiano. Ancora, le arie K.418-9 e K.541 furono scritte per alcune riprese a Vienna di opere di Anfossi ma, quel che colpisce ancor di più, è che ritroviamo temi di Anfossi sino nelle ultime, seppur minori, composizioni mozartiane (come la contraddanza K.607 e l'aria K.612) datate 1791 e quindi coeve al requiem in questione. Solo uno sprovveduto a questo punto potrà dare credito ad un articolo apparso qualche anno fa su tutti i giornali che accusava Mozart di "plagio" (concetto peraltro estraneo alla cultura settecentesca) di un tema di una sinfonia di Anfossi utilizzato come tema principale del Confutatis. Il saccheggio, date tutte queste premesse, non deve stupire affatto, tanto più che in quel numero più che in altri si sceglie uno stile marcatamente teatrale, si potrebbe dire proto-romantico. Come si sposa aquesto punto tanta modernità con l'alto tasso polifonico presente nella partitura?

Parlando tedesco

"Ogni domenica mi reco dal barone von Swieten e là non si suona altro che Handel e Bach. Mi sto facendo appunto una collezione di fughe di Bach, sia di Sebastian che di Emanuel e Friedemann. E poi anche delle fughe di Handel." (Mozart, 1782). Il barone von Swieten era un personaggio assai singolare. Diplomatico dell'amministrazione asburgica, oltre che grande uomo di cultura, aveva per lavoro viaggiato molto, avendo per anni rivestito il ruolo di ambasciatore. A Berlino in particolare, Federico il Grande lo aveva messo in contatto con la musica di Bach, ricordandogli di come l'Offerta musicale fu proprio scritta in onore del sovrano prussiano. Evidentemente il barone si innamorò di quella musica, che egli stesso definiva "modello di verità e di grandezza", e tornando a Vienna si portò appresso diverse opere di Bach, alcune già edite, altre addiritture in copia manoscritta, a beneficio della stretta cerchia di musicisti che frequentava le sue "riunioni domenicali", ovvero vere e proprie sedute-studio dell'antica arte polifonica tedesca. Oltre al Bach "padre", Mozart (che già aveva familiarità con Johann Christian) ha la possibilità di venire in contatto con la musica di Carl Philip Emanuel e soprattutto di Wilhelm Friedemann, musicista irrequieto e visionario, grande virtuoso della tastiera e ardito sperimentatore con cui, probabilmente, lo stesso Mozart trovava delle affinità e del quale subì il fascino di certe suggestioni a limite tra il barocco e uno stile che già più non poteva definirsi galante. E poi ovviamente c'era la grande musica corale handeliana, che riassumeva in chiave "artistica" quello che il giovane Wolfgang aveva imparato dai polverosi trattati di Fux. E' in questo periodo che Mozart si lancia con non poco entusiasmo nello studio dell'antica arte del contrappunto rigoroso, dapprima con una serie di trascrizioni per archida J.S. e W.F.Bach e riarrangiamenti di alcuni grandi oratori di Handel (come Il Messia), poi con piccoli pezzi originali (il Preludio e Fuga K.394, la Suite K.399 e la Fantasia - guarda caso in re minore - K.397) fino a introdurre il contrappunto come ingrediente fondamentale in tutte le sue composizioni più importanti da lì in avanti (quartetti, sonate, sinfonie, opere liriche). La polifonia si infiltrerà nella musica mozartiana con un'operazione che più che archeologica potremmo definire post-modernista. L'uso del contrappunto nelle ultime opere sacre mozartiane è, in particolare, assolutamente peculiare. La polifonia sacra assume un forte connotato simbolico, rappresentando in musica quanto di più "divino" si possa concepire, una sorta di catarsi estetica che si fa portatrice di una rigenerazione spirituale. Quando Mozart parla di metafisica, riferendosi a Dio (Rex tremendae, Quam olim) o rivolgendosi a Dio (Requiem aeternam, Kyrie), lo fa in maniera metastorica, paludandosi di tradizione. In particolare vedremo come Mozart utilizzerà nel Requiem più che altrove l'avvicendarsi di una polifonia arcaica e serratissima, di uno stile monodico antico, di uno stile drammatico da teatro d'opera in maniera assolutamente funzionale ai diversi momenti della partitura. Ma questo avvicendarsi e mischiarsi della storia musicale non ha solo ragioni storiche o di ricerca stilistica; con esso pare infatti concretizzarsi una precisa ricerca poetica.

L'estetica dei contrasti

Ciò che rende così eccitante la musica di Mozart sono, volendo semplificare al massimo, le "collisioni". Collisioni di linguaggi, collisioni estetiche, collisioni timbriche, collisioni agogiche e dinamiche. Il contrasto, che sia creato per contrapposizione, giustapposizione o sovrapposizione di temi o elementi, è paradossalmente l'anima della musica di uno dei compositori da sempre considerati emblema di un perfetto e pacato equilibrio apollineo. C'è da dire che l'appiattimentoideologico, e conseguentemente interpretativo, della musica mozartiana nel senso di una femminea purezza "rococò" è un frutto (marcio) della storia moderna, probabilmente dovuto ad una schematizzazione semplicistica maturata a posteriori: Bach il nume tutelare della musica di Dio, Haydn il papà della forma classica, Mozart il fanciullo prodigio dalle note perfette, Beethoven il tormentato rivoluzionario pre-romantico, Schubert il sofferente introverso e via discorrendo. Ma all'epoca non era certo questa la percezione che si aveva della musica mozartiana. Ad esempio, il grande filosofo e musicologo di Zurigo, Hans Georg Nägeli nel 1826 dice: "Mozart aveva un debole per contrasti esagerati, tra gli autori più illustri era il quello maggiormente privo di "stile", era sia pastore che guerriero, sia lusinghiero che violento; dolci melodie spesso si alternano a una serie di suoni taglienti e incisivi, la grazia del movimento con il fuoco. Il suo genio è stato grande, ma la sua mancanza di genio è stata più grande, giacchè questo modo di operare non artistico, nel momento in cui qualcosa dovrebbe acquisire il suo effetto solo attraverso il suo opposto. Questo disturbo stilistico sembra essere presente molte volte in molte delle sue opere." Nägeli, che non poteva o non riusciva a cogliere la modernità di quel procedimento, lo additava addirittura come espediente per mascherare una presunta mancanza di "genio". Ed effettivamente nella musica di Mozart c'è tutto quello che il filosofo svizzero percepiva, c'è il pastore e c'è il guerriero, e l'uno non esclude la presenza dell'altro, anzi ne amplifica il senso di verità. Questo perchè, fondamentalmente, Mozart descrive l'uomo, e per ottenere una visione realistica della molteplicità delle sue sfaccettature sfaccetta la sua musica come un prisma riflettente. Mai come in un autore "cubista" come Mozart la monodimensionalità data dall'idea di "buono" e "cattivo", di "allegro" e di "triste", di "tutto forte" e di "tutto piano" èstata ed è fuorviante. Nell'idea spaziale e dinamica di universo mozartiano c'è posto (simultaneamente) per ogni sentimento umano, espresso e caratterizzato ma mai "giudicato". Mozart si limita a raccontare, in maniera onesta, talvolta fragile, talvolta sconveniente, la bellezza e la debolezza dell'uomo, e in un certo senso questo riflette la profonda tolleranza che animava la sua dimensione spirituale-sociale, della quale si è già detto. Il Requiem in particolare, col suo coacervo di contrasti stilistici, il suo accumulo di sentimenti contrastanti, la sua vibrante e drammatica esteriorità, è l'emblema di un uomo che, parlando di se stesso, parla dell'uomo stesso. E forse questo il motivo per cui Mozart riesce a toccare profondamente l'animo tanto del credente quanto dell'ateo: nella sua musica chiunque riconosce la dialettica delle proprie contraddizioni e, forse, ne ritrova incosciamente una legittimazione; all'uomo così viene offerta l'opportunità di una speranza, la possibilità di un equilibrio interiore, con il prossimo, con il cosmo, con l'ultraterreno
Francesco Zicari (Triboulet)

Categoria: Backstage

 

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