Lunedì, 07 Ottobre 2024

Backstage: Francesca di Foix - di Annalisa Lo Piccolo

Aggiunto il 03 Ottobre, 2011

UNA FORTUNA ASSAI EFFIMERA
«Francesca di Foix», dramma giocoso in un atto di Gaetano Donizetti 1797-1848) su libretto di Domenico Gilardoni (1798-1831), vide il suo esordio il 30 maggio 1831 sul palcoscenico del Teatro San Carlo di Napoli. All'epoca, tale sede accoglieva quasi esclusivamente opere serie, con qualche eccezionale concessione al genere buffo e sentimentale, alla commedia ed alla farsa vernacolare. Eppure, data l'importanza dell'evento, il San Carlo risultava la sede più approppriata: l'opera fu composta in occasione di una serata di gala, per festeggiare l'onomastico del sovrano Ferdinando II di Borbone.
Antonio Tamburini (1800-1876), storico interprete rossiniano e poi donizettiano, rivestì i panni del Re di Francia. Luigia Boccabadati (1800-1850) impersonò l'eroina eponima, la Contessa Francesca; Marietta Gioja Tamburini il musico Edmondo, Giovanni Campagnoli il marito Conte e Lorenzo Bonfigli ricoprì il ruolo comprimario del Duca. Stando alle testimonianze coeve, la fortuna di quest'atto unico si concluse sul nascere, restando circostanziata a quest'unica rappresentazione. In età contemporanea, l'opera è stata rappresentata nel marzo 1982, in occasione del Camden Festival presso il Collegiate Theatre di Londra. Sul palcoscenico, Gillian Sullivan nel ruolo della Contessa, Lynne Smythe in quello del Re, Donald Maxwell ad impersonare il Duca, sotto la direzione di David Parry. Della recita esiste una registrazione dal vivo, pubblicata da Charles Handelman Live Opera. Nel 2005, la casa discografica Opera Rara ha pubblicata una registrazione in studio di «Francesca di Foix», con Annick Massis, Pietro Spagnoli, Jennifer Larmore ed Alfonso Antoniozzi, accompagnati dalla London Philarmonic Orchestra diretta da Antonello Allemandi.


L'APPRENDISTATO NAPOLETANO DI DONIZETTI
Scorrendo l'epistolario di Donizetti, si resta indubbiamente colpiti dalla reticenza manifestata nei confronti di quest'opera; scarsaconsiderazione quantomai anomala, data la precisione e la dovizia di particolari con cui il compositore informava il proprio interlocutore, relativamente alla gestazione, all'allestimento, al successo dei propri lavori. Nel 1831 Donizetti era contrattualmente legato a Domenico Barbaja (1778-1841), impresario e faccendiere dei teatri napoletani. Tale sodalizio durava dal 1822, quando il giovane compositore aveva debuttato, nel mese di maggio, al Teatro Nuovo con «La zingara», opera semiseria in due atti. Gli anni napoletano hanno rappresentato, nella carriera del compositore, una parentesi assai feconda, caratterizzata da una proverbiale facilità di scrittura che seppe tener testa alle richieste dell'esigente impresario. Un florido apprendistato, che aveva portato alla nascita di venticinque titoli operistici fino al 1830.
La scarsa attenzione rivolta a «Francesca di Foix», come pure a «La romanziera e l'uomo nero» (18 giugno 1831, Teatro del Fondo) di appena un mese successiva, si può interpretare come la volontà, da parte del compositore, di porre fine al proprio impegno napoletano con il minore sforzo possibile. Il grande successi di «Anna Bolena» - rappresentata al Teatro Carcano di Milano nel dicembre 1830 – costituì una chiave di volta nel percorso compositivo di Donizetti. L'approccio al “melodramma Romantico”, ove la morte è portata in scena come emblema della catarsi dalla sofferenza, fu in grado di aprire al compositore le porte dei grandi teatri in Italia ed all'estero. L'abbandono di un rapporto così esclusivo e vincolante col Barbaja, aprendogli la possibilità di accettare altre scritture al di fuori di Napoli, si presentava a Donizetti come un'ottima opportunità di migliorare la propria condizione non solo pecuniaria, ma anche sociale; sintomo di consapevolezza del proprio valore, ora che il nuovo melodramma donizettiano conquistava orizzonti europei.

«Francesca di Foix», seppur opera di fortuna effimera, costituì una miniera dimateriale musicale alla quale il compositore ha attinto per partiture posteriori, come «L'elisir d'amore» (12 maggio 1832, Teatro della Canobbiana di Milano), «Ugo, conte di Parigi» (13 marzo 1832, Teatro alla Scala), «Gabriella di Vergy» nella versione del 1838. Tale espediente si inquadra nella pratica del “nomadismo” in voga all'epoca: la prassi consolidata di trasferire da un'opera all'altra interi numeri musicali afferenti a situazioni analoghe, in un epoca ancora lontana dal consolidamento dell'opera di repertorio.

QUESTIONI DI GENERE
Donizetti qualifica la propria «Francesca di Foix» quale “melodramma giocoso in un atto”: tale dicitura fa ricondurre l'opera alla categoria della farsa in un atto, che godeva di grande diffusione nei primi decenni dell'Ottocento. È un genere dalle origini alquanto remote; nel Settecento il termine qualificava opere miste di parlato e canto, un calco delle “comédie melée d'ariettes” in voga all'epoca. Successivamente si venne ad intendere brevi opere interamente musicate, in un unico atto, che costituivano il repertorio di alcuni teatri veneziani di second'ordine, negli anni tra il 1794 ed il 1818, con punte massime di diffusione tra il 1800 ed il 1813. Oltre che un fertilissimo terreno di sperimentazione per le innovazioni che avrebbero influenzato anche i generi più nobili, la farsa si mostrò un ideale veicolo per l'importazione di tematiche e soggetti dal teatro francese contemporaneo, che tanta importanza avrebbero avuto per l'evoluzione dell'opera seria in Italia. Il suo ruolo ideale di versatile spazio sperimentale favorì anche la commistione dei generi, che avrà grande fortuna: la farsa, quindi, si propone quale banco di prova per novità formali e stilistiche destinate ad un avvenire illustre. Per citare alcuni nomi, tra i compositori di farse troviamo figure già avviate ad una fortunata carriera, come Johann Simon Mayr (1763-1845) e Ferdinando Paër (1771-1839), o da poco affacciatesi ad un futuropromettente, come Rossini e, appunto, Donizetti. Prima di «Francesca di Foix», il compositore bergamasco aveva offerti alcuni esempi di farsa negli anni napoletani: «Una follia» (17 dicembre 1818, Teatro San Luca di Venezia), «La lettera anonima» (giugno 1822, Teatro del Fondo), «I pazzi per progetto» (7 febbraio 1830, Teatro del Fondo).
William Ashbrook definisce «Francesca di Foix» quale “dramma semiserio”; effettivamente l'ambientazione cortigiana, il numero esiguo dei personaggi convolti e le loro tipologie vocali, il felice accostamento di caratteri comici e sentimentali sono compatibili con gli estremi di identificazione del genere semiserio, che vede il proprio rappresentante più illustre ne «La gazza ladra» (31 maggio 1817, Teatro alla Scala) di Rossini. Nell'atto unico in esame, caratteristica è la presenza del basso buffo, il Conte, figura topica del marito geloso e gabbato. La primadonna, Francesca, è ovviamente soprano, e tenore è il Duca, personaggio alquanto marginale; il Re è baritono. Da rilevare, infine, la figura del Paggio musichetto, impersonato “en travesti” da un mezzosoprano; nella sua aria “È una giovane straniera” sono presenti interessanti reminescenze della canzone popolare napoletana.
Indiscutibile maestro del dramma semiserio era stato Mayr, presso il quale Donizetti aveva studiato a Bergamo e cui era legato da un rapporto di grande stima ed affetto quasi filiale. Le opere di Mayr erano modellate sulle “piéces à sauvatage” parigine. Lo stesso Donizetti, negli anni precedenti al '31, si era cimentato nella tipologia semiseria con «La zingara» (1822 cit.), «Chiara e Serafina ossia I pirati» (26 ottobre 1822, Teatro alla Scala), «Gianni di Calais» (2 agosto 1828, Teatro del Fondo). «Francesca di Foix» risponde quindi perfettamente alle caratteristiche di commistione dei generi e differenziazione espressiva che rendevano il genere semiserio di questi anni, più che una compagine unitaria dagli assetti definiti, una miscellaneadi suggestioni e contaminazioni, che ne facevano una tipologia quantomai variegata e dinamica.


GILARDONI, IL COLLABORATORE IDEALE
La collaborazione tra Gaetano Donizetti e Domenico Gilardoni fu fonte di reciproca e proficua influenza a partire dal 1827 con «Otto mesi in due ore». Il musicista seppe trovare un compagno ideale nel librettista durante gli anni napoletani, nelle condizioni di scarsità di tempo in cui fu costretto a dar vita ai propri lavori. Prima di «Francesca di Foix» il sodalizio aveva dato vita ad otto titoli teatrali, prima di interrompersi bruscamente nel 1832 a causa della morte prematura di Gilardoni. È sorprendente la vastità della gamma degli argomenti affrontati, delle soluzioni sperimentate in un lasso di tempo così limitato. Emergono tuttavia notevoli differenze tra i libretti considerati migliori e quelli di minor pregio. Se dalle linee di «Giovedì grasso» (26 febbraio 1828, Teatro del Fondo) traspare uno humor accattivante e pieno di felici espedienti, le soluzioni adottate in «Francesca di Foix» possono apparire dal confronto alquanto ingenue e banali, dai contorni scarsamente definiti. Evidentemente tale discrepanza rispecchia i rapporti di forza tra le fonti dalle quali i libretti furono rispettivamente desunti. La circolazione dei soggetti nei libretti operistici era arrivato a creare forti condizionamenti nell'orizzonte d'attesa del pubblico. Il libretto d'opera costituiva un supporto imprescindibile al discorso musicale, complementare e funzionale allo stesso; pertanto doveva conformarsi alle sue convenzioni. Il pubblico gradiva sì le innovazioni drammaturgiche, ma senza una base di “già noto” manifestava delusione e smarrimento. A Napoli, nello specifico, l'interscambio tra soggetti e motivi si era instaurato nel circuito dei teatri cittadini; il Teatro dei Francesi, attraverso l'importazione di lavori d'oltralpe – nell'ambito del teatro di parola e dell'opéra-comique – costituiva da anni unapreziosa miniera per mantenere vitale l'interscambio di tematiche tra repertorio teatrale, melodramma e balletto. Non si contano, pertanto, i melodrammi di questi anni la cui trama proviene per filiazione diretta da un'originale francese: la stessa «Francesca di Foix» deriva dall'opéra-comique «Françoise de Foix», rappresentata a Parigi il 28 gennaio 1809 con musica di Henri-Montan Berton (1767-1844) e libretto di Jean-Nicolas Bouilly (1763-1842) ed Emanuel Mercier Dupaty (1775-1851).


UNA BEFFA A LIETO FINE
La vicenda narra di una beffa organizzata dal Duca e dal Paggio, coadiuvati dal Re di Francia, ai danni del Conte, per punirlo della smisurata gelosia nei confronti della moglie Francesca. I tre architettano un piano per consentire l'evasione della Contessa Francesca dalla prigione in cui il marito la tiene rinchiusa, e la introducono a Corte sotto mentite spoglie. Si organizza un gran torneo, in occasione del quale la “dama velata” viene presentata al Conte, quale premiatrice del vincitore. Quest'ultimo resta fortemente insospettito dalle fattezze, dall'atteggiamento e dalle movenze della donna, notando una straordinaria somiglianza con la consorte, creduta prigioniera. Il Re trionfa al torneo; per coronare la propria vittoria, in base al maneggio ordito ai danni del Conte, si appresta a celebrare le nozze tra il Duca e la misteriosa dama. Immediata la reazione del gelosissimo Conte, che manifesta il tradimento, riconoscendo la propria consorte. Ad agnizione avvenuta è svelato l'inganno, dal quale il Conte imparerà a dare fiducia ed a trattare con maggiore rispetto una donna di grande virtù. I tratti salienti dello svolgimento rendono l'esempio di «Francesca di Foix» perfettamente coerente con i dettami del genere giocoso: il marito geloso beffeggiato, il gioco di travestimenti e svelamenti, la rivalsa finale della figura femminile, l'accostamento di caratteri sentimentali ad aspetti burleschi, il lieto fine con finalità moralisono tutti ingredienti fondamentali per la caratterizzazione del genere semiserio.

Per quanto riguarda la struttura del libretto, si assiste ad un'interessante anomalia rispetto al prototipo di farsa in un unico atto. Sui pezzi solistici prevalgono difatti i pezzi d'assieme, talora funzionali allo svolgimento della vicenda (segno inequivocabile della versatilità e della progressiva evoluzione del genere, attraverso suggestioni dal repertorio comico francese), talaltra alla caratterizzazione dell'ambiente cortigiano. Eccezion fatta per questa importante innovazione, il libretto di Gilardoni risponde alla perfezione alle convenzioni formali relative al genere della farsa: ad ogni personaggio è deputata un'aria solistica, in ossequio alle famose “convenienze” teatrali; episodi lirici e recitativi sono ben distinti, irregimentati dallo schema della “solita forma”; nell'ambito dei pezzi chiusi, si assiste ad una discreta varietà metrica.


Annalisa Lo Piccolo
17 settembre 2011

Categoria: Backstage

 

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