Backstage: Lohengrin - discografia ragionata parte 2 - di Luca Di Girolamo
Aggiunto il 20 Febbraio, 2011
Prosegue la revisione critica di tutte le incisioni di Lohengrin, sempre a cura di Luca Di Girolamo. Nella puntata odierna vengono introdotti alcuni grandissimi cantanti come Volker, Maria Muller e, soprattutto, l'immensa Margarethe Frida Klose. Ma c'è ancora Melchior a farla da padrone!
1942 GRAMMOFONO 2000 F. Völker – M. Müller – M. Klose – J. Prohaska – L.
(AB 78 863/65) Hoffmann – W. Großmann
Orchestra Staatskapelle di Berlino – Dir. R. Heger (3 CD)
Di tutte quelle pubblicate finora è la migliore ed una delle migliori di tutta l’intera discografia anche successiva. Trattandosi di un ‘live’ del 1942 la resa audio è molto buona la realizzazione artistica è, nel complesso ottima. L’unico taglio presente, oltre alla seconda parte del racconto di Lohengrin (autorizzato da Wagner stesso e che è una costante di quasi tutte le edizioni), è l’arioso delle profezie sulla Germania, ma anche episodi di raccordo – oltre a non essere tagliati – sono svolti con estrema cura. La direzione di Heger si segnala per il nobile lirismo delle pagine più distese e solenni (la processione alla Chiesa del II atto è splendida) e mossa in quelle più drammatiche. Molto nitido ad esempio risulta il concertato prima del duello del I atto. Meno singolare appare, pur nella sostanziale positività, la conduzione dell’introduzione del II atto in cui l’atmosfera lugubre ed insieme ossessiva del momento appare piuttosto diluita. Heger tuttavia accompagna molto bene le masse corali che eseguono molto bene i loro interventi offrendo il carattere di sana rusticità al popolo presente, ma anche di forza ai vari guerrieri. I cantanti sono tutti da lodare incondizionatamente per le qualità vocali dei singoli come anche per la resa interpretativa.
Völker è un Lohengrin diametralmente opposto – per timbro ed intenzioni interpretative – a quello sfoggiato da Melchior. Anzitutto il timbro, pur privo della giovialità del collega danese, non è menoattraente nel suggerire una indole più guerresca che mistica del personaggio. Ma poi la voce è robusta, piena, estesa, duttile tanto da sfoggiare morbidezze anche nei momenti più lirici. Un Lohengrin che forse guarda più ad Otello (altro personaggio interpretato da questo cantante) che ad un estatico cavaliere ma non per questo da dover gettar via, anche perché conferisce al protagonista dei tratti di forte virilità. Ciò anche per la larghezza di fraseggio che mostra negli scontri con Telramund specialmente nel II atto e in diversi passaggi dell’arioso finale «In fernem land». Un grandissimo Lohengrin a mio avviso superiore tanto a Melchior quanto a diversi che succederanno nella discografia, fatta eccezione per Anders nell’edizione MYTO del 1951. Al suo fianco la Müller disegna un’Elsa che vagamente ricorda la Flagstad, ma fortunatamente non ne possiede l’immobile staticità. Anzi in forza della duttilità del suono e anche per certe trovate interpretative (con un po’ di enfasi in qualche momento del duetto con Ortrud del II atto) riesce a ritrarre un personaggio giovanile, ma senza sdilinquimenti e querimonie. Particolarmente efficace nel III atto appare la sua trasformazione da creatura dolce e angelica ad una donna nevroticamente in panico ed invasata. Tutto sommato una bella prova.
La Ortrud della Klose è da antologia: statuaria ed efferata, la cantante tedesca anticipa certi aspetti che troveremo nella Varnay, ma si tratta di un’anticipazione molto più controllata sul piano della fermezza del suono e di equilibrio interpretativo. Questa cantante infatti piega il suo enorme e voluminoso strumento – peraltro granitico nei centri e nel settore grave – a sfumature davvero notevoli: dalla determinazione del duetto con Telramund, alla violenza dell’invocazione agli dei pagani del II atto, ripetuti anche nei tre interventi della parte finale dell’opera (ed è da notare un’estensione notevole in un contralto quale la Klose era). Ma l’apice è raggiunto nel duettocon Elsa: la costruzione della sua rete diabolica è costituita da un reiterato «Elsa» che è tanto più pericoloso e minaccioso quanto più è morbido. Nel prosieguo del duetto con Elsa, la Klose riesce a indovinare un’espressione davvero infantile e piangente per far risultare il suo stato di abbandono. Nelle parole poi che instillano in Elsa il dubbio il fraseggio è estremamente analitico. Basta sentire la cura meticolosa dei suoi due interventi «Wohl daß ich dich warne…» e «Könntest du erfassen» nella loro diversità. Occorerà attendere la Ludwig e la Meier per ascoltare una simile cura ed approfondimento di fraseggio. Nella scena della Chiesa l’aggressività vocale ed interpretativa della Klose fa testo ed abbiamo ritratta tutta la maleficità del personaggio, ben fronteggiato da una Elsa che con voce solida le ribatte le accuse punto per punto e, per concludere, ritroviamo un’Ortrud davvero invasata nei tre interventi finali («Fahr heim» e quel che segue). È l’esempio più alto, a mio avviso, di come una corposa e sana voce si armonizzi in modo completo con l’interpretazione del personaggio. Degno consorte di tale Ortrud è il Telramund di Prohaska; al centro due coordinate interpretative si impongono: da un lato la disperazione (tutto il suo intervento «Du fürchterliches Weib, steb ab von ihr» è da ovazione) e per altro verso la sete di vendetta che si rende davvero feroce in accenti sanguinari, disumani. Molto violenta in tal senso la perorazione del II atto e l’accusa a Lohengrin che inizia con la frase «O König ! Trubertörte Fürsten ! Haltet hein!». Anche nelle frasi più impervie Prohaska si fa valere per volume, estensione e suoni controllati senza mai scadere nel grottesco o nella caricatura. Declinante rispetto all’incisione del 1937 L. Hoffmann quale Re Enrico specialmente in alto, anche se non gli si può negare una bella autorità regale. Molto bene anche Großmann, Araldo di buona dizione e di solida voce. In sostanza un’edizione che si impone ancora oggi il cuiriversamento è stato fatto molto bene. Manca tuttavia nel cofanetto il libretto.
1942 ARKADIA L. Melchior – A. Varnay – K. Thorborg – A. Sved – N. Cordon – M.
(GA 2036) Harrell
Orchestra e Coro MET New York – Dir. E. Leinsdorf (3 CD)
Nello stesso anno 1942 al di là dell’Oceano fu captata e ora riversata in CD un’altra edizione di qualche merito e curiosità, ma nel complesso assai inferiore a quella coeva tedesca. Anzitutto la resa fonica è appena discreta e, a tratti, non ideale e la direzione di Leinsdorf che oscilla tra il normale e il modesto non sono l’optimum per un’opera dai ricchi contrasti strumentali. C’è da osservare poi che le atmosfere non sono rese alla perfezione: né quelle diafane e limpide legate ai personaggi buoni e neppure quelle tetre e plumbee destinate alla coppia Telramund-Ortrud. A ciò si aggiunge che il coro esegue in modo impreciso e alcuni tagli come quello del concertato che mostra Lohengrin cosciente del mutamento di Elsa e all’inizio dell’opera viene pesantemente sforbiciato il primo intervento del Re. Il cast tutto sommato poteva dare di più, ma c’è da osservare che due elementi appaiono in declino (anche se non in condizioni vocali rovinose) ossia Melchior e la Thorborg. Il primo, a distanza di due anni dalla precedente sua edizione al Met, si impone senz’altro per la forza del suo strumento, ma non è più disinvolto e vario come nel 1940. Qua e là il suono appare nasale anche se riscattato da un’espressione altisonante e squillante che però alle lunghe stucca. Di ciò se ne ha riprova tanto all’inizio («Mein lieber Schwan»), quanto nell’«In fernem Land» in cui anche certo gioco di piani riesce meno che un tempo, senza contare poi che in diversi interventi la perentorietà con la quale questo eroe si esprime è davvero eccessiva. Anche la Thorborg mostra qualche ruga rispetto all’edizione del ’40. Interprete grintosa e partecipe, questa cantante ci dona un’Ortrud a tratti forzataspecialmente nello scontro dinanzi alla chiesa e nei tre interventi finali nei quali risulta addirittura urlacchiante. Non poche volte poi sembra cantare a balzi. Sul piano interpretativo poi non c’è che un’unica dimensione – quella della forza – che le impedisce di essere velenosa e luciferina nel colloquio con Elsa. Il che non rende un buon servizio al ritratto puramente vocale del personaggio. Se avesse scelto una dimensione liricheggiante forse la sua prova sarebbe stata migliore. Interessante poi trovare la giovane Varnay quale Elsa. Ritroveremo questa cantante quale Ortrud di rango in molte edizioni successive. Qui udiamo una voce compatta e duttile specie nel I atto. Ma questa cantante – il cui temperamento è lontano mille miglia da Elsa – è convincente solo in parte. Se nel I atto ci fa ascoltare qualche pianissimo e qualche suono duttile, nel prosieguo dell’opera si appiattisce in suoni costantemente forti. Inoltre a questa Elsa manca pressoché la dimensione del candore e dell’innocenza. Le “aurette” del II atto sono perciò molto ampollose e mature per dare l’idea di una fanciulla quale è appunto Elsa. Anche nei momenti migliori della sua prestazione la Varnay guarda ostentatamente dall’alto del suo strumento e neppure ci fa comprendere – nel III atto – la progressione drammatica e febbrile che anima il personaggio nell’incalzare il protagonista. Se si considera poi che Melchior procede in modo analogo si arriva alla conclusione che i due che dialogano d’amore non sono innamorati, ma due signori piuttosto colossali nell’aspetto che si scambiano delle frasi improntate all’imperiosità. Il che è lontano dallo spirito dell’opera e dalla situazione specifica del momento. Gli altri cantanti abbassano il gia non esaltante livello dei summenzionati: Sved è un Telramund violento di gran voce, ma becero e sgraziato, Cordon è un Re abbastanza carente di autorità e Harrell (che si produrrà a diversi anni di distanza in un interessante Wozzeck) è centrato nella voce enella dizione. Tuttavia la dizione è molto ‘british’.
In sostanza un Lohengrin che non può essere fatto rientrare tra i capolavori dell’interpretazione di quest’opera.
1947 GRAMMOFONO 2000 L. Melchior – H. Traubel – M. Harshaw – O. Hawkins – D. (AB 78747/49) Ernster – W. Thompson
Orchestra e Coro MET New York – Dir. F. Busch (3 CD)
Si tratta di un’edizione piuttosto precaria per la resa audio e per diversi tagli e vuoti di registrazione che vi compaiono. L’elemento di maggior spicco resta la direzione di Busch: molto serrata e movimentata specialmente nelle scene di massa. Già avevamo udito questo carattere nell’edizione precedente (ARCHIPEL 1936), torna ora con minore cura. Il Coro canta molto male ed è impreciso tanto da compromettere qualche scena. Ritroviamo Melchior quale protagonista piuttosto affaticato, ma sempre con il piglio altisonante e unidirezionale dell’eroe che poco o nulla concede alle oasi liriche e procede forte del suo strumento ahimé appannato rispetto al ‘42 e, manco a dirlo, al ‘40. Possiamo dire che in più punti appena Melchior inizia a cantare si sa come si andrà a finire nei termini di una monotonia che si taglia a fette e neppure, ripetiamo, più lucida come un tempo. Al suo fianco la Traubel ci dona un’Elsa che sembra riecheggiare alcune movenze della Flagstad, anche se il suono e l’espressione sono più duttili. Ne scaturisce un’Elsa vigorosa, ma equilibrata. La Harshaw si fa valere per l’impostazione del personaggio, ma la voce, specie in alto, accusa difficoltà e nei momenti più vigorosi il personaggio perde molto della sua forza. Hawkins è un Telramund dal timbro piuttosto chiaro in rapporto al personaggio perennemente cupo ed imbronciato. Il che potrebbe essere anche una trovata, ma la voce nei momenti più infocati non regge una tessitura che comporta notevoli ascese di forza. Il personaggio ne risulta mortificato. Poco da dire su Ernster e su Thompson rispettivamente Re eAraldo.
1949 WALHALL ETERNITY I. Kozlovsky – E. Shumskaya – E. Smolenskaya – I.
(WLCD 0037) Bogdanov – G. Troitsky – Y. Galkin
Orchestra e Coro del Teatro Bolshoi di Mosca – Dir. S.
Samosud (3 CD)
Questo è l’unico caso di opera wagneriana incisa e cantata in russo. Alla qualità dell’esecuzione che ha in sé molti pregi si contrappongono alcuni tagli, primo tra tutti il lungo ed articolato scontro tra Lohengrin e Telramund sulla piazza di Anversa nel II atto. Un vero peccato tenendo conto che baritono e tenore sono molto validi, specie il secondo. Qualche taglio di certa entità lo presenta anche il primo intervento del Re nel I atto. Circa l’esecuzione in sé è molto buona, anzitutto, la direzione di Samosud salda e coerente, non priva di robustezza e solennità e capace, senza correre il rischio di sfaldarsi in tinte troppo insistentemente eteree e talvolta inconsistenti, di diversificare i diversi momenti della vicenda. Un bell’episodio da segnalare è la preparazione della sfida tra Lohengrin e Telramund: coro, orchestra e solisti si fondono e ci danno un notevole andamento cantabile. Bene anche il Coro e molto alto è anche il livello generale del cast a partire dai ruoli minori. Galkin è un Araldo di notevole voce e Troitsky ci presenta un Re dai tratti forse un po’ inclini allo Zar Boris (forse un fattore dovuto alla lingua e al vocalismo slavo), ma ha autorità e regalità da vendere non senza rinunciare, laddove occorre, a morbidezze. La Shumskaya ha un timbro chiaro e qua e là infantile, ma questo l’agevola nel ritrarre un’Elsa candida e dolce. Qua e là si sente il tipico vibrato delle voci orientali, ma ciò non provoca guasti evidenti nella sua impostazione (ad esempio la frase «Mein Erlöser» del I atto è superata bene). La comprensione del personaggio è presente e si giova, persino, a tratti di accenti regali. Antagonista di questa fanciulla sognante e candida è l’Ortrud della Smolenskaja che accenta bene ivari punti della parte, si fa valere vocalmente ed offre un ritratto forse meno spiccato di quanto solitamente ci viene offerto in questo personaggio, ma molto corretto sul piano del suono. La voce timbricamente è piuttosto chiara per un personaggio del genere, ma il settore acuto è notevole e saldo e nell’Invocazione agli dei pagani ciò è evidente, stessa cosa deve dirsi dei tre interventi del finale. Purtroppo alla Smolenskaja viene tagliato l’ultimo intervento nella scena dinanzi alla chiesa di replica alla difesa di Elsa al suo eroe. Molto interessante appare anche Bogdanov quale Telramund: non così feroce come si vorrebbe, in alcuni punti, questo cantante ci offre un ritratto di un eroe sostanzialmente sfortunato e fondamentalmente rinunciatario. Ciò lo fa cadere succube della perfida consorte e il gioco, tutto sommato, riesce. Sul piano del suono Bogdanov è molto corretto e non si odono accenti beceri che a volte affliggono il personaggio in questione. Infine il protagonista che è quel singolare cantante che era appunto Kozlovsky: la voce presenta un ventaglio timbrico molto composito e se all’ingresso del personaggio abbondano tinte che potrebbero essere definite come eburnee, nel successivo dialogo con Enrico, il suono si irrobustisce e si adegua alle esigenze del momento. Il tutto è tenuto su un livello più lirico che drammatico del ruolo, anche se l’eroismo non è sottaciuto: più che altro esso si esprime più sulla compattezza del timbro vocale e dell’espressività che su uno squillo vero e proprio che non è, tuttavia, del tutto assente. Sostanzialmente un grande Lohengrin senz’altro accostabile ai migliori incontrati fin qui e, diciamolo pure, dell’intera discografia.
1950 WALHALL ETERNITY L. Melchior – H. Traubel – A. Varnay – H. Jannsen – D. (WLCD 0146) Ernster – F. Guarrera
Orchestra e Coro MET New York – Dir. F. Stiedry (3 CD)
Quest’edizione ha in sé qualche pregio e presenta l’inizio dellafrequentazione da parte della Varnay del personaggio di Ortrud che ha segnato la sua carriera per oltre un decennio. Ma andiamo per ordine. La direzione di Stiedry è piuttosto disordinata anche se non manca di vigore. Alcune sezioni dell’orchestra vanno un po’ per conto proprio, le trombe stonicchiano specialmente nell’interludio della 2a-3a scena del II atto e nel commento all’alba del III. Inoltre nei passi più gioiosi e celebrativi è piuttosto secca e concisa (cf. Preludio atto III). A tratti però Stiedry cade nella banalità: ad esempio il «Der rache werk» all’unisono tra Ortrud e Telramund è introdotto con tinte corrusche che poi si diluiscono con il prosieguo del brano che scivola un po’ via, senza poi contare impropri stacchi troppo serrati e veloci (ad esempio il commento alla replica finale nello scontro Elsa-Ortrud nel II atto). Inoltre l’esecuzione presenta dei tagli a volte consistenti: il più vistoso è il concertato del II atto dopo la replica di Lohengrin a Telramund, ma taglietti piccoli e un po’ più grandi sono riservati ad alcune frasi del Re e di Lohengrin nel III atto, oltre al concertato seguente all’«In fernem land». Il coro è piuttosto chiassoso (specialmente la sezione femminile: i paggi che aprono il corteo di Elsa sono decisamente urlacchianti). Fra i cantanti la Traubel ripete la sua Elsa già presente nel 1947 con buona forma anche se in alto la voce accusa difficoltà (l’arduo «Wie deine Art» del III atto è troncato malamente). Valida la sua espressione ancora regale e vigorosa ma, a tratti la cantante prende il sopravvento sull’interprete e può ancora farlo perché la voce sostanzialmente tiene specialmente nel registro centrale. Ne scaturisce un’Elsa piuttosto matronale, ancor più che nel ’47. In pieno declino Melchior (il 1950 è l’anno del suo ritiro dalle scene) che si salva nella zona medio-acuta, ma in centro e in basso ci sono molte ombre. Intanto tutti i tentativi di alleggerire e sfumare cadono in suoni ingolfati (l’«Elsa ich liebedich» del I atto è difficoltoso), oppure di dubbia dizione, i fiati poi si sono accorciati sin dall’ingresso, le mezzevoci sono velate e qua e là udiamo suoni nasali, né mancano inesattezze nel rispettare i tempi di attacco. Se si ascolta solo questa esecuzione, tuttavia, si resta sorpresi della dovizia nello slancio in zona acuta, ma confrontando con le edizioni precedenti, Melchior è in declino e lo si sente. A tratti risolve a piena voce attacchi che un minor dosaggio di volume renderebbero ancor più suggestivi (ad esempio l’«Heil dir Elsa» del II atto), ma si comprende che il cantante deve fare di necessità virtù e giocare le proprie carte migliori che da sempre risiedevano negli acuti.
La Varnay è un’Ortrud molto chiara rispetto a quello che sarà in seguito e notevole è l’alleggerimento di alcuni suoi suoni (ciò accade specialmente all’inizio del duetto con Elsa del II atto). Gli acuti sono sostanzialmente fermi e non presentano quello stridore che si udrà in seguito. Buona, ma non coinvolgente più di tanto l’accesa invocazione agli dèi pagani e analogamente positivo è il risultato degli interventi finali dell’opera. Janssen è un Telramund di voce bianchiccia, di non particolare volume e di limitato spessore drammatico. A tratti è forzato, oppure petulante nei modi interpretativi (specialmente nelle battute iniziali al I atto). Va da sé che il grande scontro sulla piazza nel II atto lo trova in difficoltà. Peggio ancora è Ernster un orrendo re Enrico dalla voce vibrata e poco incisivo sul piano interpretativo. L’invito ad Elsa di difendersi – l’«Elsa verteid’ge dich vor dem Gericht !» che dovrebbe avere un’espressione paterna – ce lo fanno apparire come un Re biascicone e sdentato. Bene per finire Guarrera come Araldo.
Luca Di Girolamo