Lunedì, 07 Ottobre 2024

Backstage: Il giorno di Tristan, la notte di Isolde. Tristan und Isolde a Zurigo – di Francesco Brigo

Aggiunto il 09 Febbraio, 2015

Sono almeno tre le dimensioni da cui scaturisce il Tristan und Isolde. La prima e la più ovvia è quella delle fonti medievali della leggenda da cui trasse ispirazione Richard Wagner per narrare la vicenda dei due amanti.
La seconda è quella autobiografica, relativa alla passione di Wagner nei confronti della giovane Mathilde (in realtà Agnes, prese il nome di Mathilde, in onore della defunta prima moglie del marito, solo dopo il matrimonio), sposata al ricco commerciante di sete Otto Wesendonck. Passione che ebbe quale scenografia la splendida Villa Wesendonck situata sulla “verde collina” nei dintorni di Zurigo e l´annessa casetta generosamente concessa dai coniugi Wesendonck ai coniugi Wagner (Richard e Minna). Passione che crebbe sotto gli occhi di Minna e della stessa Cosima Liszt, futura moglie del compositore, che per qualche giorno soggiornò sulla verde collina ospite dei Wagner mentre era in viaggio di nozze con von Bülow. Sarebbe tuttavia riduttivo e fuorviante credere che il Tristan und Isolde sia un´opera d´arte originata da un atto di sublimazione della reale relazione tra Richard Wagner e Agnes Mathilde Wesendonck; è semmai vero il contrario: è dalla potenza generante della musica del Tristano (sulle cui proprietà transustanzianti ha scritto molto bene Quirino Principe) che scaturì la passione tra Wagner e la Wesendonck. Wagner era intriso d´arte al punto tale da conformare la propria vita ai propri ideali estetici, facendo scaturire la vita dall´arte.
Vi è infine la terza dimensione, forse quella che più di ogni altra caratterizza il Tristano: la componente filosofica e metafisica. Il Tristan und Isolde nacque pochi anni dopo la scoperta (1854) da parte di Wagner dell´opera del filosofo Schopenhauer. Una scoperta che fu in realtà un riconoscersi, un guardarsi allo specchio, un ritrovare nel pensiero altrui il proprio stesso pensiero, emergente con la forza e l´incisività di un´antica melodia (“die alte Weise”?) che, dopo il fallimento

dell´utopia anarchico-socialista culminata nella repressione dei moti di Dresda e nell´esilio in Svizzera, si era insinuata progressivamente nell´animo del compositore. Dopo il confronto con Schopenhauer, Wagner si distacca progressivamente dalla concezione di arte come strumento di rivoluzione, ed approda alla concezione di arte come rivelazione. Rivelazione della realtà profonda. Non è, come molti tuttora credono, un atto di conservatorismo, un passaggio politico dalla “sinistra” alla “destra”. Wagner rivoluzionario lo fu per tutta la vita. Si tratta piuttosto di un passaggio dalla “politica” alla “metafisica”. L´arte diventa per Wagner la chiave d´accesso alla realtà profonda del mondo. Distolta dalle lusinghe del giorno (l´onore, le convenzioni, la politica, la società), l´arte dà ora voce al mondo della notte, anzi ne è la voce.
Per Schopenhauer, il mondo è al contempo volontà e rappresentazione. Volontà e rappresentazione, Wille und Vorstellung, convivono insieme, uno costituendo l´essentia (la sostanza, il sub-strato, le fondamenta), l´altro l´existentia (ciò che emergendo appare come fenomeno) del reale. Ciò che del mondo appare è rappresentazione: l´insieme dei fenomeni che vengono percepiti dall´uomo in base alle categorie che lo costituiscono proprio in quanto uomo: il tempo, lo spazio, la logica concatenazione causale. Ma questo, dice Schopenhauer (sulla scia di Kant), è solo rappresentazione, apparenza. Occorre scendere in profondità, strappare il velo di Maya, e guardare il mondo per ciò che esso è realmente: informe, inconscio impulso che non ha altro fine se non la propria stessa conservazione. Esso è volontà cieca, assoluta, a-morale (perché estranee le sono le categorie – tutte umane - di bene e male). Volontà che permea di sé tutte le cose che appaiono: il magnete attratto verso il nord, gli animali e le piante, l´uomo stesso. Volontà che è ovunque e a cui nulla può sottrarsi. “Forza che nel verde stelo spinge il fiore”, come scrisse il

poeta Dylan Thomas, desiderio che non ha mai fine, brama sempre insoddisfatta, tensione inesausta (“das furchtbare Sehnen”). Questo è il vero volto del mondo, a cui si può accedere attraverso la musica (l´arte che esprime un “senso” senza necessità di mediazione alcuna), e da cui ci si può liberare autenticamente in un unico modo: immergendovisi pienamente, in un gesto di suprema consapevolezza e di inevitabile accettazione.
Questa lunga premessa è essenziale per chiarire i punti fondamentali sui quali si basa l´opera di Wagner e la sua realizzazione drammaturgica nello spettacolo di Claus Guth e del suo Dramaturg Ronny Dietrich.
Apparentemente Guth sembra innestare la dimensione metafisica dell´opera wagneriana nella dimensione storica ed autobiografica della relazione Wagner-Mathilde. In realtà i riferimenti biografici costituiscono solo la premessa, il punto di partenza dello spettacolo. La vicenda è ambientata all´interno (e all´esterno) di una ricca casa borghese (chiari i riferimenti all´architettura neoclassica della zurighese Villa Wesendonck), i costumi sono quelli della borghesia di fine Ottocento, ed i personaggi principali possono essere in gran parte ricondotto a figure storiche ben riconoscibili: nel vecchio Marke si riconosce Otto Wesendonck (in realtà di due anni più giovane di Wagner); l´esuberante Tristan si rifà a Wagner; Isolde richiama Mathilde (che come la vera Mathilde riceve delle lettere, le famigerate Morgenbriefen, da parte di Wagner/Tristan), ma anche Minna Planer, nei suoi aspetti di donna dolente e tradita, e persino la fedele Cosima, nel suo accasciarsi sul corpo esanime di Tristano nel finale (la leggenda vuole che alla morte del compositore giacesse abbracciata al cadavere per una notte e un giorno interi). Uno spettacolo che parte quindi dalla dimensione storica, con Wagner e Mathilde costretti a vivere e mascherare la loro passione sotto il velo delle convenzioni dell´alta società zurighese e sotto lo sguardo

indagatore di moglie e marito. Ma nel corso dello spettacolo la dimensione biografica sfuma nella dimensione metafisica, che via via acquisisce una rilevanza drammaturgica assolutamente straordinaria e dominante.
Il Tristan und Isolde di Guth diventa così la rappresentazione del disperato tentativo dei due amanti di sfuggire al “giorno”, al “mondo come rappresentazione”, alla realtà fatta di tempo, spazio, e logica concatenazione causale.
Nel primo atto il “giorno” viene esplorato nella categoria del tempo. Isolde vive incatenata al tempo, ossessionata dalla propria storia, dal proprio passato. Continuamente, il suo presente “ha presente” il suo passato. Isolde/Mathilde continua a tornare dolorosamente sul proprio passato, che le deforma il rapporto con il presente, avvelenandolo. Nella sua camera da letto, il suo presente (donna sposata ad un uomo – Marke/Otto - che non ama) è un instabile ondeggiare tra un passato che ossessivamente ritorna (la camera da letto “speculare”, situata sul versante opposto della casa, in cui il mobilio è lo stesso, ma il letto è intriso del sangue di Tristan) e un futuro vissuto come costrizione (l´abito da sposa) o come evasione dalla realtà (al primo atto Isolde/Mathilde guarda fuori dalla finestra aperta sul giardino, parla riferendosi all´eroe Tristan, per lei scelto e per lei perduto, che però si trova altrove, in un´altra stanza assieme a Kurwenal). Il tempo la ossessiona, e da esso Isolde fatica a liberarsi. Nel momento in cui Isolde offre il filtro a Tristano la porta sul fondo si spalanca mettendo in comunicazione le due camere da letto, quella del suo presente (un presente di fedele e rispettabile donna borghese sposata ad un ricco commerciante) e quella del suo passato celato a tutti tranne che a Tristan (la medesima camera da letto in cui lei, infedele, si prese cura di Tristan tradendo le regole della società). Un passato che ora torna ad essere presente nella coscienza (e nel ricordo) di entrambi.
/> Nel secondo atto il “giorno” è invece rappresentato dallo spazio e dalla concatenazione causale dei fenomeni. Isolde/Mathilde e Tristan/Wagner esaltano il loro amore all´inizio del duetto persi nel labirinto dell´alta società, mescolandosi ad essa e nascondendosi da/in essa. Tristan e Isolde, gli unici autentici in un mondo che è finzione, rappresentazione (“Vorstellung” ha in tedesco anche il significato di rappresentazione teatrale), e che li costringe a dissimulare i loro sentimenti per non urtare la sensibilità e le regole imposte dalle convenzioni del vivere borghese. Ma lo spazio della società è anch´essa illusione. E infatti Isolde e Tristan escono da questo spazio, escono dalla casa (il simbolo della vita borghese) e si ritrovano a cantare il loro canto notturno (“O sink hernieder”) al di fuori di essa, nell´oscurità priva di riferimenti spaziali della notte. La notte che ora appare quale vera realtà, non più nascosta “sotto” l´apparenza del “mondo come rappresentazione”, ma realtà che si impone e sovrappone all´apparenza (la luce della luna che filtra tra le foglie degli alberi proiettandosi sulla parete della casa). Liberati dalle catene del tempo, ora Tristan e Isolde possono liberarsi dalle catene dello spazio, rientrando nella casa e sconvolgendo ciò che rappresenta da sempre il luogo di ritrovo della borghesia: la tavola imbandita. Gettàti a terra piatti e posate, Tristan e Isolde possono “osare” distendersi sulla tovaglia, bianca come un sudario, abbandonando così per sempre le costrizioni dello spazio borghese. Ma la società ha il sopravvento, e pretende che l´ordine venga ristabilito. La tavola imbandita si trasforma quindi in tavolo di tribunale attorno a cui si svolge il giudizio di Tristan da parte di re Marke e degli esponenti della borghesia violata. La giustizia è la formulazione e l´applicazione di regole basate su un rapporto di concatenazione causale: se fai questo ne consegue questo. E il confronto tra Tristan ed il tradito Marke sipone proprio in termini di relazione causale, di concatenazione logica. Perché? Perché mi hai fatto questo? In fondo, questo domanda Marke al nipote.
Ma alla richiesta di giustificazione logica avanzata dal “giorno”, Tristan non risponde. Non può rispondere. Tristan appartiene ad un mondo che, pur essendo lo stesso, è altro. Il suo è un regno in cui i “valori” del giorno non hanno più alcun valore, ma sono ridotti in cenere. Ecco perché alla fine del secondo atto Tristan accompagna Isolde in un´altra stanza dove della tavola imbandita rimangono solo alcuni candelabri accesi ed un mucchio di cenere a terra (“wie eitler Staub der Sonnen sind sie vor dem zersponnen”, “ come vana polvere dei soli si disperdono davanti alla Notte”, aveva cantato poco prima).
Liberàti dalle catene del mondo fenomenico vincolato alle categorie del tempo, dello spazio e della logica, ai due resta la parte più dolorosa e difficile del viaggio. Il passaggio dalla volontà attiva alla sua accettazione passiva, il passaggio dalla voluntas alla noluntas.
La scena del filtro al primo atto ce l´aveva mostrato senza alcuna ambiguità: Brangäne era entrata con in mano il filtro di morte, ed Isolde - strappatolo con forza delle mani della riluttante ancella – aveva voluto versarlo di persona nella coppa, aveva voluto consegnarlo a Tristan. E i due avevano voluto berlo insieme. Il loro era stato un atto di volontà suprema. Una cosciente ed attiva volontà di morte. Ma questa non è la soluzione autentica. La soluzione non sta nella volontà di morte. Per questo nel terzo atto Tristan è ancora una volta richiamato dal regno della notte al regno del giorno. Tristan è richiamato alla luce del “giorno” dalle profondità del regno della notte. Quella notte di cui è voce la musica, nella melodia intrisa di nostalgia (“dolore per il ritorno”), che si innalza, solitaria, nel corno inglese all´inizio del terzo atto. Una melodia che è primordiale, primitiva, una musica che riesce ad essere fuoridal tempo (senza armatura in chiave e quasi senza segni di battuta), fuori dallo spazio (emerge fuori scena), e priva di logica. Una musica che non è musica. “L´antichissima melodia che mai muore” risveglia Tristan. Tristan, ormai bandito, messo alle porte della borghesia che ha tradito, derelitto della società, è nuovamente sottoposto ai legami del giorno. Rivive nella memoria il proprio passato (l´anamnesi è, del resto, il primo passo per ogni cura): ritorna nella camera da letto di Isolde/Mathilde in cui fu disteso nel dolore come già suo padre fu disteso prima di lui. Rivive la propria contemporanea appartenenza ed esclusione alla e dalla società borghese: ritorna nella sala da pranzo con la tavola riccamente imbandita. Non riesce ad accedere all´”altrove”. Tristan è e resta schiavo del giorno. Intrappolato. Eppure l´antica melodia gli aveva svelato il senso del tutto e della sua stessa esistenza: “Im Sterben mich zu sehnen, vor Sehnsucht nicht zu sterben!” (“desiderare all´interno della morte, non morire di desiderio!”). Tristan diventa consapevole (bewusst) della realtà dolorosa del mondo, ma resta schiavo del giorno: si strappa le bende dalla ferita e di essa muore. Muore sotto la violenta luce del giorno, sulla tavola imbandita. Solo. Muore cosciente, muore consapevole, ma la sua morte è un accordo stonato (ce lo rivela il suono dell´arpa).
Il percorso di Isolde è invece diverso. Isolde alla fine ha abbandonato la consapevolezza; ella approda alla realtà vera per un processo di intuizione. L´intuizione che le deriva dall´amore di/per Tristan. Non è importante sapere cosa faccia Isolde nell´arco di tempo tra la fine del secondo e l´inizio del terzo atto. Non importa sapere perché abbandoni Tristan al suo destino, perché non lo segua a Kareol abbandonando Marke, perché non decida di curarlo ella stessa. Nel loro percorso condiviso Isolde è più avanti rispetto a Tristan, l´allieva ha superato il maestro, Isolde ha già raggiunto la piena consapevolezza.Viene richiamata a Kareol solo perché le viene richiesto. Ma probabilmente il suo percorso si sarebbe completato ugualmente e nello stesso modo.
Isolde arriva, assiste impotente alla morte di Tristan, e per un attimo vacilla. Il giorno torna per un istante ad avere il sopravvento. “Ich bin´s, Ich bin´s”, Sono io, sono io! Non morire! An der Wunde stirb mir nicht! Non morirmi per la ferita! Non è questa la via! Non è questa la soluzione che mi avevi indicato! E in un gesto di profonda, sublime umanità di rianimare il cadavere dell´amato (ascoltate le pulsazioni dell´orchestra che a queste parole riprendono le note staccate dei fiati già udite quando poco prima Tristan, rianimato da Kurwenal, riprendeva coscienza: “Er regt sich, er lebt!”). Ma alla fine Isolde deve arrendersi, e costatare – oggettivamente - la morte clinica. La guaritrice si è fatta necroscopa. E qui la sua reazione è soprendente. Marke si lascia andare, umanamente, alla disperazione: “Erwache! Erwache!” (“Svegliati! Svegliati!”, pronunciato con tono inutilmente imperativo). Isolde, invece, non è più umana, è già in un´altra dimensione. Non grida “Erwache!”. Si limita ad affermare “Er wacht”, “si desta”. Incomincia la melodia del “Mild und leise”, una melodia che si immobilizza fuori dallo spazio e dal tempo, lontana dalle misere vicende di morte che si susseguono in scena (l´arrivo e la morte di Melot, l´arrivo di Brangäne e Marke, la morte di Kurwenal). Ma la melodia resta presente, al fondo, in tutta la scena, anche se non è possibile udirla sotto il clamore assordante del “mondo come rappresentazione”, per poi riemergere alla fine. E solo a questo punto Isolda arriva, finalmente, a destinazione. Isolde non rianima un cadavere, lo fa risorgere (“Mild und leise, wie er lächelt”)! Isolde ha capito che Tristan non è morto. La morte appartiene alla realtà fenomenica, al mondo come apparenza. Ma il sole, cessa forse di essere una volta tramontato? Tristano si è dissolto nel Tutto, da cui eraemerso nell´atto della nascita (esistere è un provenire, ex-istere). Egli è da sempre e per sempre parte di quel Tutto. “In des Weltatems wehendem All”. È parte di un Tutto (“All”) che è “wehendem”. Di solito si traduce l´espressione come “palpitante Tutto”. In realtà il termine in tedesco si presta ad essere letto in maniera duplice. Da un lato “wehen” indica il soffiare (si ricordi il canto del marinario all´inizio dell´opera: “Wehe, wehe du Wind!”), dall´altro indica il soffrire (“Wehe, ach wehe mein Kind!”). Il respiro globale del mondo (“Weltatem”) è quindi un respiro di sofferenza. “Tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto”, scrive San Paolo nella Lettera ai Romani. Ed è proprio in questo respiro universale del mondo che Isolde dissolve il proprio respiro individuale. Non è una metafora, è una realtà: la musica ha l´andamento di un respiro che, dapprima tumultuoso, si placa alla fine in un inspirio-espirio, Welt-atem. È paradossale: non si può cantare, e quindi emettere un suono, inspirando. Ma Isolde ci riesce. Welt-atem. Inspiro-espirio. Isolde spira, ma di lei non si può dire che muoia. Così come non si può dire che il sole, una volta tramontato, cessi di essere. Tristan, lo schiavo del giorno, muore (“Er stirbt”, indica il libretto), e muore della ferita. Non così Isolde. Isolde, recita il libretto, “sinkt, wie verklärt”. Isolde “tramonta” (“sinken” è il verbo utilizzato per indicare in quest´opera il calare del sole o la discesa della notte). Il suo è un tramonto inconsapevole, un dissolversi nel respiro globale del mondo. Lo sottolineano bene i verbi che Isolde utilizza (nella forma impersonale dell´infinito!), e che indicano una progressiva spersonalizzazione: “ertrinken” (affogare, come si potrebbe dire di una persona) e “versinken” (naufragare, sprofondare). Unbewußt. Incosapevole. Rispetto a Tristan, Isolde ha compiuto un passo in più: è passata dalla illuminazione consapevole all´inconsapevole tramonto. Dalla voluntas (ilfiltro di morte scelto, voluto, versato, e bevuto) alla noluntas (l´abbandonarsi trasfigurata nella luce sul cadavere di Tristan). Per questo, Isolde “sinkt, wie verklärt” (la didascalia richiama inequivocabilmente il termine “versinken”), “tramonta in una nuova luce”. Il canto finale di Isolde non è Liebestod (che era invece l´appellativo dato da Wagner al preludio), bensì Verklärung: trasfigurazione nella luce. Il sole di Isolde, tramontando, brilla di luce nuova. Isolde entra in una dimensione “altra” rispetto alla nostra. Nonostante i suoi continui richiami (“Freunde, seht”, “Seht ihr´s nicht?”), non riusciamo a vedere con gli occhi ciò che Isolde vede. La luce continua ad illuminare, spietata, il cadavere di Tristano che giace privo di vita sulla bianca tovaglia nel tavolo davanti a noi. Ma la musica di Isolde ci dice che la Verità è altra.
Klaus Guth e Ronny Dietrich tutto questo l´hanno capito. E ce l´hanno fatto capire.

Francesco Brigo – Dottor Malatesta

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Categoria: Backstage

 

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