Sabato, 23 Novembre 2024

Backstage: Lohengrin - discografia ragionata - a cura di Luca DI GIROLAMO

Aggiunto il 14 Febbraio, 2011

R. WAGNER
Lohengrin
Discografia critica
I parte: i primi anni 1929-50

Edizioni di Lohengrin in disco (tedesco, italiano, russo, bulgaro) in grassetto quelle in mio possesso relative a questo periodo
* 1929 - Weiger - Wolff, Malkin, Gottlieb, Watzke, Helgers - Berlin (sel.)
* 1935 - Bodanzky - Melchior, Lehmann, Lawrence - New York
* 1936 - Busch - Maison, Hoerner, Lawrence - Buenos Aires
* 1937 - de Abravanel - Maison, Flagstad, Branzell - New York
* 1940 - Leinsdorf - Melchior, Rethberg, Thorborg - New York
* 1942 - Heger - Völker, Müller, Klose - Berlin
* 1943 - Leinsdorf - Melchior, Varnay, Thorborg - New York
* 1947 - Busch - Melchior, Traubel, Harshaw - New York
* 1949 - Samosud - Kozlovsky, Shumskaya, Smolenskaya - Moscow
* 1950 - Stiedry - Melchior, Traubel, Varnay - New York

Esiste un’altra edizione cantata in ungherese risalente al 1948. Si tratta di un ‘live‘ diretto da Klemperer (con Simandy, Rigo, Nementhy) del quale posseggo solo la selezione e non ho potuto reperire l‘integrale. Nel dettaglio questi i cast completi per ogni edizione.

1929 TAMINO RECORDS F. Wolff – B. Malkin – H. Gottlieb – R. Watzke – O. Helgers – A.
JGCD 0052 (selezione) Weltner
Städtisches Orchester Berlin, Chor der Staatsoper Berlin
Dir. H. Weigert (1 CD)

1935 MYTO L. Melchior – L. Lehmann – M. Lawrence – F. Schorr – E. List – J. Huehn
00214 Orchestra e Coro MET New York – Dir. A. Bodanzky (3 CD)

1936 ARCHIPEL R. Maison – G. Hoerner – M. Lawrence – F. Destal – A. Kipnis – F. Krenn
(ARPCD 0182-3) Orchestra del Teatro Colòn di Buenos Aires – Dir. F. Busch (3 CD)

1937 WALHALL R. Maison – K. Flagstad – K. Branzell – J. Huen – L. Hoffmann – A. Gabor
(WLCD 0011) Orchestra e Coro MET New York – Dir. M. De Abravanel (2 CD)

1940ARKADIA L. Melchior – E. Rethberg – K. Thorborg – J. Huehn – E. List – L. Warren
(GA 2020) Orchestra e Coro MET New York – Dir. E. Leinsdorf (3 CD)

1942 GRAMMOFONO 2000 F. Wölker – M. Müller – M. Klose – J. Prohaska – L.
(AB 78 863/65) Hoffmann – W. Großmann
Orchestra Staatskapelle di Berlino – Dir. R. Heger (3 CD)

1942 ARKADIA L. Melchior – A. Varnay – K. Thorborg – A. Sved – N. Cordon – M. Harrell
(GA 2036) Orchestra e Coro MET New York – Dir. E. Leinsdorf (3 CD)


1947 GRAMMOFONO 2000 L. Melchior – H. Traubel – M. Harshaw – O. Hawkins – D. (AB 78747/49) Ernster – W. Thompson
Orchestra e Coro MET New York – Dir. F. Busch (3 CD)

1949 WALHALL ETERNITY I. Kozlovsky – E. Shumskaya – E. Smolenskaya – I. Bogdanov
(WLCD 0037) G. Troitsky – Y. Galkin
Orchestra e Coro del Teatro Bolshoi di Mosca – Dir. S. Samosud (3 CD)

1950 WALHALL ETERNITY L. Melchior – H. Traubel – A. Varnay – H. Jannsen – D. (WLCD 0146) Ernster – F. Guarrera
Orchestra e Coro MET New York – Dir. F. Stiedry (3 CD)

Esame critico

1929 TAMINO RECORDS F. Wolff – B. Malkin – H. Gottlieb – R. Watzke – O. Helgers – A.
JGCD 0052 (selezione) Weltner
Städtisches Orchester Berlin, Chor der Staatsoper Berlin
Dir. H. Weigert (1 CD)



Inizio questo esame lungo 80 anni di incisioni di Lohengrin con questa vetusta edizione che è una selezione, ma più propriamente questo CD si dovrebbe chiamare collage, perché di 16 tracks che lo compongono solo 8 sono dedicati all’opera wagneriana. Il resto è un’antologia di brani di diverse opere (fra cui anche il nostro Rigoletto) cantati da Wolff, la Gottlieb ed Helgers. Dicevo, circa il Lohengrin, un collage perché con una disinvoltura estrema si passa da uno all’altro brano di uno stesso atto senza però creare fratture tutto èreso con consequenzialità dal direttore o da chi ha accostato i pezzi veramente molto bene. Due aspetti complessivamente positivi, uno invece negativo (anche se di minor entità). In negativo: il fascicoletto si limita ad un’unica lingua, è piuttosto spartano nella grafica nonostante la bella copertina. All’interno abbiamo le notizie sugli esecutori soltanto in tedesco. Positivamente però va considerata la buona resa fonica e un grande cast (orchestra, cantanti e coro. Di quest’ultimo ci viene offerto un frammento solennissimo del corteo nuziale del II atto). Wolff è un tenore di timbro brunito potente nell’emissione e che sa cantare piano laddove occorre, è eroico sul piano interpretativo e molto attento al significato delle parole in alcune situazioni cruciali (basta sentire come scandisce l’invito alla conversione a Telramund sconfitto). Insomma un grande Lohengrin che anticipa i successivi Völker oppure Anders. La Malkin è una solida Elsa non sdolcinata, ma neppure matronale e i suoi interventi, specie il duetto del III atto con Wolff, sono validi. Tra l’altro questa selezione vanta uno dei migliori duetti del III atto mai uditi. La Gottlieb – sfortunata cantante che è finita in un lager a causa delle sue origini ebree – è un’ottima Ortrud ben a suo agio nell’invocazione agli dei pagani (e in genere nei momenti di vocalità tesa: tagliente e vigorosa lo è anche nello scontro con Elsa) ma anche insinuante anche nelle frasi più subdole rivolte ad Elsa. Molto valido Helgers, re davvero autorevole e morbido nel suono e piuttosto buono è anche il Telramund di R. Wetze, sebbene gli venga dato poco spazio. Ottimo per finire per il volume e la franca scansione l’Araldo di Weltner.
L’unico rammarico è che, con simili cantanti, non si sia pensato ad un’edizione integrale. In Italia avevamo già Tosche, Trovatori, Aide di quell’epoca.


1935 MYTO L. Melchior – L. Lehmann – M. Lawrence – F. Schorr – E. List – J.
(00214) Huehn
Orchestra e Coro MET New York – Dir. A. Bodanzky (3 CD)



Si tratta della prima registrazione integrale dell’opera, ma parlare di integralità non risponde a verità. Infatti quest’esecuzione ‘live’ presenta diversi tagli (I atto: la sezione centrale del lungo monologo del Re Enrico, ridotto al minimo l’intervento dei cavalieri brabantini che vogliono distogliere Telramund; nel II atto: tagliuzzato anche il monologo iniziale di Telramund, tagliato è anche l’accordo di Telramund con i quattro suoi seguaci, tutta la prima parte dell’intervento di Telramund davanti alla Chiesa e interamente omesso il concertato «In wildem Brüten» e le successive battute di conversazione tra Coro e Lohengrin), ma poi che sia una versione arcaica dell’opera non è espresso solo dalla data (21 dicembre 1935), oppure dai frequenti fruscii e disturbi che comunque gravano pesantemente sulla resa del suono (un momento del duetto Telramund-Ortrud è praticamente inudibile), quanto dalla generale impostazione di quest’opera che privilegia tinte piuttosto forti con il risultato, negativo, di coprire a tratti le voci soprattutto alcune maschili. Indoviniamo però nelle linee generali un buon nerbo direttoriale: da notare la stringatezza con la quale è siglato il finale I. Bodanzky inizia bene cercando di rendere qualche piano o pianissimo, però non sempre è così perché più avanti prevale la ‘retorica del boato e del contrasto violento delle passioni’, anche a scapito dell’intonazione di alcune sezioni dell’orchestra (i fiati, ad esempio, scivolano spesso e basterebbe sentire l’interludio del II atto, sc. 2a e 3a). Questo lo si nota nello scontro delle due donne davanti alla Chiesa sul quale dirò più avanti, parlando dei due soprani. Del resto, in tale ottica unidirezionale senso spingono le voci e la frequente disordinatezza veramente esemplare del coro (specie all’arrivo di Lohengrin dove il caos è vicino, ma non solo lì). Alcuni momenti sono davvero brutti; alcuniesempi: il concertato che precede il duello del I atto è piuttosto trasandato, il coro del corteo nuziale è vociazzato e anche qui il caos è dietro l’angolo. La stessa cosa avviene nel Preludio del III atto che inizia in modo un po’ troppo frettoloso per poi far seguire tempi piuttosto larghi e quindi ancora marcata velocità: ne risulta un effetto abbastanza modesto e nemmeno troppo attraente anche per la pesantezza del coro. Bodanzky accompagna bene il successivo duetto Lohengrin-Elsa specialmente nella parte conclusiva e più concitata. Segue poi l’interludio tra 2a e 3a scena con i soliti fiati trasandati, ma con buon piglio guerresco. Poi i tagli intervengono ed amputano la seconda accusa di Lohengrin e tutto l’«Ihr hörtet alle, wie sie mir versprochen» per approdare al monologo «In fernem land» dove l’orchestra tenta qualche tinta diafana. Tagliato è anche l’«O Elsa ! was hast du mir angetan». L’orchestra sostiene efficacemente i tre interventi finali di Ortrud e sigla molto bene la comparsa del ritrovato Goffredo, per arrivare poi ad un Finale ben organizzato. Il cast è fortemente penalizzato dalla resa audio, tuttavia si fregia di nomi illustri. Anzitutto Melchior che inizia con il 1935 la lunga frequentazione, anche discografica, di un ruolo per il quale è passato alla storia. Già tuttavia si sente qui nella compattezza di timbro, nella facilità all’acuto e in generale nella robustezza della voce (tutte qualità che si apprezzeranno tuttavia nella successiva edizione del 1940 e che qui sono offuscate dalla non perfetta resa) che il personaggio emerge per la raffigurazione vocale (l’«In fernem land» è ottimo, ma non è un monumento di espressività) mentre una vera e propria interpretazione non si spinge oltre un’accentazione abbastanza generica che ha buone trovate a volte (qualche sfumatura nella parte finale dell’opera), ma non continuità. Al suo fianco la Elsa della Lehmann anticipa certa imponenza che troveremo nella Flagdstad con la differenza che nellaLehmann non è presente quella posa ieratica e quel guardare dall’alto che invece la cantante norvegese farà udire spesso. Ne scaturisce un personaggio vigoroso, capace di fraseggi accorati (specialmente nelle richieste al re del I atto) o addirittura concitati e nervosamente convulsi (l’avvio del concertato del I atto: «O fand Jubelweisen», le risposte ad Ortrud nello scontro del II, la parte finale del duetto con il tenore e, in particolare, le domande fatali a Lohengrin nel III: è un crescendo espressivo davvero notevole) coronati di suoni meravigliosamente sonori e squillanti (da ascoltare la replica alle accuse di Ortrud nel II atto e da qui si comprende il motivo per cui la Lehmann cantasse disinvoltamente Turandot). È chiaro che non abbiamo una spaurita fanciulletta celestiale, ma una regale e vocalmente formosa principessa nordica che utilizza la quantità vocale a sua disposizione partecipando alla vicenda molto più del partner maschile.
Molto più omogenea la ‘coppia nera’, anche se pesanti tagli amputano la parte del baritono: Schorr è un monumento di voce e di volume, ma sul piano interpretativo presenta alcuni limiti del tenore. Talvolta tira via ed è impersonale, talaltra invece tende a ingrossare i tratti del personaggio e non appare elegante (cf. la ricomparsa di Telramund dopo il duetto Elsa-Ortrud del II atto). È chiaro che con la voce che sfoggia supera abbastanza bene lo scontro davanti alla Chiesa. La Lawrence, a parte la pronuncia qua e la ‘british’, è un’Ortrud singolare: non regina delle tenebre e del paganesimo, ma calcolatrice e avida di potere che esprime con fraseggi nervosi, aguzzi e taglienti e con un timbro forse troppo chiaro rispetto alla tenebrosità che tradizionalmente è connessa al personaggio. Ma pur avendo questo timbro chiaro che le permette risultati espressivi validi ed insinuanti (cf. duetto con Elsa), la cantante australiana, a tratti, tende un po’ ad allargare le sonorità in basso. Ciò accade in qualche frase delloscontro del II atto con Elsa. Però, tutto sommato, una raffigurazione vocale ed interpretativa interessante che inaugura la serie di Ortrud giocate più sulla sottigliezza velenosa della parola anteposta alla quantità di materiale vocale. Il Re Enrico di List non vanta particolari proposte originali, anzi qua e là difetta per voce in autorità, specialmente fatica in alto (cf. il «Mein Herr und Gott» del I atto è proprio brutto tale da farci sentire un canto limitato e una voce malferma). Huehn è un Araldo piuttosto anonimo anche se di voce voluminosa. Il III CD contiene un bonus di arie wagneriane cantate ottimamente da L. Lehmann ed incise molto prima della presente edizione (periodo 1916-24).

1936 ARCHIPEL R. Maison – G. Hoerner – M. Lawrence – F. Destal – A. Kipnis – F. (ARPCD 0182-3) Krenn
Orchestra del Teatro Colòn di Buenos Aires – Dir. F. Busch (3 CD)



La seconda edizione del capolavoro wagneriano si colloca ancora nel continente americano, ma nell’emisfero sud. Trattandosi di un ‘live’ l’ascolto è precario e soffre di diversi disturbi, anche se grossomodo ci permette di avere un’idea delle linee esecutive, tanto della direzione di Busch quanto del cast. Diciamo subito che è un’edizione bilingue in cui i solisti cantano in tedesco ed il coro il italiano. Inoltre l’esecuzione è affetta da tagli, alcuni di tradizione (la seconda parte del racconto di Lohengrin) altri meno plausibili come il concertato del dubbio nel II atto, prima che Elsa venga irretita da Telramund.
Per quanto riguarda la direzione di Busch essa si impone per il dinamismo concitato di alcune scene (per la verità minore velocità non avrebbe guastato) e per certa abilità di saper condurre i cantanti ad esprimere il dettato wagneriano. Non si eccede in suoni fastosi e tutto resta nell’ambito di una buona esecuzione gravata, ahimé, dalla resa fonica.
I cantanti vedono elementi molto buoni affiancati da altri decisamentescadenti. Anzitutto R. Maison è un ottimo protagonista: fiero nell’interpretazione (poco disposto a particolari ripiegamenti malinconici, anche se essi non mancano, specie nell’arioso dei tre doni) e morbido nell’emissione. Al suo fianco una Elsa modesta e a tratti scadente è quella di G. Hoerner che anticipa quella serie di Else un po’ troppo gemebonde e, diciamolo pure, puerili. La sua Elsa non si impone per particolari chiose e neppure si differenzia particolarmente sul piano timbrico dalla sua antagonista Ortrud in cui ritroviamo M. Lawrence. Una cantante adusa ad un repertorio oneroso (fu anche Brünhilde) e che vanta un timbro abbastanza chiaro per essere un mezzosoprano, ma generalmente facile nell’acuto e notevole come piglio interpretativo. La sua invocazione agli dei pagani non si imporrà in modo indelebile nella memoria dell’ascoltatore, però non le si può negare validità esecutiva. Anche nei tre interventi del Finale dell’opera, sostenuti da ritmi nervosi e serrati, la Lawrence ha modo di farsi valere per l’impeto. Tuttavia gli acuti, pur non essendo gridati, sono appena toccati e non tenuti.
Fra gli uomini segnalerei il Re di Kipnis per nobiltà timbrica anche se, qua e la, i suoni dell’ottava inferiore risultano un po’ deboli. Meno avvincente il Telramund di Destal (altro cantante di casa in esecuzioni wagneriane del tempo) ciò perché il suo personaggio è uniformemente ringhioso e nemmeno vocalmente a posto.
C’è da osservare tuttavia che la cattiva resa fonica rende un po’ difficoltosa la valutazione analitica dei singoli elementi. L’importanza dell’esecuzione sta nell’avere una prima testimonianza dell’arte di R. Maison, tenore dal repertorio vasto e composto di personaggi di diversa caratura vocale ed espressiva. La veste editoriale manca del libretto dell’opera.

1937 WALHALL R. Maison – K. Flagstad – K. Branzell – J. Huen – L. Hoffmann – A. (WLCD 0011) Gabor
Orchestra e Coro MET New York – Dir. M. De Abravanel(2 CD)



Come per la precedente edizione la resa audio è piuttosto modesta, ma anche qui abbiamo utili elementi per considerarla nelle sue ombre e nelle sue luci. Per la verità di luci ce n’è una sola, data dal protagonista; difatti R. Maison si riconferma in una bella prova: voce morbida ed estesa, facile alle emissioni in pianissimo (il suo «Elsa ich liebe dich» del I atto è molto bello), rovente e guerresca nei passi più concitati. In sostanza un bel Lohengrin possibile alternativa al canto argenteo e spiegato di marca tipicamente germanica rappresentato da altri cantanti coevi. Al suo fianco la giovane Flagstad: bella voce, tornita, granitica nella sua emissioni, mai un momento di difficoltà. Tutte cose che sappiamo, ma la sua adesione al personaggio è molto dubbia. Intanto per il timbro così aulico che non si confà alla mite (e, al contempo, nevrotica) Elsa. Un conto è fare di questo personaggio una pupattolina ingenua, un altro conto è vederla trasformata in una statua di marmo su un piedistallo. Entrambi gli estremi sono disdicevoli e la Flagstad per il temperamento, il timbro e l’emissione ci mostra un’Elsa che è molto prossima ad Alceste. Ne risulta poca credibilità data anche da un lato dall’esecuzione di certi assoli (l’«Euch luften» del II atto è veramente marmoreo), per altro verso dal confronto con gli altri personaggi. Ad un Lohengrin che implora amore anche in modo carezzevole e con un bel timbro mediterraneo screziato di passionalità, risponde una rigida matrona che detta legge. Inoltre su un’Elsa siffatta sembra impossibile che le trame di Ortrud possono averla vinta. La Flagstad, insomma grande e grandissima cantante in alcune sue prove davvero memorabili, appare qui fuori posto, ad onta della regalità e della nobiltà. La Branzell è un’Ortrud che mostra comprensione del personaggio, ma la voce è modesta in estensione e se esegue l’invocazione agli dei germanici un tono sotto, mettendosi al riparo dai fraseggi veementiciò non accade nell’invettiva ad Elsa dinanzi alla chiesa che risulta forzato e difficoltoso. La stessa cosa si dica degli ardui interventi del finale dell’opera («Fahr heim» e quel che segue) piuttosto strillati.
Dopo appena 2 anni dal suo Araldo (ed. del 1935), troviamo Huen che non è un Telramund di grido: voce buona in centro, ma anch’egli come Destal evidenzia solo il lato furente del personaggio. A ciò si aggiunge che la sua parte è ampiamente mutilata. Hoffmann è un Re Enrico interessante nel suono, anche se in basso fatica un po’. Molto bene invece l’Araldo di Gabor: voce sonora, dizione valida e buon timbro.
La direzione di Abravanel non si segnala per particolari pregi (penalizzata anche dalla resa), tuttavia non dà parvenza di particolari approfondimenti: in alcuni punti è un po’ frettolosa, non crea specifici quadri d’ambienti, insomma passa e se ne va. Il coro è scadente e piuttosto rumoroso e ciò lo si ode nei vari punti più concitati. Ma ciò che veramente impoverisce tale edizione è la quantità dei tagli: potremmo dire che almeno un 20% dell’opera non la si ascolta. Tagli che investono soprattutto i personaggi maschili: il Re (viene privato del suo ingresso nella sua integrità), Telramund (sin dal I atto i suoi interventi sono ridotti, manca poi – e questo è grave – il suo mettersi d’accordo con i 4 cavalieri brabantini nella scena della Chiesa del II atto) e lo stesso Lohengrin che si vede privato di diversi interventi del finale dell’opera). Ma i tagli investono anche alcuni passaggi concertati come quello che parte dalle parole «Welch ein Gehemnis muß der Held bevaren ?», sicché si passa dall’accorgersi di Lohengrin del mutamento di Elsa al velenoso stratagemma di Telramund verso quest’ultima.
Un Lohengrin che, nell’ambito delle edizioni degli anni ‘30, non può certo porsi come modello, resta perciò una curiosità peraltro nemmeno troppo apprezzabile nel novero delle edizioni che si sono susseguite nella storia, ma che non fastoria a sé. La veste editoriale manca del libretto dell’opera.

1940 ARKADIA L. Melchior – E. Rethberg – K. Thorborg – J. Huehn – E. List – L.
(GA 2020) Warren
Orchestra e Coro MET New York – Dir. E. Leinsdorf (3 CD)



Sensibilmente migliore come resa audio, questa edizione si segnala per alcune prove decisamente notevoli, se non addirittura eccezionali. Andiamo con ordine occupandoci della direzione di Leinsdorf che appare molto fastosa nelle scene più solenni, mentre sembra un po’ lasciare in ombra quelle oasi liriche tanto importanti in questa partitura. Inoltre non è particolarmente attraente nel ricreare determinate atmosfere, si limita qui ad accompagnare e non di rado in modo tutt’altro che esemplare. Ciò accade ad esempio all’inizio del III atto il ritmo è piuttosto rapido, né mi paiono dosate le sonorità nell’interludio tra 2a e 3a scena sempre di questo III atto. Il coro è piuttosto confusionario e chiassoso.
Come nell’edizione precedente compaiono alcuni tagli (in misura leggermente minore rispetto al 1937), tuttavia alcuni ingiustificati come l’omissione dell’incontro tra Telramund e i 4 cavalieri brabantini prima della scena della Chiesa al II atto. Altri tagli vanno a colpire il monologo iniziale del Re (atto I), il concertato dopo che il protagonista vede Elsa angosciata (II atto) e qualche sprazzo del duetto Elsa-Lohengrin del III atto. Il finale poi manca della II parte dell’addio del protagonista e delle profezie sulla Germania.
Melchior è vocalmente un grandissimo Lohengrin: si ascolta meglio rispetto all’iniziale edizione del 1935 il timbro argenteo, la voce duttile anche nei piani e pianissimi, la foga interpretativa nei momenti infuocati, ma anche dolcezza in quelli elegiaci, senza che tuttavia la voce subisca momenti di affiochimento o impaccio. Melchior a tratti fa ascoltare anche qualche soluzione interpretativa singolare. L’esempio che maggiormente colpisce èil suo rivolgersi ad Ortrud (II atto) con un «Du fürchterliches Weib, steb ab von ihr» la cui minaccia assume maggior rilievo in quanto espressa in piano e non sbraitata o declamata a tutta voce. Ma, ciò non appare sempre e, tutto sommato, il cantante prevale sull’interprete. Se ciò può deliziare in soli termini di canto, non rende giustizia alla completa raffigurazione del personaggio.
Molto bene anche la coppia delle due donne. Anzitutto la Rethberg: voce ottima, corposa in tutta la gamma con facilità in salita, ma non esemplare nei pianissimi. Qualche perplessità fa sorgere la sua interpretazione nel senso che la pospone al canto. Però la sua aderenza al personaggio è più convincente, a mio avviso, di quella offerta dalla Flagstad nel senso che appare più partecipe nel mostrare e proporci gli smarrimenti di Elsa. Sua antagonista, nella parte della subdola e malefica Ortrud, è K. Thorborg: voce estesa ma anche duttile nei piani, interprete convincente nei momenti più insidiosi come in quelli più scopertamente drammatici. Passa dignitosamente attraverso l’ardua invocazione agli dei pagani, prosegue molto bene nella ‘piazzata’ davanti alla chiesa («Züruch Elsa») anche se gli acuti non sono poi così fluenti come ci si aspetterebbe ed egualmente ritroviamo una buona esecuzione dei suoi tre interventi finali. Anche il misterioso e macchinoso duetto dell’inizio del II atto trova la Thorborg in regola con il fraseggio insinuante e senza mai caricare nelle esplosioni più infocate. Al suo fianco Huen ripete il suo Telramund non particolarmente rifinito, ma apprezzabile e si nota rispetto alla precedente edizione una maggiore partecipazione, senza contare che la resa audio è migliore. A distanza di 5 anni si ripresenta il Re Enrico debole e piuttosto tremolante di List e che in alto soffre e manca di una vera autorità e regalità sul piano dell’interpretazione. Come Araldo troviamo il giovane Warren (debuttante tre anni prima come Paolo Albiani in un Simon Boccanegrasempre qui al MET con Tibbett, la Rethberg, Pinza e Martinelli) che si fa valere per le doti vocali (colpisce già – ad esempio – quell’estensione che, nel prosieguo della sua carriera, si consoliderà sempre più offrendo effetti davvero sorprendenti in un baritono) per i timbro chiaro e, al contempo, robusto e per la dizione.
Si sente anche il pubblico che applaude molto convinto. La veste editoriale manca del libretto dell’opera.
Fine prima parte

LUCA DI GIROLAMO

Categoria: Backstage

 

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