Lunedì, 07 Ottobre 2024

Backstage: Prima viene l'uomo - di Enrico Blundo

Aggiunto il 30 Agosto, 2011

Il 14 agosto di quest'anno, seduto per terra vicino a una fontana in una piazza di Madrid, di notte, accanto al mio migliore amico ritrovato dopo anni di lontananza e di silenzio, mentre un violinista al'angolo di una strada eseguiva con esagerato romanticismo Avemarie e Ariesullaquartacorda, prendendo spunto proprio dalla musica bachiana, tentavo di descrivere, spiegare, raccontare al mio compagno di viaggio la grandezza tecnica e formale e la potenza espressiva ed emotiva della musica di Bach, in particolare del Kyrie che apre la Messa in si minore, l'opera suprema scritta dalla mano di Dio...
Tornavamo da Santiago da Compostela, da circa 100 chilometri percorsi a piedi nel mezzo del cammin di nostra vita, ed eravamo (anzi siamo) entrambi poveri viandanti bisognosi di una luce di bellezza e di speranza.
Ripensando oggi a quel momento, non un grande avvenimento, ma uno dei momenti significativi del nostro viaggio, e scoprendo anche che una importante registrazione moderna del capolavoro di Bach, quella diretta da Minkowski, è stata eseguita proprio a Santiago de Compostela, ho sviluppato alcune riflessioni che questa volta non resteranno nascoste nella mia mente ma prenderanno forma scritta.
Kyrie Eleison, Christe Eleison, Kyrie Eleison. Questa triplice invocazione, questa semplicissima richiesta di pietà e di perdono, occupa all'inizio della composizione uno spazio temporale enorme, nelle esecuzioni più comode qualcosa come venti minuti o più.
Kyrie Eleison invoca subito il coro, e poi dal silenzio emerge un tema strumentale che apre una fuga, e via via ad ogni nuovo ingresso del tema si ha già l'impressione di ascoltare un suono di voce umana, prima ancora che il coro o i solisti comincino veramente a cantare. Poi su quello stesso tema le diverse voci, maschili e femminili, alternandosi o sovrapponendosi, intonano le parole Kyrie Eleison (Signore abbi pietà) come se l'umanità intera, nelle diverse voci, esprimesse la sua richiesta dimisericordia già pronta a contemplare la misericordia divina e il perdono. La seconda invocazione, Christe Eleison, è affidata ai solisti, voci individuali, singoli uomini e donne che insieme, ma con le loro distinte personalità, esprimono la loro preghiera, seguita dalla terza invocazione. Kyrie Eleison, di nuovo corale, meno grandiosa e complessa della prima, forse, come se il sublime canto quasi angelico dell'umanità intera, innalzato fino alle sfere del sublime, si fosse unito alle più fragili voci, umane e terrene, dei singoli uomini.
Questa è una mia lettura prima di tutto emotiva del significato musicale, legata anche allo stato d'animo con cui posso ascoltare il brano o ripensarne i contenuti e i significati, e non è detto che tutto questo fosse effettivamente nelle intenzioni di Bach nel momento della composizione: però questa suggestione, questa possibilità per ogni ascoltatore di sentire nella musica un significato o un emozione, è prodotta sicuramente e prima di tutto dalla perfezione della costruzione musicale e dalla bellezza, veramente insuperabile, della forma compositiva (tanto più se questa viene valorizzata dalla bravura degli esecutori).
Possiamo trovarci in un momento di difficoltà o smarrimento, possiamo essere sconfortati di fronte al male, alle sofferenze umane e alle imperfezioni ai vizi alle storture del mondo che ci circonda e della società in cui viviamo, possiamo essere fragili e debili, schiacciati e oppressi dai nostri dolori e dalle nostre miserie: ed ecco che un compositore, un musicista, un genio, ci rivela ancora oggi, dopo quasi ducento anni, l'esistenza della bellezza, di una bellezza che può apparire addirittura sovrumana, divina: e forse grazie alla luce di questa bellezza rivelata possiamo ritrovare un conforto nel cammino e nella ricerca di una via d'uscita dalla selva oscura, se ci rendiamo conto che questa speranza, per quanto a volte possa apparire tenue e debole, è qualcosa che riguarda la nostra umanità.
È vero che possiamo definire la Messa in si minore (come qualunque altro capolavoro musicale) come un'opera divina: ma poi ci rendiamo conto che una tale sovrumana bellezza è il prodotto di una mente umana, del cuore e dei sentimenti e dell'ingegno di un uomo come noi, un uomo di non facile carattere, si dice, un uomo che negli ultimi anni non godeva nemmeno di buona salute... E quest'uomo ha cercato di manifestare, attraverso la forma musicale, questa intuizione della bellezza: non importa chiedersi se questa bellezza abbia esistenza conreta o se sia soltantgo un'illusione nata dall'umana fantasia: importa invece il fatto che ogni uomo può avere la capacità, dentro di sé, di coglierla e scoprirla, oppure, se proprio non ne ha la forza perchè tentato di cedere ai dolori di questo mondo, può avere la capacità di ricevere un riflesso di questa luce da coloro che, come angeli, sono riusciti a riceverla e ad aprezzandola, sentendo poi l'esigenza, e anzi il dovere, di diffonderla, comumicarla, condividerla.
In questo senso l'arte, e nel nostro caso la musica, diventa una delle massime espressioni di ciò che è umano, e forse questo è ancora dei modi di esprimere il grande insegnamento sintetizzato da una breve e semplice frase: "Prima viene l'uomo".
Ora, dopo questa riflessione, comprendo in modo più chiaro come possa essere stata per me una rivelazione di bellezza, di armonia, di serenità, e quindi di speranza, l'esecuzione fatta da Dario Destefano due anni fa in una chiesa del centro storico di Torino delle sei suites per violoncello.
Nelle due serate era stato possibile apprezzare nello stesso tempo sia la bellezza dei temi e delle linee, sia la perfezione della costruzione formale all'interno di una grandiosa sperimentazione tecnica, sia la sicurezza esecutiva dell'interprete.
Le varie sezioni delle suites, con l'alternanza di suoni e silenzi, di note lunghe o pause, di ritmi fluidi o spezzati, sembravano all'interno della piccolachiesa barocca quasi corrispondere ai moduli architettonici, alle linee delle decorazioni, dove le pause possono essere rappresente da colonne o pilastri, dove la forma è quella della cornice che racchiude un quadro o un'immagine, dove al ritmo compositivo sembrava corrispondere l'organizzazione del ritmo dele immagini con cui gli artisti avevano cercato di comunicare agli spettatori il loro messaggio o il loro insegnamento, la loro riflessione o emozione o semplicemente lo simolo alla meditazione e alla ricerca di una verità dentro di sé.
Tutto questo dalla musica eseguita da Destefano emergeva con semplicità, con cordialità, con leggerezza: lui stesso alla fine dei due concerti diceva di essersi "divertito", e certo questo può dirlo solo chi con grande studio e grande passione ha ormai superato le difficoltà della tecnica e può nella sicurezza non più conquistata ma assimilata concentrarsi con narturalezza sull'espressività della musica eseguita, secondo la propria cultura e la propria ispirazione interiore. Ai massimi livelli queste che sono tra le compisizioni più complesse mai prodotte da una mente umana, perché non si tratta di sola difficoltà tecnica, vengono eseguite da Destefano con quell'atteggiamento che in termini rinascimentali si definiva "sprezzatura": si cela la difficoltà, e si esegue ciò che è gradiosamente sublime con la più semplice facilità, con chiarezza e leggerezza: ciò che solo i più grandi possono fare, trasformando ancora una volta la loro arte in un messaggio che, come portato dagli angeli, produce sicuramente frutti buoni

Enrico Blundo

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Categoria: Backstage

 

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