Martedì, 12 Novembre 2024

Backstage: Iolanta a Firenze - di Filippo Antichi e Fabrizio Meraviglia

Aggiunto il 04 Maggio, 2016

Pëtr Il'ič Čajkovskij
Iolanta
Opera in un atto
Libretto di Modest Il'ič Čajkovskij tratto dal dramma in versi Kong Renés Datter (“La figlia del re René”) di Henrik Hertz
Opera di Firenze, 79° Maggio Musicale Fiorentino, 30 aprile 2016

Re René: ILYA BANNIK
Iolanta: VICTORIA YASTREBOVA
Robert: MIKOŁAI ZALASIŃSKI
Vaudemont: VSEVOLOD GRIVNOV
Marta: MZIA NIORADZE
Brigitta: MARIA STASIAK
Laura: IRINA ZHYTYNSKA
Almerique: MATEUSZ ZAJDEL
Ibn-Hakia: ELCHIN AZIZOV
Bertrand: FEDERICO SACCHI

Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Maestro del Coro: Lorenzo Fratini
Direttore: Stanislav Kochanovsky

Regia: Mariusz Treliński
Scene: Boris F. Kudlička
Costumi: Marek Adamski
Luci: Marc Heinz
Video: Bartek Macias
Coreografie: Tomasz Wygoda

Allestimento del Metropolitan Opera House e Teatr Wielki Opera Narodowa


L’intera vita di Čajkovskij è stata segnata da constanti e ripetute crisi depressive che sfociavano in nevrosi: poco controllo psicofisico, frequente abbandono all’alcolismo e all’insonnia. Nonostante il successo popolare, la sua vita fu costellata di eventi che lo condussero alla depressione e a una visione fatalista dell'esistenza: la morte della madre mentre era lui ancora giovane e il suo perenne ricordo; la sua condizione mai accettata di omosessuale e il naufragio del matrimonio di facciata. Anche il suo decesso è causa di discordia: ufficialmente è morto per il colera che imperversava in Russia alla fine dell’Ottocento, ma molti ipotizzano anche il suicidio per contagio volontario con la malattia.
Gli anni Ottanta vedono in parte un acutizzarsi di questa sua malattia che ha sempre influenzato la sua visione ma dall’altro l’attività compositiva vede un rifiorire che lo porterà poi alle sue

grandi opere conclusive, quali La dama di picche (1890) e la Sinfonia n. 6 in si minore, op. 74, “Pathétique” (1893). Secondo una lettera dello stesso Čajkovskij, intorno al 1883 iniziò a interessarsi al soggetto trattato nel dramma Kong Renés Datter del drammaturgo danese Henrik Hertz, che ebbe occasione poi di vedere dal vivo a Mosca nel 1888. Chiese quindi al fratello Modest, suo usuale collaboratore, di preparargli il libretto per un’opera in un atto. Nel 1890, terminata la produzione de La dama di picche, Čajkovskij si dedicò alla composizione dell’opera rifugiandosi nella sua nuova casa di Maidanovo. Propose quindi la rappresentazione di Iolanta a Ivan Vsevolojski, direttore dei Teatri Imperiali, che a sua volta ottiene faticosamente dal compositore l'impegno a scrivere un balletto in due atti da abbinare all'atto unico di lolanta. Seppure con reticenza, nacque così quel grande capolavoro che è il balletto Lo schiaccianoci, su coreografia di Marius Petipa. Il dittico ebbe così la prima rappresentazione al teatro Mariinsky di San Pietroburgo il 18 dicembre 1892.
È strano constatare che la Iolanta che apre questa 79° edizione del Maggio Musicale è la prima rappresentazione assoluta di questo titolo nella città toscana, nonostante Firenze sia stata sempre molto dedita al repertorio russo: l’apripista fu Guerra e Pace dell’ormai lontano 1953 e poi La dama di picche, Mazeppa ed Onegin, L’amore delle tre melarance, La leggenda dell’invisibile città di Kitez, fino a Boris Godunov e Kovanscina di Musorgskij sotto l’epoca abbadiana.
Iolanta è prima di tutto una fiaba: una giovane principessa, cieca fin dalla nascita, viene rinchiusa in una casa all’interno di un meraviglioso giardino in modo da vietarle di conoscere la verità sulla propria situazione ma la ragazza però ha intuito che “gli occhi non servono solo per piangere”. Suo padre, re René, ha chiamato un medico mauritano per guarirla. Il dottore però afferma che per arrivare a vedere deve

essere assolutamente messa a conoscenza della propria malattia. Il re rifiuta perchè teme di perderla. Giunge però Vaudémont, un conte borgognone, che le spiega cosa sia la luce. Desiderosa di vedere il mondo, Iolanta si fa guarire dal medico e sposa infine Vaudémont.
Lo spettacolo arrivato a Firenze è forse la regia di Treliński che ha girato di più: nata nel 2009 come coproduzione tra il festival di Baden-Baden e il teatro Marinskij per il debutto di Anna Netrebko nel ruolo eponimo, ed entrata nel repertorio del teatro d'opera pietroburghese, è stata poi ricostruita nel 2013 per accoppiarla a Il Castello del Duca Barbablù di Bartok per una coproduzione tra Teatr Wielki di Varsavia e il MET, a cui si è aggiunto poi il festival fiorentino. A Treliński va riconosciuto il merito di essere stato l'apripista per un approccio registico moderno a questo titolo, in cui ultimamente si sono cimentati registi come Peter Sellars (Madrid, Aix e Lione) e Dmitri Černiakov, che nella sua recente produzione all'Opéra de Paris ha ricreato il dittico originario Iolanta/Lo Schiaccianoci.
L’opera di Čajkovskij si presta a varie letture, da quella naturalista fino a quella psicoanalitica, passando per uno sguardo come dramma borghese. Treliński sceglie una via di mezzo, con giusta cognizione di causa e buon risultato finale, seppure con alcune cadute di stile. Il regista polacco legge la storia di Iolanta come fosse un racconto di evasione e una storia di ossessione: una proiezione ci mostra un cerbiatto che tenta di fuggire ma è braccato dai cacciatori e viene ucciso. Lo stesso cerbiatto risulta poi essere il prodotto della caccia di Re René, che entra in scena scortato da un servo che porta appunto il cerbiatto e lo appende su un lato del palco, e la stessa stanza di Iolanta è decorata con crani di cervo. Treliński sembra dunque sottolineare un rapporto ambiguo tra il padre e la figlia: durante il preludio, Iolanta si aggira nella stanzamale illuminata fino a che non viene braccata da una figura maschile non identificata; il re durante la sua aria si muove nella stanza della figlia, la quale, avvertita la sua presenza, sembra voler andare il più distante possibile dal padre, e sul finale, quando ormai la stanza è vuota e tutti sono intenti a festeggiare il matrimonio, René entra nell'ambiente ben conosciuto e lo osserva a lungo, pensoso, fino a richiuderne la porta, ma rimane comunque solo all'interno di quella che era l'originaria prigione della fanciulla. Fino a che non diviene cosciente della sua cecità, Iolanta infatti agisce all'interno della piccola stanza al centro della scena creata da Boris Kudlička, costituita da un cubo rotante chiuso da un unico pannello sul fondo sul quale si apre una porta atta alle varie entrate. I vari personaggi appaiono e si muovono invece in un esterno abbastanza indefinito, chiuso nelle tenebre, in cui compaiono alcuni alberi sradicati, sospesi nel vuoto sopra il palcoscenico e che verranno interrati solo con la guarigione di Iolanta. Sono tutti simboli della falsa realtà vissuta dalla principessa: solo con la sua guarigione, ovvero la conoscenza della verità, il mondo può apparire nella sua naturalezza.
Ottime le luci di Marc Heinz e i video di Bartek Macias che creano un mondo avvolto nelle tenebre della non-conoscenza, dell’ipocrisia, di una deliberata malinconia e oppressione. Treliński sottolinea fin dall'inizio che Iolanta ha voglia di conoscere qualcosa che non conosce e che c’è al di fuori della piccola stanza in cui è rinchiusa, e che ella vuole cambiare la propria condizione, soffre e si sente inquieta. Il mondo a lei circostante segue le sue emozioni e la sua condizione fino a che recupera la vista: uno scorcio d’alba si fa strada infatti tra gli alberi che andranno ad interrarsi.
La regia, molto buona nel complesso, cade tuttavia in alcune mancanze di stile: fa entrare in scena Vaudémont e l’amico Robert con gli sci in mano,senza un’apparente necessità drammaturgica; poi il regista risolve il finale con un “tableau vivant” inutile e di poco gusto, con le inservienti di Iolanta stese a terra davanti alla padrona; la direzione degli attori è intercalata poi da alcune gag poco felici dalle due damigelle dipinte come cameriere dispettose e capricciose, a Robert e Vaudémont che si salutano come se fossero dei quindicenni di periferia senza avere né l'aspetto né il motivo per farlo.
La resa musicale è abbastanza interlocutoria: davanti a un’eccellente direzione del giovane Stanislav Kochanovsky troviamo anche un cast non del tutto soddisfacente. Kochanovsky, chiamato a sostituire Michail Jurowski (che trovammo nelle recite della Cinderella scaligera davvero in precarie condizioni motorie e a cui auguriamo ogni bene!), dirige con un bel gesto, con eleganza e sicurezza. Ogni tanto c’è qualche insicurezza nella sincrasia tra buca e palcoscenico, ma Kochanovsky risolve tutto al meglio. Il direttore di San Pietroburgo ha dato una tinta mai meramente emozionale al dramma di Iolanta, spingendo i punti culminanti dell’opera (per esempio il duetto tra i due giovani neo-amanti) molto vicini alle visioni simboliche dell’opera. C’è sempre una luce perpetua di fondo, che mai svanisce. La sua visione segue la visione claustrofobica della regia fin dal preludio iniziale: stupendi sono i colori dei legni creatisi nell’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, con un’esecuzione magmatica e tenebrosa del brano strumentale che però fa in qualche modo presagire il lieto fine. Davvero in perfetta forma anche gli ottoni, protagonisti con l’entrata dei due amici cavalieri. Seppure il libretto di Iolanta è davvero povero, Kochanovsky ha saputo trarne sempre una concertazione dal piglio drammaturgico ed energico, con grande senso della narrazione di questa breve ma emozionante fiaba.
Il cast purtroppo si è rivelato l’anello debole della produzione. La protagonista era impersonata da VictoriaYastrebova, diva del Marinskij, che sostituiva la prevista Tatiana Monogarova. Dotata di un timbro per nulla accattivante, sempre stridente in acuto e vuoto in basso cerca di compensare questo problema con un’ottima creazione del personaggio e uno sviluppo scenico con indifferente. Purtroppo questo non è sufficiente a fare di Iolanta una vera principessa e i due brani forti dell’opera rimango alla fine incompiuti: l’arioso iniziale è arido di sfumature e alquanto generico; si scalda meglio in vista del duetto con Vaudémont, ma in ogni caso la prova rimane insoddisfacente.
La Yastrebova purtroppo è anche male accompagnata: Vaudémont è Vsevolod Grivnov, tenore dal timbro abbastanza nasale e sgradevole che non riesce a stare al passo con le impervie richieste del ruolo, e a cui manca anche un po' del physique du rôle. Fin dalla sua entrata in scena Grivnov mostra un timbro che nulla ha a che vedere con un principe giunto a salvare la sua principessa: emissione degli acuti carente, poca personalità, interpretazione generica. Davvero una prova poco rassicurante.
Ilya Bannik è stato un re discreto, caratterizzato da un buon timbro brunito e discreta tecnica ma non accompagnati dalla regalità e dall’autorevolezza che un re avrebbe bisogno.
Buono Elchin Azizov nel ruolo del medico, bel timbro in tutta l’emissione che gli permette di portare a compimento con buona disinvoltura la sua aria in cui spiega come guarire Iolanta. Anche il Robert di Mikołaj Zalasiński è stato un ottimo personaggio: bella voce baritonale, pulita e sicura, di quelle che ci si attendono nel repertorio slavo, caratterizzato da facilità di emissione e di estensione. Notevole è l’esecuzione della sua romanza.
Buoni i due comprimari maschili, mentre alcuni problemi di timbro caratterizzano Maria Stasiak e Irina Zhytynska, le due servitrici di Iolanta. Ottimo invece il bel timbro profondo del contralto Mzia Nioradze quale nutrice.

Va dato attodunque al Maggio Musicale di aver proposto questa pagina rara in Italia di Čajkovskij, seppure la prova è stata abbastanza insufficiente per quanto riguarda il cast vocale. Ottima invece la scelta di proporre una regia di Mariusz Treliński in Italia ma ancor meglio la suadente ed emozionante direzione di Stanislav Kochanovsky.


Filippo Antichi (aka reysfilip) – Fabrizio Meraviglia (aka LeProphete)

Categoria: Backstage

 

Chi siamo

Questo sito si propone l'ambizioso e difficile compito di catalogare le registrazioni operistiche ufficiali integrali disponibili sul mercato, di studio o dal vivo, cercando di analizzarle e di fornirne un giudizio critico utile ad una comprensione non sempre agevole.