Backstage: La Fanciulla del West - Ultima parte
Aggiunto il 24 Marzo, 2016
Dal punto di vista video disponiamo di almeno otto registrazioni – in realtà sono alcune di più ma non tutte degne di nota, sia per la difficoltà di reperimento sia per la qualità non eccelsa. Tre delle principali vedono come protagonista Placido Domingo, in un ruolo come dicevamo precedentemente tra i più adatti alla sua vocalità. Circondato da partner e direttori diversi, è sempre Domingo ad ergersi come il protagonista della tre emissioni.
Nello Santi – OROHCG - Carol Neblett – Placido Domingo – Silvano Carroli – Regia Piero Faggioni – KULTUR Direzione super tradizionale, senza alcun volo pindarico, di quelle che si definiscono di routine. Come sempre in Santi si apprezza il senso della narrazione, l’aiuto ai cantanti, il respiro orchestrale carezzevole verso i protagonisti. Lasciano invece perplessi alcuni tempi lenti, talvolta funerei, che fanno un po’ cadere la tensione dell’opera. Sicuramente in Fanciulla non basta l’onesta professionalità di un grande esperto. Così come nella regia di Faggioni non troviamo nulla di quello che vorremmo vedere ai giorni nostri. C’è tutto quello che ci deve essere, tutte le immagini rassicuranti che ci aspettiamo da un film western, i giusti costumi, le giuste luci. Basta? Probabilmente no e quindi il dvd risente degli anni trascorsi. Carol Neblett delude un po’ rispetto alla registrazione solo audio con Mehta. La voce dal vivo è sicuramente più affaticata e meno cremosa. Ovviamente le difficoltà vocali vanno un po’ a inficiare anche l’interpretazione, anche se ancora una volta la partita a poker che sugella il secondo atto è resa con estrema intensità e partecipazione. Bello vocalmente il finale III. Carroli è un Rance piuttosto sbrigativo e rozzo ma sulla scena fa una discreta figura. Domingo è molto bravo, come detto, ma lo sarà sicuramente di più nelle registrazioni successive. Parti seconde abbastanza inascoltabili, coro pessimo.
Leonard Slatkin – MET Opera - Barbara Daniels – Placido
Domingo – Sherrill Milnes – Regia Giancarlo Del Monaco – DG Probabilmente una delle versioni più belle dell’opera, se si accetta la visione un po’ (troppo) tradizionalista della regia di Del Monaco, ma realizzata con estrema precisione e buon senso delle masse sceniche. Non l’ho mai vista dal vivo ma solo filtrata dal lavoro del grande Brian Large e quindi il mio giudizio positivo va più al regista televisivo che a quello teatrale forse. Leonard Slatkin dirige con lo stesso taglio della registrazione audio ma con una intensità drammatica notevolmente maggiore. Dispone di tre fuoriclasse come protagonisti e sa che può lanciarsi nell’esaltazione di quelle arditezze armoniche di cui la partitura è ricchissima. L’orchestra del MET suona benissimo e risponde alle sollecitazioni del direttore californiano con estrema precisione. Barbara Daniels è una grande sorpresa, almeno per me che la conoscevo solo come Musetta (!) in quello sconvolgente capolavoro folle che è la Boheme di Bernstein. Trovarla nel ruolo di Minnie e ascoltarne i risultati è stato davvero piacevole. Acuti luminosissimi, sicuri, fermi. Centri splendidi. Fraseggio curato. Piglio energico. Grande capacità di cambiare personaggio durante i tre atti e nei dialoghi con i vari “pretendenti”. Una prova maiuscola. Domingo è il suo perfetto partner. Grande sicurezza scenica e vocale, grande charme, attenzione estrema alla parola. Ascoltate quei piccoli momenti di finta titubanza nelle frasi che devono colpire il cuore di Minnie: “strana cosa ritrovarvi qui…”, “quello che tacete”. Un mostruoso animale da palcoscenico. Milnes non ha più la sicurezza vocale della registrazione con Mehta, ma la prova è sempre maiuscola. Conosce il ruolo di Rance alla perfezione e lo restituisce al pubblico con grande umanità e senso del teatro. Buoni le parti di fianco, tra cui spiccano Anthony Laciura e soprattutto un tale Dwayne Croft, membro del Metropolitan Opera's Young Artist Development Program….
Ricordiamo poi
la versione video della Scala con Maazel in cui spicca la regia di Jonathan Miller che ci porta in un far west macabro, scarno, durissimo. Il lavoro di Miller con Stefanos Lazaridis e Sue Blane – oltre alla parte musicale di cui abbiamo già parlato – rende questo video estremamente raccomandabile.
La versione di Del Monaco viene ripresentata al Met anni dopo con protagonisti diversi e con risultati sensibilmente peggiori: la bionda Deborah Voigt è troppo wagneriana per il ruolo di Minnie. Giordani è un tenore con pochissimo fascino vocale. Meglio Lucio Gallo e la buona direzione di Luisotti, che però saprà dare il meglio di sé anni dopo al Carlo Felice con una straordinaria Andrea Gruber.
Nel solco della tradizione vocale “tebaldiana” approda al ruolo anche Daniela Dessì regalando una prova estremamente positiva e curata, come da tradizione dell’inappuntabile soprano genovese. Minnie è qui più sofferente, quasi scontenta della vita alla Polka e quindi accoglie con estrema felicità l’arrivo di Johnson (anche perché è il marito ). Un po’ più di routine il resto del cast e pollice totalmente verso per la direzione erratica e incomprensibile di Veronesi (ma quei tempi perché???) e la regia di Stefanutti.
Carlo Rizzi – Netherlands Opera – Eva-Maria Westbroeck – Zoran Todorovich – Lucio Gallo – OPUS ARTE Regia Nikolaus Lehnhoff. L’impronta registica in questa produzione è davvero forte. Come sempre Lehnhoff gioca sullo spostamento temporale e su scenografie e luci estremamente “eye-catching”. Alla fine cosa rimane però? Una sgradevole sensazione che tutto sia studiato solo per stupire e coprire la mancanza di una vera scelta registica. La Polka sembra un gay club frequentato da amanti del genere leather, la casa di Minnie nel II atto è talmente rosa da lasciare abbagliati e far passare in secondo piano la totale mancanza di lavoro sui personaggi. Nel terzo atto Minnie arriva sulla scena – un inquietante deposito dimacchine distrutte - vestita da vamp strafiga su una scalinata illuminata modello MGM. Un bel mix di citazioni qua e là. Una strizzatina d’occhi a certo Baz Luhrmann e il gioco è fatto…. Come sempre in Lehnhoff le luci di Schuler, strepitose, giocano un ruolo fondamentale. Minnie è il soprano olandese Eva-Maria Westbroeck, prossima protagonista alla Scala, e le premesse per una buona performance ci sono tutte. Resta solo da vedere se il tempo e ruoli estremamente impegnativi possano aver inficiato le qualità vocali, che altrimenti sono straordinarie. Acuti sicuri, mai fissi, buon fraseggio, dinamiche estremamente varie, ottima capacità di muoversi in palcoscenico anche con un regista così “demanding”. Dolcissima nel racconto della sua infanzia, grintosissima con Rance e anche con Johnson, la Westbroeck in realtà vuole andarsene da lì e dimostra di fare di tutto per fuggire e raggiungere il successo. Confesso di trovare insopportabile la voce di Todorovich ma con tutta onestà devo dire che si disimpegna con estrema cura e professionalità piegando la voce anche a inflessioni dolci ed affettuose. Forse scenicamente un po’ ridicolo con quel cappellone in testa, ma non può essere certo colpa sua. Gallo ripete le discrete prove precedenti. La direzione di Rizzi è piacevole, intensa, ricca di pathos ma anche di aperture liriche nelle poche oasi di espansione della melodia pucciniana. Orchestra di livello straordinario. Comprimari un po meno….
Franz Welser-Möst – StaatsOpern Wien – Nina Stemme – Jonas Kaufmann – Tomasz Konieczny – SONY – regia Marco Arturo Marelli - Quanti danni può fare ad una partitura del genere un direttore d’orchestra non particolarmente avvezzo a tale repertorio? Ascoltate la direzione di Welser-Möst e la risposta sarà chiara! Un incongruente alternarsi tra cataclismatiche montagne di suono e pianissimi sdolcinati e senza un senso. Una pessima gestione del suono, un pattinare leggero sopra alcune genialità di scrittura, un misto traraffinatezza e grossolanità che non porta da nessuna parte. In sostanza, una delle peggiori direzioni dell’opera. Poco conta che l’orchestra suoni bene, e ci mancherebbe pure visto il nome…. Il risultato è teatralmente pessimo. Se poi aggiungiamo un regista (lo svizzero Marelli, a Vienna osannato come un idolo) che parte bene con alcune intelligenti idee (bella la scena del II atto, con Rance che rimane fuori da casa di Minnie dopo la partita a poker) ma che poi toppa clamorosamente il momento più difficile dell’opera – quel finale III davvero improponibile dove però il regista può far valere la sua genialità – facendo scendere dal cielo una mongolfiera sulla quale i due protagonisti partono per…. Volandia salutando con la manina come due turisti a Disneyworld…. Se aggiungiamo poi il peggior baritono della storia, tale Tomasz Konieczny sulle cui capacità vocali stendo un velo per evitare una denuncia. Vi invito solo a sentire che cosa esce dalla sua bocca in “sei fiera, l’ami, vuoi serbarti a lui….”. E’ talmente orrendo da sembrare un fake. Ecco sommando tutto questo abbiamo una pessima Fanciulla ma…. ci sono Nina e Jonas, alias Minnie e Johnson che ti fanno un po’ cambiare idea. Il soprano svedese sorprende perché si fa apprezzare più per l’interpretazione che per la vocalità. Una gran milfona in grado di tenere testa a chiunque, dai minatori che affronta con piglio da “birra e rutto libero” allo sceriffo, allo stesso Johnson, lui sì vittima inconsapevole della milfona e non il contrario. Molto intensa nella scena con Rance quando lui tenta di stuprarla e riceve un gran calcione nei….. (che sia per questo che Konieczny canta così?). Vocalmente le cose non vanno purtroppo così bene. La parte di Minnie è disseminata di Si e Do che suonano affaticatissimi e striduli, modello lama e il secondo atto la trova davvero affaticata. C’è però un grande personaggio e anche le difficoltà si inseriscono alla perfezione nell’immagine di questo donnone un po’ tarchiato edall’improponibile chioma rossastra. Kaufmann invece è perfetto sia vocalmente – in un ruolo che si adatta straordinariamente alla sua vocalità attuale – sia scenicamente: un bamboccione viziato e furbetto, dalla grande capacità seduttiva. In conclusione due grandi protagonisti circondati da quel tipo di “puccinismo” tipico dell’area tedesca, che pensavamo sparito ormai da tanti anni, e che è totalmente fuori luogo in un’opera come la Fanciulla. Peccato!
marco flipperinodoc