Mercoledì, 19 Febbraio 2025

Backstage: Lohengrin - discografia ragionata parte 8 - a cura di Luca Di Girolamo

Aggiunto il 07 Maggio, 2011

R. WAGNER
Lohengrin
Discografia critica

V parte: il recente passato ed oggi

Edizioni di Lohengrin in disco (tedesco) esaminate in questo periodo:
* 1990 - Schneider - Frey, Studer, Schnaut - Bayreuth
* 1991-92 - Abbado - Jerusalem, Studer, Meier - Wien
* 1994 - Davis - Heppner, Sweet, Marton - München
* 1998 - Barenboim - Seiffert, Magee, Polaski - Berlin
* 2009 - Bychkov - Botha, Pieczonka, Lang - Köln

Elenco dettagliato

1990 PHILIPS P. Frey – C. Studer – G. Schnaut – E. Wlashiha – M. Schenk – E. W. Schulte
(434 602-2) Orchestra e Coro del Festival di Bayereuth – Dir. P. Schneider (4 CD)

1994 DGG S. Jerusalem – C. Studer – W. Meier – H. Welker – K. Moll – A. Schmidt
(437 808-2) Konzertvereinigung Wiener Staatsopernchor – Dir . C. Abbado (3 CD)

1995 RCA VICTOR B. Heppner – S. Sweet – E. Marton – S. Leiferkus – J. H. Rootering – (09026 62646 2) B. Terfel
Orchestra e Coro della Radio bavarese – Dir. C. Davis (3 CD)

1998 TELDEC P. Seiffert – E. Magee – D. Polaski – F. Struckmann – R. Pape – R. Trekel
(3984-21484-2) Staatskapelle – Berlin Staatsopernchor – Dir. D. Barenboim (3 CD)

2008-9 PROFIL J. Botha – A. Pieczonka – P. Lang – F. Struckmann – K. Youn – E. W.Schulte
(PH 09004) WDR Sinfonieorchester Köln, WDR Rundfunkchor Köln, NDR Chor, Prager Kammerchor – Dir. S. Bychkov (3 CD)

…………..







1990 PHILIPS P. Frey – C. Studer – G. Schnaut – E. Wlaschihia – M. Schenk – E. W.
(434 602-2) Schulte
Orchestra e Coro del Festival di Bayereuth – Dir. P. Schneider (4 CD)
Il Lohengrin, come si sa, non è un’opera eccessivamente lunga in rapporto ad altri capolavori wagneriani anche se la si esegue integralmente e solitamente lo possiamo trovare contenuto in 3CD. Tuttavia, come si può notare nella sua discografia, qualche eccezione c’è ed ecco allora che abbiamo un CD in più rispetto al solito trittico. Questo può far piacere all’ascolto (un po’ meno chiaramente al portafoglio), perché più musica si ascolta e meglio ci si delizia, almeno in teoria. Una teoria che può essere tradotta in pratica da edizioni che hanno un senso – come quella ad esempio di Solti e, in parte, quella ‘live’ diretta da Rosenstock (che presenta anche brani di altre edizioni in appendice) – mentre qui i 4 CD appaiono di una noia mortale e a procurarcela sono il direttore e gran parte del cast, senza contare che la versione è priva della seconda parte del racconto di Lohengrin. Essendo il cofanetto molto bello sul piano formale, la memoria alla favoletta di Esopo della volpe e della maschera, direbbe il verdiano Germont, ‘è d’uopo’. Arrivata in un retroscena di un teatro la volpicina trova una bella maschera e conclude la sua riflessione sulla maschera dicendo: “Quanta species, sed cerebrum non habet’. A buon intenditor…. Anzitutto nella parte orchestrale abbiamo un lavoro accurato sì: ci sono tinte trasparenti e belle, ma fini un po’ a sé stesse come ci fa udire l’inizio del Preludio, ma anche senza uno sprizzo di gioia e latore di atmosfere che non siano quelle del grigiore diffuso. A tratti lenta, questa direzione tende a limitare le sonorità anche nei momenti dove essa ben figurerebbe, oppure a diluire l’atmosfera. Ciò accade soprattutto nei primi due atti: l’avvio dell’opera è lento, smorto è il commento all’arrivo di Lohengrin, sostanzialmente fiacco e monotono, anche se ben suonato, il Finale I. Inoltre: dov’è quell’atmosfera tenebrosa che apre il II atto ? E anche il corteo nuziale che accompagna Elsa è slentato e carente di solennità. Un po’ meglio appare il III atto in cui il preludio è abbastanza dinamico, ma ciò non toglie che l’interludio tra 2a e 3a scena, pur solenne, non esprime quella sete guerresca (e barbaricamente medievale) cheil momento vorrebbe. Buono invece è il sostegno offerto alle accuse di Lohengrin e, al termine, molto trionfale il commento sonoro alla comparsa di Goffredo. Fra i cantanti la Studer sopravanza gli altri per canto e comprensione del personaggio, anche se tutto non è perfetto per almeno due limiti (uno vocale e l’altro interpretativo) che compaiono ciclicamente: il primo relativo a certo vibrato che la voce rivela in alto, il secondo in certa genericità. Però ascoltiamo un’Elsa luminosa che ci regala momenti godibili ed eleganti: le due arie, specialmente la seconda («Euch lüften» II atto), il comportamento del duetto con Ortrud e il successivo scontro davanti alla Chiesa dove sfoggia una buona grinta. Bene il successivo duetto con il tenore e anche le poche frasi che questa Elsa pronuncia nella parte finale dell’opera. Con il resto del cast facciamo i conti con un livello assai basso. Ne esce in parte l’Araldo di Schulte che non canta male specie nel II atto. Schenk è un Re limitato vocalmente e che esprime poca autorità e molta… flemma. Questo si traduce in suoni ingolati (cf. «Gott allein» del I atto è brutto ed egualmente il «Mein Herr und Gott» è fiacco in alto e in basso) oppure sgraziati (l’invito ad Elsa a difendersi dopo la I parte dell’aria «Einsam in trüben tagen»). Un po’ meglio nel III atto, ma anche qui basta che il tono orchestrale si irrobustisca che la voce si sente poco e, ovviamente, le difficoltà in alto permangono. Già presente nell’edizione diretta da Guschlbauer di sette anni prima, Wlaschihia ci ripropone il suo poco elegante Telramund con una voce più provata che lo porta a platealità. La voce poi non è un prodigio di ampiezza ed ecco che Wlaschihia si trova spesso e volentieri a forzare specie quando l’orchestra è nel pieno delle sonorità (alcuni passi del duetto con Ortrud e in particolare nella sfida della Chiesa nel II atto). La Schnaut in alcuni passi del duetto quando canta piano sa accentare bene ed efficacemente (molto interessante ilsuo «Ha, wie tödlich du mich kränkst» ed egualmente insinuante appare il «Könntest du erfassen…»), ma rivela problemi in centro (fissa è, ad esempio, la sua frase «die mühvoll ihm ein Zauber leiht») e in alto (il blasfemo e irridente «Gött ?»). Per quanto poi riguarda i passi canonici nei quali Ortrud è esaltata o veemente, oscillazioni e fissità si rendono evidenti anche se la voce vuole mostrare certo volume (l’invocazione agli dei, lo scontro con Elsa e i tre interventi conclusivi), qui il grido è … dietro l’angolo.
Da ultimo Frey è un protagonista pessimo: nel I atto è inconsistente già all’arrivo, il saluto al Re mostra certo corpo vocale, ma accusa difficoltà. Ci dona un’espressione miagolante nel divieto ad Elsa e appare poco incisivo anche nella vittoria («Durch Gottes Sieg ist jetz dein Leben mein») con tutto il corollario degli interventi per nulla attraenti del seguente concertato finale I. Nel II atto sembrerebbe ben accentato il «Du fürchterliches Weib…», ma è solo uno sprazzo perché quanto ci riserva il seguito è piuttosto sconfortante: manca lo squillo, manca anche la soavità di certi suoni che si sfaldano, oppure sono malfermi («Elsa erhebe dich»), oppure decisamente orrendi («Heil dir Elsa…»). Nel duetto del III atto a fronte di una Studer molto valida, Frey tende ad ingrossare il volume, ma il gioco dura poco perché la voce si stanca e successivamente fino al finale dell’opera le forzature da un lato o i suoni sbiancati dall’altro non si contano con l’aggiunta specie nel finale di un crescente affanno nel completare l’opera. Fortuna vuole che gli viene tolto l’arioso delle profezie sulla Germania, ma ciò non ci risparmia da un canto sostanzialmente invertebrato.
Dall’insieme degli elementi raccolti e presenti in questa raffigurazione di Lohengrin, andarsi a ri-ascoltare quanto Völker, Anders, o qualche altro grande ci hanno lasciato è il minimo che si possa fare, nonostante le carenze tecniche delle loro registrazioni.

1994 DGG S. Jerusalem – C. Studer – W. Meier – H. Welker – K. Moll – A. Schmidt
(437 808-2) Konzertvereinigung Wiener Staatsopernchor – Dir . C. Abbado (3 CD)
Accanto a novità esecutive e di ottimo suono si affiancano qui momenti scadenti e privi di fantasia. L’elemento più singolare è la direzione di Abbado. Nel novero della discografia di quest’opera fin qui esaminata i direttori italiani hanno fatto una figura non certo esaltante. Abbado – al contrario – si pone interlocutore tale a tratti da superare anche gli stessi specialisti che a volte, vuoi o non vuoi, si sono dimostrati tali più sulla carta che nella realtà dei fatti. Va da sé che qui udiamo timbri solari e lucenti pianissimi sin dall’inizio dell’opera. Il confronto che è possibile fare è forse con Solti, ma il direttore ungherese, pur vantando splendide alchimie di suono, non possiede altrettanta carnalità e passionalità. Il Preludio, infatti, gioca su una mediterraneità di suoni ignota ai colleghi tedeschi e che ha tutta una sua logica dinamica, dai pianissimi eterei a poco a poco il suono si riscalda e si vena anche nei pieni di una malinconia cedendo, poi dove occorre, a ritmi serrati. Da notare che la colonna sonora che sostiene la veemente accusa di Telramund si veste di una cupezza e tensione che sembra preludere a quella che è la realtà di fondo, ossia la falsità di tale accusa. Ottimo l’indugiante ritmo dell’ingresso di Elsa e di grandissimo effetto, anche per il tono sommesso del coro, la preparazione dell’arrivo di Lohengrin. L’insieme corale e orchestrale esplode poi al momento in cui il protagonista compare rendendo anche fonicamente lo splendore dell’abito del cavaliere del cigno (altrettanto non si può dire del canto di questo cavaliere che è tutt’altro che splendido). Calligrafico, preciso all’estremo con il complesso armonico dei vari solisti è il concertato precedente al duello del quale ascoltiamo più avanti un fastosissimo commento che dà l’idea di dove sia di casala verità. Splendida intesa con i cantanti (che ricorre del resto per tutta l’opera) e resa ottimale è il concertato finale I. Ma le meraviglie non sono terminate, perché nel II atto iniziamo con un Preludio in cui si condensano un’atmosfera tenebrosa e di febbrile inquietudine che cede poi il passo ad un senso di ineluttabilità che ben si accorda con il monologo di Telramund nel piangere le sue disgrazie. A partire poi dalla domanda di Ortrud «Wisst du, wer diesel Held…» l’orchestra si carica di solennità ed arcano senza cedere in sonorità. Un’analoga atmosfera favolistica la ascoltiamo nel commento del racconto di Ortrud all’inizio del suo duetto con Elsa («In fernem Einsamkeit des Waldes») per poi passare alla forza trascinatrice dell’invocazione agli dei pagani. Al termine del duetto il commento orchestrale prima della comparsa di Telramund è della più struggente e lancinante aura romantica. Ottimo tutto l’interludio dove il coro pur di paesani non si dimentica della nobiltà di fondo, la stessa che appare a tratti (ma più rarefatta) nel Corteo nuziale. Anche il Coro, in tali scene, qui ha precisi meriti come ad esempio nelle reazioni nervosissime al bando di Telramund. Singolare è il tono con cui viene condotto il concertato del dubbio di Elsa: domina nell’orchestra e nel coro uno stupore generale quasi a sottolineare una globale partecipazione dei presenti alla difficoltà crescente di Elsa. Altra meraviglia è il Finale II solennissima l’orchestra e morbidissimi gli accenti corali e, per finire, un accordo organistico dal quale Abbado fa scaturire quel tema del divieto trascinante che sarà causa della catastrofe finale. Simbiosi perfetta della polarità bene-male che è il leitmotiv di tutta l’opera. Il III atto si apre con un Preludio lucentissimo e dinamico e un crescendo di sonorità e solarità caratterizza il successivo interludio tra II e III scena. Ci sarebbero sopraffine e trasparenti tinte nel monologo del protagonista («In fernem Land») che ricompaionoanche a tratti nel Finale che ci presenta una sacra aura di sospensione a commento della trasformazione Cigno-Goffredo, per poi concludersi nella malinconica tristezza foriera però, grazie alla luminosità, di un’epoca migliore. Una direzione di questa levatura, così varia e dinamica, con un suono così cantabile avrebbe avuto bisogno di un protagonista del pari. Anche qui assistiamo ad una sconfortante raffigurazione che Jerusalem ci presenta: un canto apparentemente muscolare, poco incline alle finezze, molto a disagio nei pianissimi. Dicevo ‘apparentemente’ perché anche a voce spiegata c’è l’impressione dell’ingolfamento («Nun hört ! Euch Wolk…» e quel che segue) senza contare che, sul piano interpretativo, non c’è molta fantasia se si è sbrigativi nel «Durch Gottes Sieg ist jetz dein Leben mein» come qui accade. Anche nel II atto questo Lohengrin ci mostra senz’altro molta foga nel rispondere alle accuse di Telramund, ma il suono è più voluminoso che squillante. Più decente nel senso che è vigoroso l’«Euch Helden soll der Glaube nicht gereuen», ma poi subentrano alcune frasi che sono imbarazzanti: l’«Elsa ehrebe dich – In deiner Hand…» che è lamentoso e per finire l’orrendo «Heil dir Elsa» che è afono. È chiaro che nel III atto Lohengrin deve cantare parecchio e figuriamoci che delizia sentire un canto uniforme e monotono nel registro centrale, opaco nelle mezzevoci e in alto non privo di tensioni. Ma poi nel duetto non c’è un’espressione patetica, insinuante e ciò aggiunge noia. Dalla III scena in poi Lohengrin rientra in scena per una duplice accusa all’insegna della solita robustezza al centro e i soliti problemi in alto (basterebbe la frase «So hört, ob ich an Adel euch micht gleich»), un monologo altrettanto lagnoso di cui le ultime tre frasi («Von Gral ward ich zu euch… bin Lohengrin gennant») decisamente berciate. Malfermo è anche il «Mein Lieber Schwan!», ma decisamente meglio la consegna dei tre doni (ho l’impressione che siano stati incisi in altromomento di riposo vocale) e la proclamazione finale del duca di Brabante. Ecco se avessimo avuto un Lohengrin costante per tutta l’opera nel suono e nell’espressione sfoggiati in questi punti avremmo avuto un apprezzabile protagonista. In realtà ci troviamo dinanzi a ben altra raffigurazione. Ci consola però il fatto che gli altri cantanti sono notevolmente superiori a partire dalla stupenda W. Meier come Ortrud. Era dal tempo della Ludwig che non si sentiva la sottigliezza diabolica del personaggio espressa con tanta maestria vocale. Bene, qui andiamo oltre perché, lasciandoci alle spalle le fosche figure di certa tradizione (anche buona in fondo), ci troviamo con un personaggio calcolatore al millimetro non solo dell’indole e delle finalità alle quali vuole arrivare, ma su di esse, la Meier modella tutta la sua caratura vocale ed espressiva. Di ciò si ha subito un esempio nelle frasi iniziali dove la perfidia è misurata al centimetro senza perdere nulla in eleganza. Ma tutto nella Meier è raffinatezza vocale ed interpretativa di una mente, quale quella di Ortrud, tesa solo alla conquista della propria finalità e che nulla lascia di intentato. È chiaro che il canto di conversazione è svolto senza cercare inutili accenti torvi, ma con grande morbidezza. Da antologia e da incorniciare come geniale senso della parola la frase «So lehr Rache süsse Wonnen» dove il Rache (= vendetta) è volutamente rauco e il süsse Wonnen (= dolce piacere) è di suono davvero cremoso. Raffigurazione stupenda !!!! Ma non ci si ferma qui: se teniamo conto che la voce sale senza alcun sforzo (ad esempio, il «Gottes Kraft ! Ha, ha» e quel che segue è sensazionale per impeto e suono) avremo l’invocazione agli dei terrificante con discese in basso e salti all’acuto propri di chi ha voce solida e sana e analogamente i tre interventi finali. Ma vorrei però sottolineare altri due momenti in cui la Meier è grandiosa: il «Könntest du erfassen…» che insinuante e mellifluo all’inizio volutamenteaccenta bruscamente a «zu dir kam» e tutto lo «Zuruch Elsa !» dove non c’è solo l’opposizione del male al bene, ma lo stravolgimento e l’allucinazione alla quale il male conduce; in una parola: l’accecamento. Abbiamo sentito altre Ortrud, scatenate e di bel suono, riversare tonnellate di suono, ma qui la Meier lavora sull’accento e sulla parola e, al contempo, con una voce in grado di assecondare con solida tenuta tutti gli ostacoli. Sono solo alcuni esempi, ma tutto questo personaggio riceve una connotazione singolare, nuova a tutt’oggi. Vorrei far presente come l’allucinazione e l’esaltazione si coniughino nella replica ad Elsa unificate ad una voce che non perde un grammo di sonorità e non è sfiorata dalla minima concessione al grido o al suono sguaiato. Grandissima, anzi somma interpretazione !
Perfettamente rispondente a questa concezione e complementare alla Mejer appare Welker che non ha una gran voce, che talvolta accusa fiacchezza (specie nel II atto), ma lavora moltissimo anch’egli sull’accentazione. Nel I atto non abbiamo forzature di sorta, né accenti caricaturali e questo Telramund espone le sue ragioni in modo fermo. Nel II atto le cose cambiano perché viene fuori il carattere di vinto e di succube della moglie che può avere carta bianca su di lui e sugli eventi. Anche nei momenti di ribellione (cf. il monologo iniziale del II atto) Welker ci fa comprendere che per esprimere la rabbia non bisogna gridare, ma interpretare e dar senso a ciò che si canta. Non meraviglia allora la riuscita delle battute che Telramund e Ortrud si scambiano mentre Elsa canta le aurette. C. Studer ci ripropone la sua Elsa fresca che, rispetto alla precedente infelice edizione del ’90, è maggiormente sostenuta dall’orchestra e, seppure ha perduto in parte la sua luminosità, non ci fa udire il vibrato dell’edizione già incisa. Ciò che rende tuttavia lievemente inferiore la sua prova non è tanto il versante vocale, quanto quello interpretativo che è meno spontaneo. Adesempio, il «Mein Schirm, mein Retter, mein Erlöser» è piuttosto elaborato nel suo svolgimento, meno naturale rispetto all’anno precedente, mentre nell’«O fänd jubelweisen» abbiamo un miglior rendimento in termini di luminosità. Molto ben eseguite le ‘aurette’, ma anche qui il tono è piuttosto impettito e povero di dolcezza. Brava nei due confronti con la Mejer, la Studer sa rispondere in termini di morbidezza di suono e purezza di linea nel primo, mentre nello scontro davanti alla Chiesa appare più normale. Nel duetto del III atto è chiaro che la Studer ha la meglio su Jerusalem e contribuisce a differenziare la resa dei due artisti: alla monotonia e alla ‘voce grossa’ di Lohengrin sentiamo una replica a tratti estatica di suoni torniti, anche quando la vicenda precipita e la donna pone le tre domande fatali (in merito il «Wie dein Art» è una folgore !). Anche nella parte finale dell’opera, questa Elsa non rinunzia ad esprimersi in termini di squillo alternati a soavità e piani. In sostanza una prestazione notevole. Moll come Re svela una voce imponente, bella nel timbro, non molto autorevole per interpretazione e, specie in alto, il suono è ingolato, mentre felici appaiono certe soluzioni nei piani (cf. l’invito ad Elsa di difendersi è carezzevole). Vari interventi nei quali il re dovrebbe ‘governare’ o prendere la parola in modo autorevole e profetico (cf. «Mein Herr und Gott» nel I atto, oppure – nel II – il «Mein Held») scadono in suoni poco consistenti o problematici in zona acuta. Schmit ci dona un Araldo molto morbido nel suono, non aggressivo in alcuni punti un po’ cruciali, ma con accenti giusti.
Un Lohengrin insomma da ascoltare nonostante la prova non certo esaltante del protagonista, ma che mostra certa novità interpretativa e da una direzione che davvero realizza l’incontro di due civiltà (quella tedesca e quella italiana) e della quale dobbiamo ringraziare C. Abbado, artista che mai cade nel ‘risaputo’ in quanto dotato di altissima civiltà ecultura.








1995 RCA VICTOR B. Heppner – S. Sweet – E. Marton – S. Leiferkus – J. H. Rootering – (09026 62646 2) B. Terfel
Orchestra e Coro della Radio Bavarese – Dir. C. Davis (3 CD)
Dalla luminosità e dalla solarità tipiche della direzione di Abbado si passa qui ad un insieme di tinte che vanno dal grigio al biancastro e da una gentilezza e cortesia che sconfinano nella marcata carenza di vere vibrazioni. Se in Solti trionfa la fastosità ed in Abbado la solarità e la capacità continuativa di narrare qualcosa, qui siamo nell’ambito di “un cortese invito al thè delle cinque”. Davis è senz’altro elegante – basterebbe sentire la finezza con la quale si dipanano le frasi iniziali del Preludio – ma Lohengrin non è questo o, almeno, non è solo questo. Molti passi di questo Lohengrin sono a carattere concertistico (addirittura la conduzione del duello nel I atto !), altri non hanno la carica trascinante (Finale I), altri ancora mancano di atmosfera adeguata (Preludio atto II). Poco solenne è anche il corteo nuziale del II atto e dello stesso atto è piuttosto lento e poco festoso il Finale. Analogo discorso lo possiamo fare per diversi luoghi del III atto: il Preludio è sì animato e raffinato, però non trascina e lo stesso coro esegue in modo piatto e monotono senza quegli effetti di lontananza e vicinanza che la pagina prescrive. È chiaro che mai l’orchestra mostra qualche colore passionale nel celebre duetto Elsa-Lohengrin. Molto meccanici sono poi alcuni passi marziali dell’interludio tra 2a e 3a scena. Insomma un Lohengrin, almeno sul piano orchestrale piuttosto scolorito e sbiadito, cosa che non accade con diversi elementi del cast che – tolta la Elsa – hanno idee precise di ciò che cantano. Heppner è una grande Lohengrin, uno dei migliori (se non il migliore) delle ultime incisioni: modulatissimo nell’ingresso, vigoroso e squillante nel saluto al re, questo tenore vanta unagrande perizia tecnica ed offre degli spunti molto interessanti. Ad esempio il divieto che per due volte impone ad Elsa: la prima volta cantato in modo molto tranquillo, mentre nella seconda gli basta accentare con fermezza alcune frasi senza manomettere o camuffare il timbro. Ottimo l’insieme delle frasi che seguono e la frase della vittoria («Durch Gottes Sieg ist jetz dein Leben mein») è una meraviglia di suono giovanile fresco e argentino e di espressione. A volte però questo Lohengrin si lascia un pò sfuggire alcune frasi che dovrebbero avere, ai fini della vicenda, una certa caratterizzazione di grinta come ad esempio il «Du fürchterliches Weib…» rivolta ad Ortrud nel II atto e come la cacciata della coppia nera che continua ad insidiare Elsa. Torna invece ad essere un grande Lohengrin nelle frasi più carezzevoli rivolte ad Elsa fino ad arrivare all’«Heil dir Elsa» addirittura trasognato oltre che splendidamente cantato. Notevole però nella replica ai guerrieri «Euch Helden soll der Glaube nicht gereuen», giovanile ed ardito. Il duetto del III atto inizia come meglio si vorrebbe con un «Das süsse Lied verhall», miniato e colloquiale senza però perdere mai la patina argentea. Altro grande esempio di bravura è l’«Hochtest Vertraun» vario nel suono e morbido nell’emissione. Notevolissimo ciò che segue dalle accuse al finale, passando per il monologo. Le accuse davanti al cadavere di Telramund si segnalano per l’impeto e lo squillo, ma anche per l’analiticità dell’accento ed arrivati nella lunga frase «Ihr hörtet alle, wie sie mit vesprochen…» la voce sostiene passaggi piuttosto ardui senza dare segni di stanchezza. Nel monologo («In fernem Land») abbiamo una naturalezza ed un’innocenza iniziale rese con voce robusta ma duttile, quindi un’animazione progressiva che mai perde una precisione strumentale di canto. Davvero sconsolata e al contempo impetuosa la successiva frase «O Elsa ! Was hast du mir angetan» dove delusione per ciò che è successo e aristocraticitàdi rango si incontrano al massimo. Rientra quindi il cigno in scena e udiamo un «Mein Lieber Schwan» di una luminosità e di una leggerezza unica valorizzate da emissioni in pianissimo. Anche nei tre doni finali Heppner è un grandissimo e baldanzoso, per finire, è anche il suo «Seh da den Herzog von Brabant !». È chiaro che avendo un tenore di questo genere che si ricollega al filone dei Völker e degli Anders ci sarebbe voluta una Elsa se non pari, almeno simile. La Sweet è invece lontana anni luce: timbro corposo, ma monotono e privo di qualsiasi intenzione di sfumare. A volte è sussiegosa fuori posto, a tratti è impersonale senza contare che è in affanno in una frase come «O fänd jubelweisen» che invece dovrebbe traboccare di gioia anche patologica. Ma poi anche quando canta decentemente (e ciò, conveniamone, accade spesso: la voce sale in genere bene) dà l’idea di aver imparato la parte compitandola diligentemente. Possiamo immaginare quanto ciò sia pericoloso nel duetto con Ortrud (specie questa Ortrud) perché la genericità si taglia a fette. Poco incisiva anche nello scontro davanti alla Chiesa, la Sweet si contenta di frasi ben cantate, ma dove sia l’innocenza spaurita di Elsa e tutto il progressivo sfacelo psicologico non ci è dato di saperlo. Nel duetto d’amore accanto ad un Lohengrin che è una miniera di affettuosità e sfumature, la Sweet è assai deludente, pur destreggiandosi in alto efficacemente (le tre domande fatali sono risolte bene) resta sempre l’impressione di poca o punta partecipazione. A completare la prestazione abbiamo il «Mein Gatte» strillacchiato. In sostanza una modesta Elsa. Per la ‘coppia nera’ abbiamo Leiferkus molto bravo nel presentarci un Telramund inizialmente grintoso nelle accuse ad Elsa quindi nel II atto preciso e determinato nello scontro con Lohengrin. Tuttavia c’è da osservare che il timbro e l’dea stessa del personaggio portano Leiferkus a brillare più nelle scene più violente che non in quelle di sofferta sconfitta, per cuiil cantante sfoggia accenti truci, ma mai sgraziati nel suono. La Marton (di cui esiste un video in cui è un’improbabile Elsa) tratteggia un Ortrud efferata nella sua smania di vendetta e nei suoi tratti stregoneschi se non addirittura vampireschi. Lo fa bene perché ha virtù declamatorie ed un notevole registro acuto, ma anche uno scavo della parola che la fa approdare ad accenti di vero profetismo nero. Ad esempio è impressionante tanto il furore di «Gottes kraft. Ha, ha!», quanto l’allucinata espressione di «Nun hör ! Niemand hier hat Gewalt» dove particolarmente sinistra e maligna risulta la frase «die Frage je an ihn zu tun». Anche il «Konntest du erfassen» risulta ben caratterizzato. Nervosissima ed aiutata da un solido registro acuto la Marton sa inveire nella scena della Chiesa e dei tre interventi finale molto selvaggio appare l’ultimo. Insomma una bella prestazione anche se, a tratti, un filo troppo prossima ad eccedere. Rootering è, tutto sommato, un buon re Enrico provvisto di suono in alto ed in basso. Anche sul piano dell’autorità interpretativa si fa valere. L’allor giovane Terfel è forse il migliore Araldo della storia del disco: voce morbida e di gran quantità che sa modulare oltre che rendere alla perfezione il senso della frase. Ciò soprattutto nel vari proclami del II atto. Un’edizione che poteva dare ancor più soddisfazioni con un altro direttore e con un’altra Elsa. Lo stesso Heppner, ad esempio, in un’altra edizione che si produsse qualche anno più tardi al MET e diretta da Levine con la Polaski, la Voigt e Wlaschihia volò in espressività e canto molto più in alto che non qui, peraltro già ottimo.

1998 TELDEC P. Seiffert – E. Magee – D. Polaski – F. Struckmann – R. Pape – R. Trekel
(3984-21484-2) Staatskapelle – Berlin Staatsopernchor Berlin – Dir. D. Barenboim (3 CD)
Dopo l’elegante grigiore (ma di grigiore pur sempre si tratta) che proviene dalla direzione di Davis, Barenboim ci propone un’edizione assolutamenteintegrale con la riapertura della seconda parte del racconto di Lohengrin («Nun höret noch, wie ich zu euch gekommen !» preceduto dal breve intervento corale «Wie ist er wunderbar zu schauen»). Nello stesso fascicolo accluso all’elegante cofanetto che contiene il libretto in 3 lingue – francese, tedesco ed inglese – è motivata la scelta di Barenboim di eseguire l’opera nella sua interezza) contraddistinta da una direzione diametralmente opposta a quella solare di Abbado. La narrazione di Barenboim infatti si segnala per raffinatezza sin dai primi accordi e per tutta un’aura di severità che pervade il I atto. Rientrano in questo quadro anche certi momenti indugianti (come le accuse di Telramund) e grande malinconia pervade l’ingresso di Elsa. Sin dall’inizio (e soprattutto nei concertati) si sente il lavoro di perfetta intesa con le voci. Ma c’è da sottolineare anche certa solennità nei primi proclami dell’Araldo e un vero cantare orchestrale lungo tutto il Finale I. All’inizio del successivo atto si segnala per l’atmosfera cupa, ma felpata dell’orchestra che contiene anche (senza farli invadere e rompere l’armonia di sfondo) le musiche festose provenienti dagli interni. Da rimproverare forse qui, per eccesso di finezza, la carenza di mistero della parte finale del duetto Telramund-Ortrud, ma anche di quell’ambiguità di fondo che dovrebbe serpeggiare nel seguente duetto delle due donne. L’interludio tra 2a e 3a scena è ottimo nel gioco di prospettive e lontananze e rivela il concertista Barenboim. Scena da antologia è il corteo nuziale soprattutto nella prima parte fino all’attacco del coro («Gesegnet soll sie schreiten») per poi proseguire in termini di somma eleganza e precisione nel dipanarsi della scena solenne e festosa delle nozze. Altisonanti gli accordi dello scontro tra Telramund e Lohengrin e dolorosa malinconia e spettralità sono i tratti dominanti nel concertato del dubbio dove tutte le voci dei solisti si distinguono pur cantando con abbondanza di pianie pianissimi. Davvero una scena da ricordare. Il Finale II è fastoso, ma sempre con quel sottofondo di mestizia e severità per ben aiuta l’inserimento del tema del dubbio in corrispondenza del gesto trionfante di Ortrud. Qualche perplessità mi desta il III atto specialmente perché in alcuni passi di particolare lirismo o di sentimento l’orchestra adotta tempi rapidi, a mio avviso, ingiustificati. Ad esempio tutto il Preludio ed il Coro iniziale piuttosto veloci con un effetto di graduale lontananza piuttosto meccanico. Tale incalzare però si rende efficace nella parte finale del duetto Elsa-Lohengrin a sottolineare la confusione mentale di Elsa e il porre le tre domande fatali. L’interludio tra 2a e 3a scena è ottimo, ma qui la marzialità del ritmo equivale ad una marcata rapidità. Bene però l’insieme corale e gli interventi del re. Altro momento da antologia appare il commento corale (davvero solenne) al racconto di Lohengrin eseguito nella sua interezza per arrivare poi alla trasformazione del cigno in Goffredo carica di sospensione e ad una conclusione dell’opera davvero epica senza tuttavia dimenticare dolcezza e lirismo. Una direzione a tratti esaltante, a tratti ottima ma sempre in tensione e senza vuoti emotivi: un racconto che viene narrato in un’aura che già ci orienta a quel pessimismo che si trova nel grande successivo capolavoro che è Tristano e Isotta, ma anche a certe idee del ‘900 tedesco. È chiaro che per condurre in porto un’impresa così originale e personale ci vuole un cast idoneo e qui possiamo dire che abbiamo una coppia di protagonisti sostanzialmente ottima, una coppia di cattivi poco convincenti, un ottimo re ed un Araldo di normale amministrazione. Dopo le infelici (e talvolta pessime) prestazioni discografiche di alcuni tenori è una grande gioia ascoltare un cantante come Seiffert che ci fa ricordare per certi suoni e movenze interpretative, i grandi del passato. L’ingresso in lontananza è davvero poetico (ma qualche sfumatura in più nonavrebbe guastato), ma poi il resto dell’esecuzione è davvero notevolissimo: deciso e squillante il saluto al Re, bene il divieto differenziato nei due momenti per intensità, vigoroso il «Nun hört ! Euch Volk und Edlen» e splendida la vittoria con un’iniziale e luminoso «Durch Gottes Sieg ist jetz dein Leben mein» al quale poi corrispondono interventi davvero argentei nel successivo concertato di gioia che conclude l’atto I. Meno caratterizzata forse (nel senso che poco terribile) l’apostrofe ad Ortrud e accanto a questo porrei anche la successiva cacciata di Telramund, mentre affettuose sono le frasi rivolte ad Elsa. Vigore e eleganza di suono in alto contraddistinguono la replica alle accuse di Telramund, mentre un po’ meglio poteva essere realizzato l’attacco (davvero difficile) dell’«Heil dir Elsa» perché il seguito è veramente molto bello. Il III atto vede un Lohengrin molto in linea con le esigenze del momento per la morbidezza di suono e per la luminosità di certi accenti. Singolare risulta il lungo intervento «Höchtest Vertraun» diviso in tre parti che Seiffert sa sapientemente differenziare: severa la prima, ricche di abbandono e morbidezza le successive senza dimenticare la nota giovanile ed eroica. C’è da osservare però che alcuni suoni affrontati di impeto in zona centrale tendono a sbiancarsi. Molto malinconiche (e con dei bei pianissimi) risultano le frasi successive all’uccisione di Telramund a commento del sogno d’amore infranto. Limpidezza unita a forza di scansione anche nelle accuse della 3a scena. Tutto il racconto è miniato attraverso un sapiente uso di colori e tinte (dalle soavi alle energiche alle tristemente consapevoli che ‘tutto è perduto’). Grintose e perentorie le profezie sulla Germania e triste e sconsolato appare il saluto al cigno. Anche nel conferimento dei tre doni Seiffert appare vario nell’espressione e nel canto; squillante ed eroico nel presentare il Goffredo rinato dalle acque. In sostanza un protagonista ottimo che, anche invirtù del timbro, si sposa con la concezione pensosa e severa di Barenboim. Molto bene anche la Magee (che io ho ascoltato dal vivo, anni orsono, a Firenze proprio in questo ruolo) con un timbro sostanzialmente brunito, con una voce che sa piegare (non sempre, ma abbastanza; poteva risultare migliore il «Mein Schirm, mein Retter, mein Erlöser») alle sfumature del personaggio e sa trovare felici soluzioni espressive (molto accorato, ad esempio, il «Mein Lieber König»). Piuttosto lontano risulta, al contrario, il suo intervento «O fänd jubelweisen» che inizia il Finale I, mentre sono eseguite molto bene le ‘aurette’ ed espressivi e di buona voce risultano i confronti con Ortrud (il duetto e lo scontro entrambi nel II atto, due momenti in cui è la migliore). Inoltre la Magee dà sempre un’impronta personale e sonora agli interventi nei concertati. Attenta all’espressività nel duetto del III atto, la Magee è perfettamente affiatata con Seiffert. Un po’ sfocate risultano nel suono le tre domande fatali a Lohengrin mentre nel successivo abbandono dello sposo, la Magee sa infondere accenti davvero accorati. Poco caratterizzata appare la ‘coppia nera’: Struckmann inizierebbe anche bene scandendo con secchezza le accuse ma, nel prosieguo dell’opera, specialmente nel duetto con Ortrud si limita a cantare e sul piano interpretativo c’è poco accoramento, poca terribilità e poca disperazione. Anche nello scontro con Lohengrin mancanza di grinta e di enfasi. Che canti male non si può dire, ma nemmeno si deve ritenere la sua prestazione di particolare interesse. Torno volentieri sul duetto con Ortrud dove abbiamo una generica correttezza accompagnata a frasi davvero tirate via e da poco approfondimento. Peggio di lui si trova la Polaski che nel duetto con il marito è inizialmente fine e corretta che però dice poco, mentre nel duetto con Elsa non c’è quella signorile e calcolatrice tortuosità della Meier (della Ludwig neppure si deve parlare), né la scoperta e rude cattiveria dellaMarton: suoni anche esteticamente apprezzabili si susseguono, ma mai la zampata feroce e ciò anche perché la Polaski in alto non è un fulmine di guerra e ciò lo si vede nell’invocazione agli dei pagani dove manca di forza trascinatrice e di perentorietà nel registro acuto. Ma non è soltanto questo: un «Konntest du erfassen» tirato via come si ode qui (e come anche altre frasi dello stesso duetto) è un monumento all’inespressività. Lo definirei neutro quando invece dovrebbe essere tutto il contrario (per favore, andarsi a riascoltare la Meier e la Ludwig). Altri limiti si possono notare anche nello scontro davanti alla Chiesa dove l’espressione è ‘innocua’ senza grinta e il registro acuto stride (specialmente nell’ultimo e decisivo intervento «Ha, diese Reine deines Helden…» che dovrebbe essere un po’ il proverbiale ‘carico da undici’ della scena). Arriviamo alla conclusione dell’opera con i tre ardui interventi che ci ripresentano i limiti visti fin qui con l’aggiunta che l’ultimo è gridato. Un’Ortrud insomma manchevole, specie nei passi più infocati, ma nemmeno capace di saper trovare fraseggi insidiosi. Il Re Enrico di Pape ci riporta ai fasti di un Ridderbusch (specie quello del ’67 con Kempe) per morbidezza, paternità, ma anche per autorità regale. Un grandissimo Pape è quello che si ascolta nell’a solo «Mein Herr und Gott» dove sale e scende (la frase «klar erweist») ottimamente e senza sforzo tenendo tutto legato. Analogamente i vari interventi del II atto, a partire dal «Was für ein Streit» fino al «Mein Held», ci rivelano un Re non solo atto a comandare e a dar decreti, ma cosciente del suo ruolo di padre/custode del popolo. Una bella raffigurazione che, forse, oltrepassa la stessa citata prova di Ridderbusch, aggiungendovi un tocco di giovanilità.
Piuttosto pallido all’inizio l’Araldo di Trekel che tuttavia si distingue nel II atto per un accento scandito nell’enunciare i suoi proclami. Ma mi pare un po’ poco rispetto ad altri cantanti che hannoapprofondito la stessa parte.

2008-9 PROFIL J. Botha – A. Pieczonka – P. Lang – F. Struckmann – K. Youn – E. W.Schulte
(PH 09004) WDR Sinfonieorchester Köln, WDR Rundfunkchor Köln, NDR Chor, Prager Kammerchor – Dir. S. Bychkov (3 CD)



Spiace davvero constatare come nell’allestimento anche discografico di un’opera si giunga ad un risultato positivo per metà con un direttore attento ed intelligente e con cantanti invece che sono o afflitti da superficialità, oppure non riescono a sfruttare i bei momenti orchestrali che il direttore prepara e con i quali sostiene i cantanti. Ma qualcosa ci sarebbe da dire anche sul loro assetto vocale che non mostra particolarità, anzi è affetto da certa povertà quantitativa oltre che qualitativa. Il risultato complessivo è quello di un ascolto che pur nella piacevolezza generale che può ispirare, non fa percepire un lavoro convinto da parte di coloro che ci hanno messo mano. Va precisato che l’edizione è assolutamente integrale con la II parte del racconto di Lohengrin di cui già Wagner autorizzava l’espunzione. La direzione di Bychkov è molto interessante e ricca di quadri di grande suggestione a partire dal Preludio. Ciò che colpisce sono la pastosità e la compattezza dei complessi coloniensi e la sobrietà del direttore di non eccedere mai neppure nelle scene più fastose. Tre esempi: il Finale I notevolmente dinamico, il corteo nuziale che si muove in un crescendo di accordi semplici, qusi dimessi per poi raggiungere l’apice con gli accordi che precedono le esplosioni di Ortrud e da ultimo il Finale II, uno dei migliori mai uditi in cui all’organo maestoso si contrappone efficacemente il tema del dubbio. Da sottolineare anche il concertato del dubbio in cui tutte le voci hanno modo di emergere in un crescendo davvero sensazionale. Ma va detto anche dell’atmosfera cupa e lugubre e intrisa anche di desolata solitudine dell’inizio del II atto, ma l’incanto termina non appenaTelramund e Ortrud aprono bocca. Certo una Ludwig e un Fischer Dieskau si sarebbero sposati alla perfezione con quanto Bychkov suggerisce e avrebbero estratto chissà quali faville interpretative, ma qui al deserto poco ci corre. Il cast si limita a cantare tra il discreto ed il modesto. Brutture vere e proprie non ce ne sono, salvo forse qualche frase sguaiata di Struckmann quale Telramund. Del resto non ci si deve meravigliare. Già nel 1998 questo cantante aveva inciso Telramund e non era stato granché figuriamoci ad undici anni di distanza con una voce essiccata e costretta ad aprire in alto o talvolta sovrastata dall’orchestra, oppurde forzata (l’accordo con i Brabantini). A tratti, come la minaccia alla moglie del II atto «O Weib, das in der Nacht…» nella parte finale abbiamo un suono che vorrebbe essere terribile, ma è sguaiato. A tratti invece Struckmann avrebbe buone e, sul piano interpretativo, interessanti mezzevoci («Du wilde Seherin» e quel che segue), ma sono solo frammenti di una prestazione piuttosto alterna. Una pagina che per Struckmann è occasione mancata la troviamo nella ricomparsa di Telramund dopo il duetto Elsa-Ortrud del II atto («So zieht das Unheil in dies Haus»): Bychkov crea un’atmosfera davvero sinistra ed inquietante, ma questo Telramund si limita a digrignare i denti. Concitato appare anche nello scontro con Lohengrin, ma qui abbiamo dei suoni piuttosto nasali oltre alle aperture in alto. La Lang delinea un’Ortrud che vorrebbe essere di buone maniere, ma risulta piuttosto anonima e di voce piccola rispetto alla complessità in materia di note del personaggio. Ce ne avvediamo nei momenti più infocati dove mostra la corda: invocazione agli dèi pagani, scontro con Elsa davanti alla Chiesa (anche se qui bisogna dire che abbiamo certa cura nell’accentazione delle frasi) e, in particolare, davvero brutti i tre interventi finali con tanto di urlaccio. Se questa è la ‘coppia nera’, quella bianca – costituita dal protagonista e da Elsa – non sidistanzia più di tanto in termini di rendimento complessivo. La Pieczonka non ha una grande voce, né una espressività che evochi l’ombra delle Else che l’hanno preceduta. A tratti è leziosa («Du trugest zu ihm meine Klage») e ai limiti dell’evanescenza, né ha particolare dimestichezza con le sfumature e di ciò ce ne avvediamo alla frase «Mein Schirm! Mein Schirm! Mein Erlöser!» che scivola via. Nell’«O fänd Jubelweisen», che apre il finale I, l’accento diviene soubrettistico. Ma poi la Pieczonka cade in un errore davvero grave: quello di non far percepire l’accrescersi dello stato confusionale di Elsa nel duetto del III atto. Di qui, tutto il climax di catastrofe viene meno: sentiamo un canto discreto, ma nulla più. Botha veste i panni di Lohengrin e fa pensare ad uno studente di liceo: è vero che Lohengrin è giovane, ma non solo quello. Deve avere epicità unita alla contraddittorietà e al mistero e, a tratti, al misticismo. Tutti caratteri che invano si cercano in questo Lohengrin che si limita ad una certa affettuosità nei momenti amorosi con Elsa (scambio di battute iniziali) e ad una baldanzosità generica. Insomma un canto che è orientato al giovanilismo che però non ha il nerbo, né la severità richiesta, ad esempio, se deve rivolgere ad Elsa l’«Höchstes Vertraun» ed egualmente non troviamo accenti arcani nel celebre «In fernem Land», anche se tutto sommato è discretamente cantato. Restano il Re e l’Araldo: come dire dulcis in fundo. Difatti tanto Youn e, soprattutto, Schulte sono gli elementi migliori: il primo mostra una buona voce di basso, non moltissima autorità (Ridderbusch, Talvela e anche Pape sono lontani anni luce), ma morbidezza ed affettuosità. Schulte è un Araldo che scandisce i suoi proclami con ottima dizione e morbidezza di timbro (sarebbe potuto essere un ottimo Telramund), qualche lieve tensione l’avvertiamo in alto, ma è solo di modesta entità. Ma un’edizione di Lohengrin può reggersi sul Re e sull’Araldo ? I Cori sono ottimi, mentre unacritica va fatta per il fascicoletto interno che, oltre a non avere alcuna foto degli esecutori, non presenta il testo del libretto in sinossi su tre colonne per tre lingue (tedesco, inglese e francese), ma lo divide munendo di un’introduzione ed illustrazione dell’opera nella rispettiva lingua. Non mi pare un’idea felice.

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Conclusione

Porre una conclusione ad una discografia critica è sempre improprio perché si sa il tempo…. va avanti e nuove incisioni sono prevedibili accanto a ripescaggi di edizioni rare, spesso ‘live’. Questo tuttavia non impedisce di rilevare come nella discografia di quest’opera (e credo il fenomeno si ripeta per altre opere) si notano da un lato delle linee interpretative ben distinte per i singoli personaggi come ad esempio per Lohengrin: c’è chi privilegia il lato eroico e chi quello sentimentale, lirico e mistico con felici equilibri (vengono in mente nomi come Wolker, Anders, Thomas, Heppner), oppure per Ortrud il lato demoniaco e stregonesco ammantato di monumentalità (Klose e Varnay su tutte, pur nella loro diversità) accanto a quello più mellifluo, insidioso e per questo più pericoloso (Ludwig e, in particolare, la superlativa Meier). Il confronto tra parametri potrebbe continuare anche in sede direttoriale relativo alle tinte orchestrali escogitati dai vari direttori che hanno fissato su disco le loro colonne sonore.
Per altro verso però non passa inosservato il fatto che in questa discografia mancano alcuni nomi di artisti vocali e direttori che pur sono presenti in altre incisioni di opere dello stesso Wagner. Mi riferisco, ad esempio, a tre direttori. I primi due collocati nel periodo immediatamente post-bellico come H. Knappertsbusch e W. Furtwangler: il primo famoso per il suo Parsifal, il secondo per la sua Tetralogia: sarebbe stato interessante l’ascolto di un loro approccio a quest’opera. Il terzo invece è più recente, cioè C. Kleiber che insieme ad un soprano comeM. Price hanno dato una bella prova nel Tristano. Credo che la Elsa della Price (purtroppo prematuramente scomparsa di recente) avrebbe dato luogo ad un’ottima interpretazione a giudicare proprio dalla signorilità unita ad una vocalità tutt’altro che evanescente (raffigurazioni di donne nobili e sostanzialmente vittime degli eventi come Amelia, Isotta e Desdemona ce lo mostrano). E ripeto: una M. Price avrebbe funzionato meglio della Norman dell’edizione DECCA. Analogamente nel novero delle Ortrud sarebbero potute figurare due cantanti che, in tema di personaggi subdoli e insidiosi, hanno fatto testo, cioè S. Verrett e G. Bumbry: la prima in forza dell’accento, la seconda per la scoperta sensualità e aggressività.
Quanto ai tenori se si pensa al Py di Venezia con la Ricciarelli o al Giacomini con la Chiara a Trieste, un’edizione in studio con Kraus non credo sarebbe stata una follia. Lo so è un azzardo, ma in fondo l’opera non è a volte terreno di sperimentazioni? Altro assente, nella corda di baritono, che avrebbe potuto nobilitare Telramund sarebbe potuto essere S. Milnes. A me non è mai molto piaciuto, però si deve riconoscere con onestà che la sua carriera l’ha svolta con risultati lusinghieri.
Termino qui con questo testo che vorrebbe innescare una conversazione sul sito ed un approfondimento. Siamo davvero capaci con la nostra preparazione a far lievitare quanto fin qui poco ho scritto e fatto conoscere. A voi la parola cari amici e saluti….

Luca Di Girolamo

Categoria: Backstage

 

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