Backstage: Cosima. Prima parte
Aggiunto il 27 Ottobre, 2008
Cosima Wagner (prima parte)
A corollario del bellissimo pezzo di Matteo Marazzi sulle Isolde storiche e sul Wagner internazionale ho scritto alcune schede sulla Bayreuth post-Wagner. E’ un argomento immenso dalle implicazioni politche e sociali difficili, sulle cui atroci derive gli animi e le sensibilità personali sono tutt’altro che quiete.
Però, al di là di tutto, sono convinto che, sotto il profilo teatrale e musicale – è di questo che si occupa operadisc, no?- figure come quelle di Cosima Wagner, di Siegfried e della stessa Winfried meritino più attenzione di quanto gli appassionati wagneriani e certa critica abbiano loro riservato.
Soprattutto Cosima, di cui abbiamo letto e leggiamo, anche da parte di alcuni autorevoli critici, giudizi sommari e condanne senza appello.
Per molti Cosima è stata solo una vestale ottusa e miope, per altri una sorta di autoritaria segretaria personale di Wagner autoelevatasi al rango di erede artistica e spirituale. Senza dubbio Cosima Wagner è stata anche questo; ma ugualmente si è rivelata una donna di grandi vedute, astuta, lucida, razionale e, soprattutto, autonoma. Il suo stile wagneriano non può essere più qualificato come “derivativo”, ma sono del parere che meriti altri tipi di esami e di valutazioni.
13 febbraio 1883
Alla morte di Wagner, tutti erano convinti che anche Cosima volesse morire. Le cronache riportano che si tagliò i capelli in segno di lutto e rimase a vegliare la salma per quattro giorni senza toccare cibo. Con questo gesto, così colmo di retorica wagneriana e sapientemente divulgato senza pudore alla stampa mondiale, Cosima già metteva la prima pietra all’edificio che avrebbe costruito.
La coppia regale del mondo musicale si era spezzata; senza Wagner, anche Cosima cessava di esistere. Nella morte, la simbiosi tra i due si colorava di eternità.
Ai funerali e alle cose pratiche pensò il banchiere Adolf von Gross.Originario di Bayreuth, intelligente, astuto, creativo, devoto wagneriano, costui diventerà una figura fondamentale per la famiglia Wagner negli anni a venire. Morto il compositore, Gross sarà il braccio destro di Cosima e l’unico di cui lei seguirà i suggerimenti senza discutere.
Il non-testamento.
I problemi sulla successione si posero immediatamente: e spinosi.
Wagner non aveva dettato un testamento ufficiale; non esisteva nemmeno nessuno scritto, né pubblico né privato, in cui avesse espresso la volontà di passare le redini dell’impresa a qualcuno: tantomeno alla moglie. Solo alcune annotazioni nei Diari di Cosima (quindi di nessun valore legale) ci informano che Wagner voleva seguire personalmente i festival fino al compimento del ventesimo anno del figlio Siefgried per poi passargli lo scettro. Sembra incredibile ma non esisteva –né esiste- un documento ufficiale che esprimesse de jure la volontà di Wagner nell’utilizzare la Festspielhauseielehause esclusivamente per i propri lavori. Su questa materia aveva fatto solo progetti: e in gran parte contraddittori.
L’unica volontà espressa in maniera chiara era la seguente: tutte le sue opere, dall’Olandese al Parsifal dovevano ricevere, prima o poi, il battesimo di Bayreuth.
Anche la questione sui diritti d’autore era tutta per aria. Wagner non aveva la tempra “contabile” di un Verdi; tutto preso nel cavalcare i suoi ideali estetici non aveva avuto il tempo (e forse nemmeno la voglia) di occuparsi di faccende materiali.
Wagner non aveva nemmeno messo ordine sotto il profilo giuridico. I tre figli avuti da Cosima (Eva, Isolde e Siegfried) erano nati prima dal matrimonio. Dal momento che il padre effettivo (Wagner) non li aveva riconosciuti, per l’anagrafe risultavano ancora come von Bulow (ex-marito di Cosima).
I motivi di questo silenzio testamentario possono essere molti e le ipotesi che ne derivano suggestive: sta di fatto che alla morte delcompositore Cosima ereditò una montagna di debiti, cinque figli di cui tre illegittimi, una villa e un teatro. Nient’altro.
Le conseguenze di questo stato di cose sono facilmente immaginabili.
La morte improvvisa di Wagner aveva avuto un’eco mondiale e ingigantito ancora di più la fama dell’artista. Come dice Matteo Marazzi nell’articolo sulle Isolde, “tutti si scoprivano wagneriani”. In mancanza di un reggente designato dal fondatore, Bayreuth si apprestava a diventare un’isola circondata da squali.
Gli squali
Chi erano questi squali?
Principalmente le Associazioni wagneriane sparse per il mondo -autorizzate dallo stesso Wagner- al cui interno erano sorti patronati che avevano raccolto (e raccoglievano) ingenti somme di danaro per sostenere la causa wagneriana di Bayreuth.
Negli anni antecedenti al primo Festival, Wagner, nel suo bisogno spasmodico di danaro, era stato imprudente: aveva fatto promesse, creato illusioni, alimentato speranze. Come il Wotan del Rheingold aveva stretto patti con leggerezza per costruire il suo Walhalla.
Adesso, morto Wagner senza testamento, alcuni ricchi investitori pretendevano non solo di esprimere pareri vincolanti sul futuro artistico del Festival ma addirittura reclamavano interessi di comproprietà sul teatro oltre che sui diritti del Ring e del Parsifal.
Nel 1883 quindi –come si legge da molte parti- non era in discussione solo la legittimità della famiglia nel gestire l’eredità “artistica” del compositore; si discuteva addirittura se i Wagner potessero legittimamente vantare una qualche pretesa di carattere economico sul patrimonio wagneriano.
Cosima si mette al lavoro.
Lei capì benissimo questo stato di cose.
Vedendo volare gli avvoltoi su Bayreuth, decise di prendere tempo. Si impose quindi un’immagine di lutto stretto e, per più di un anno, rimase chiusa a Wahnfried apparentemente isolata dal mondo.
Fu laprima di una serie di mosse tattiche formidabili; da qui nacque la mai sopita leggenda di una vedova in gramaglie in seguito costretta, suo malgrado, a prendere le redini di un’istituzione fresca di nascita onde tutelarne il futuro.
In realtà, se leggiamo gli scritti di quel periodo, Cosima, barricata a Wahnfried, cominciava a tessere la tela della successione.
Prima di pensare all’arte bisognava mettere a punto le faccende materiali: ovviamente assieme von Gross.
Wagner era morto da poco e già lei scriveva all’amico banchiere di volere a tutti costi andare avanti con il Festival del 1883. Sebbene il Parsifal del 1882 si fosse chiuso con un attivo di 135.000 marchi, rimanevano ancora da colmare le immense voragini apertesi in seguito al primo Ring del 1876. Bisognava far cassa e quindi il ferro del Parsifal andava battuto finché caldo.
Nello stesso periodo autorizzò Gross a compiere i primi passi legali per riconoscere lei e il figlio Siegfried unici eredi delle proprietà materiali e intellettuali di Wagner, muri della Festspielhause compresi. Questa esclusione delle figlie femmine può sembrare una crudeltà; a ben vedere fu necessaria. Isolde e Eva erano nate prima del divorzio da Bulow e quindi, per la legge bavarese che dava per assodata la fedeltà coniugale durante il matrimonio, un riconoscimento a posteriori di tutti e tre sarebbe stato impossibile. Bisognava salvare almenoil tredicenne Siegfried, l’unico nato dopo il divorzio.
Gross si produsse in un autentico capolavoro di tecnica giuridica. Creò un documento perfettamente legale che poneva Cosima –e suo figlio Siegfried- in una posizione inattaccabile quali unici detentori dell’autorità morale e legale nel gestire tutto il patrimonio wagneriano. Questa mossa a sorpresa cacciò temporaneamente gli squali lontano da Wahnfried.
E fu la prima vittoria di Cosima.
Alcuni accreditati studiosi sostengono che in questo anno di forzata clausura Cosima si occupasseanche di un compito che caratterizzerà, a livello ossessivo, tutti i lungi anni che sopravvisse al marito; ovvero raccogliere ogni lettera, abbozzo, foglietto, memo scritto di pugno da Wagner purgando, distruggendo, censurando tutto quello che poteva ledere l’immagine del genio. Come dice Spotts “sradicò ogni più piccola verruca dall’immagine del defunto”.
Fermi restando i più che leciti dubbi sulla verità dell’accusa, rimane un fatto: Cosima non fece questo soltanto per devozione o, ancora peggio, come sostengono alcuni per vittoriana pudicizia. Lungimirante, aveva capito benissimo che solo dando al culto wagneriano delle solide fondamenta poteva garantire la sopravvivenza, soprattutto materiale, della propria famiglia e dei suoi discendenti. E il futuro le darà ragione. Se il Festival oggi esiste, lo si deve a Cosima e a Von Gross.
I Parsifal del 1883 e del 1884.
Wagner era morto il 13 febbraio. Le prove dell’annunciato “Primo Parsifal senza Wagner” devono cominciare a giugno. Occorre dare una guida al Festival. Come abbiamo visto Cosima non può scendere in campo nemmeno per avanzare candidature; tutto il mondo musicale e artistico la sa chiusa a Wahnfried immersa nel cordoglio e distaccata dalle cose materiali.
E’ vero che alcuni già sostengono una futura reggenza della vedova in quanto moglie di Wagner e sua fidata consigliera nei momenti creativi. Però sono pochi; i più la escludono a priori in quanto donna, non tedesca né di nascita né di educazione nonché priva di qualunque titolo musicale per un tale compito.
Nel frattempo però la stampa e soprattutto i comitati wagneriani di tutto il mondo cominciano a fare pronostici e le forti associazioni musicali della Baviera addirittura suggeriscono di passare la gestione del Festival a Monaco, sulla base di un’antica idea esposta dal compositore a Ludwig.
Non si può aspettare: il nome di un eventuale successore deve partire da Wahnfried.
Cosima richiama quindi i fedeli a corte tra cui Hans von Wolzogen.
Wolzogen era stato e sarà una figura di spicco nella propaganda wagneriana. Colto, raffinato umanista di provata fede bayreuthiana, radicalmente xenofobo e antisemita, appartiene di diritto alla schiera dei primi fideistici e intruppati adoratori di Wagner. Nel 1876 aveva fondato i Bayreuther Blatter, una sorta di bollettino wagneriano dedicato ai patroni del Festival che da allora era diventato il portavoce ufficiale del pensiero wagneriano e della sua famiglia. Costui, tramite i Blatter, può autorevolmente parlare al posto di Cosima.
E quali sono i due assi che Cosima mette sul tavolo per interposta persona? Hans von Bulow e Franz Liszt; ovvero il più fidato amico di Wagner e il suo benefattore per eccellenza negli anni bui dell’esilio. Non solo il profilo artistico ed umano dei due era tale da non poter essere messo in discussione ma Cosima, astutamente, sa bene che né l’uno né l’altro accetteranno mai un tale incarico. E così succede: il primo non vuole saperne di tornare in un ambiente da cui era uscito con le ossa rotte e il secondo candidamente si dichiara troppo vecchio per una tale impresa.
Cosima senza dubbio ha guadagnato tempo; ma il Parsifal è alle porte e occorre individuare un responsabile, seppur temporaneo che si faccia carico del riallestimento e delle prove.
Sotto il profilo artistico, Levi è il candidato ideale.
Direttore d’orchestra ispirato, intuitivo e passionale, Levi era stato (sono parole di Wagner) la prima ragione del successo del Parsifal. Però è un ebreo; un cosa è dirigere il Parsifal, un’altra è gestire la prima edizione del Festival dopo la morte di Wagner, ereditandone di nome e di fatto pieni poteri artistici e morali. L’antisemitismo, radicato nella Germania dell’epoca, era particolarmente forte a Bayreuth. Come afferma Newman nella sua biografia wagneriana, dopo la morte del compositore, il “tema dell’Ebreo” eradiventato “un leitmotive che nella Festspielhause risuonava con la stessa frequenza di quello dell’Oro nell’Anello del Nibelungo”.
Cosima sa bene che non può passargli il comando senza scatenare un putiferio da parte dei wagneriani più reazionari che sono, guardacaso, quelli più facoltosi e razzisti. Pertanto ripiega su Julius Kniese incaricandolo di riallestire l’opera con lo stesso cast artistico e tecnico dell’anno prima.
Kniese è un pupillo di Liszt, molto competente sotto il profilo musicale, ed è stato con profitto utilizzato da Wagner come assistente durante l’allestimento di Parsifal. Costui incarna in maniera emblematica il modello dell’ultras wagneriano di cui la storia di Bayreuth è quantomai ricca. Kniese infatti è puntiglioso, arrogante e, ovviamente, razzista a livelli maniacali.
Cosima non è imprudente; sa bene che mettere al lavoro Levi, come direttore d’orchestra e Kniese come responsabile delle prove (di fatto del riallestimento) equivale a buttare dell’alcool su una fiamma viva. Ma Kniese serve ai suoi scopi e, fatto l’incarico, attende pazientemente chiusa a Wahnfried.
Nel giro di poco la situazione precipita. Kniese maltratta i cantanti, gli orchestrali i tecnici di palcoscenico. E’ il classico discepolo wagneriano che si ritiene investito di autorità divina nell’interpretare i dettami del Maestro. La sua ferocia razzista si scatena ovviamente su Levi il quale, dopo l’ennesimo affronto, vuole dimettersi.
Poiché Cosima ha deciso di non mettere piede in teatro, tra la sala della Festspielhause e Wahnfried corrono roventi dispacci da bollettino di guerra. In uno Kniese passa il segno dichiarando che “Levi si sente offeso dai miei comportamenti. Ma io non lo critico personalmente; è il tragico destino suo e della razza a cui appartiene”.
La situazione è intollerabile e il Parsifal a rischio. Cosima quindi, nell’urgenza del debutto, sceglie il male minore. Senza Levi il Parsifal non può andare avanti:senza Kniese, sì. Pertanto esautora quest’ultimo dall’incarico. Lo reintegrerà successivamente come direttore dei cori.
Al gesto radicale segue ovviamente un’alzata di scudi da parte dei fedelissimi wagneriani che però Cosima, sebbene anche lei di certo non multirazziale, fronteggia con pragmatismo esemplare. Fa pubblicare un comunicato del seguente tono “Levi è moralmente inadeguato e musicalmente non qualificato per dirigere il Parsifal – seguono firme”. Ovviamente nessuno ha il coraggio di firmare una tale petizione e Levi rimane al suo posto.
Con il Parsifal dell’anno seguente (1884) Cosima esce dalla reclusione sebbene non sia ancora tempo per una presa di potere definitiva. La vedova pertanto continua a lavorare dietro le quinte, concedendosi però un passo in avanti. Accetta infatti di entrare nella Festspielhause, ma si fa costruire una sorta di cabina con tende scure dal cui interno segue le prove. Non parla con nessuno e nessuno la vede, come la misteriosa badessa di un convento di clausura. Comunica con gli artisti tramite dettagliate comunicazioni di carattere tecnico.
Basta leggere le indicazioni musicali che invia a Levi riguardo ai tempi, ai colori, alle sfumature del Parsifal (sono nel suo epistolario pubblicato dalla Rusconi) per rendersi conto del suo talento artistico e musicale. Come sostiene Spotts, “dilettante o meno, lei sapeva farsi valere tramite un’autorità quantomai persuasiva”. E come si rivolge a Levi, così tratta con gli altri componenti la troupe: entra nel dettaglio, lavora sulla pronuncia dei cantanti, specifica gesti e posture da tenere sul palco, non esita nell’organizzare le grandi scena corali del primo e del terzo atto.
Tutti l’aspettano al varco e il Parsifal del 1884 è un successo. La critica tedesca è divisa in due fronti: da un lato ci sono coloro che inneggiano al Parsifal in termini chiaramente ideologici (già si parla di una rigenerazione della Germania attraverso Bayreuth); dall’altro cisono i nostalgici che vedono il Parsifal (morto Wagner) trasformato in un’occasione mondana nata per soddisfare la curiosità di ricchi appassionati desiderosi di vedere un’opera per legge vietata in teatri internazionali. Il Times è spietato: “la Festspielhause è solo un monumento alla vanità più sconsiderata; non è nient’altro che una lussuosa depandance del manicomio locale, costruita su una collina nei dintorni della città”.
Ma, a prescindere dalle valutazioni sul merito, le recensioni sono molte, l’eco dell’avvenimento mondiale e, cosa più importante, tutti i critici sono concordi nel lodare il risultato artistico dell’operazione.
La fama di Wagner è più grande che mai, il teatro esaurito (non sarà così in futuro per altre opere) e ll livello esecutivo di grande pregio.
Forte del successo ottenuto e dagli ottimi risultati –anche finanziari- derivanti dall’aver portato avanti il festival per due stagioni dopo la morte del marito, Cosima, nell’ottobre del 1884, annuncia ufficialmente di voler prendere il comando di Bayreuth. Questa decisione crea sconcerto nei circoli musicali più autorevoli; già si parla di tradimento dell’ideale wagneriano, si afferma che la vedova squalifica la sacralità del luogo, la sua leadership viene letta come un oltraggio. Il furore di alcune società wagneriane è tale da spingerli a inviare a Wahnfried due emissari per consegnarle personalmente un veto a procedere.
Lei non li riceve nemmeno.
L’era di Cosima Wagner ha inizio.
Maugham