Sabato, 27 Luglio 2024

Backstage: Der Freischütz alla Scala - Il trionfo di Chung

Aggiunto il 14 Ottobre, 2017

Der Freischütz
Direttore   Myung-Whun Chung
Regia   Matthias Hartmann
Scene   Raimund Orfeo Voigt
Luci Marco Filibeck
Drammaturgo Michael Küster
Costumi Susanne Bisovsky e Josef Gerger
Collaboratore ai costumi Malte Lübben
Coro e Orchestra del Teatro alla Scala
 
CAST
Ottokar Michael Kraus
Kuno Frank van Hove
Agathe Julia Kleiter
Äennchen Eva Liebau
Kaspar Günther Groissböck
Max Michael König
Ein Eremit Stephen Milling
Kilian Till Von Orlowsky
 
Chiunque di voi abbia letto ogni mio singolo pensiero riguardante Chung sa probabilmente cosa penso di questo direttore. Dopo alcuni anni non felicissimi, segnatamente durante la reggenza di Santa Cecilia, Chung è ritornato a essere quel gigantesco direttore che si intravedeva dai primi anni di assistentato a Carlo Maria Giulini, suo mentore e maestro. Gli ultimi anni poi ne hanno definitivamente consacrato il genio e la straordinaria capacità tecnica. Chi ha avuto la fortuna di sentirlo per esempio nel Simone veneziano e poi in quello scaligero può sicuramente confermarlo. Logico quindi che un Freischütz alla Scala diretto da Chung non possa che essere un prelibato evento da non perdere.
E il direttore coreano non delude, mettendo a segno uno dei suoi spettacoli clamorosamente più riusciti creando idealmente un ponte con lo spettacolo messo in scena nel 1955 in questo stesso teatro con la direzione del suo mentore.
Per Chung Der Freischütz non è – o non è solo – l’opera protoromantica per eccellenza. Il fulcro invece è la leggenda e, partendo dalla leggenda costruisce colori orchestrali incredibili, oserei dire magici, talmente particolari da emanare addirittura profumi sulfurei e maledetti, contemporaneamente realistici e fantastici. Già nell’Ouverture – che curiosamente Weber scrisse come ultimo brano dell’opera – l’orchestra di Chung pulsa incessantemente costruendo unordito fittissimo ma trasparente, dove i cannoneggiamenti di certe interpretazioni – seppur magistrali – vengono sostituiti da insolite trasparente, contrasti improvvisi, languide aperture romantiche e chiarezze cameristiche. Il tutto però sostenuto da un suono che definire bello è decisamente riduttivo – l’Orchestra della Scala suona sempre divinamente con Chung. Sconvolgente come Chung svolge nell’ouverture la citazione della fusione della settima palla da fucile. Una vera lezione di tecnica. Strepitoso il corno di Monte De Fez. Bravissimo.
Non mancano i momenti bombastici è ovvio. La scena della gola del Lupo è sapientemente spaventosa, ai limiti del grottesco a volte, ma sempre avvolta da una leggera nebbiolina tipica dei racconti delle leggende tramandate dagli antichi custodi dei villaggi. Abbiamo quindi paura ad entrarvi ma non per i decibel, bensì per l’inquietudine che alcuni silenzi e alcuni respiri rubati in orchestra ci trasmettono.
Il finale è semplicemente magistrale, sia per la perizia tecnica con cui ogni parte viene dipanata, quasi srotolata, resa un assolo e poi inserita in un unicum grandioso, sia per il taglio quasi religioso impresso alla partitura. Complessivamente una grande prova anche del Coro, attentissimo e potente.
 
Tra i cantanti spiccano – in un’opera di uomini – le due donne. Julia Kleiter è una meravigliosa Agathe, dalla voce pura, quasi angelica. In particolare “Wie nahte mir der Schlummer” è narrata con un bel colore, fresco, morbido e con voce ben proiettata. Bravissima Eva Liebau, Annchen, sia vocalmente sia per aver sopportato con dignità quell’orrenda cosa posizionata in testa che la faceva apparire come la caricatura ridicola di un celebre personaggio disneyano. Anche nel suo caso il personaggio è ben delineato con voce ferma, sicura, svettante in acuto e proiezione correttissima.
 
Nel mondo degli uomini iniziamo da Stephen Milling, straordinario eremita e dall’ottimo Ottokar diMichael Krause per poi arrivare ai due estremi: il migliore Günther Groissböck (Kaspar) e purtroppo il peggiore Michael König (Max). Il basso austriaco, dotato di notevole figura scenica, entra splendidamente nel ruolo del perfido Kaspar cantandolo con bella disinvoltura vocale e immergendo il personaggio in una sorta di sulfurea perfidia non priva di un’ironia diabolica davvero particolare, perfettamente adeguata alla concertazione di Chung.     Delude purtroppo il protagonista. König è dotato di timbro in se’ non particolarmente accattivante ma in precedenti prove lo avevo sentito sicuro e squillante in tutta la sua estensione. Questa sera la voce risultava eccessivamente fissa e indietro, gli acuti fastidiosamente a punta e i centri affaticatissimi. Peccato perché invece il personaggio è ben delineato: le paure psicologiche di Max sono ben evidenziate e anche le differenziazioni dei colori vocali sarebbero pregevoli se solo la voce lo sostenesse di più. Un vero peccato!
 
Non leggerete qui le note sulla regia, perché la regia di fatto non c’è. Matthias Hartmann ha lasciato che la vicenda si svolgesse così, con pochissimi interventi. E quando lo ha fatto i risultati sono stati talmente vuoti da non lasciare il segno. Di pessimo gusto tutta la parte visiva affidata a Raimund Orfeo Voigt e alle luci, in altre occasioni davvero innovative, di Marco Filibeck – pacchianissimi i neon che contornavano ogni elemento scenico a sottolineare la claustrofobia del luogo, che è un luogo più della mente che della Boemia - e ai costumi affidati alla coppia Susanne Bisovky (stilista austriaca ribelle e sempre sopra le righe) e Josef Gerger e addirittura ad un collaboratore ai costumi, Malte Lübben (chissà chi ha pensato a Minnie….).
 
Ma stavolta ha trionfato la musica, la direzione e la concertazione meravigliosa di Myung-Whun Chung, al quale il pubblico ha giustamente tributato il clamoroso successo finale con ovazioni da stadio.
 
Inreplica fino al 2 novembre
 
docFlipperino

Categoria: Backstage

 

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