Venerdì, 27 Settembre 2024

Editoriale: Interpretazioni

Aggiunto il 28 Agosto, 2008

Alla fine di quest’estate non particolarmente esaltante da un punto di vista musicale - se vogliamo eccettuare il Festival di Bayreuth che dimostra di saper trarre sempre nuova linfa per il proprio rinnovamento nella continuità - spicca la polemica inutile che vede protagonisti negativi due fra i grandi nonni del teatro d’opera italiano: Lorin Maazel e Franco Zeffirelli. La sostanza di tutta la vicenda è il solito accanimento dei nonnetti contro le regie avanguardiste – ma sarà lecito definirle così? – accusate (sai la novità!... ) di snaturare lo spettacolo d’opera con la loro pretesa di interpretare il dettato dell’autore, mentre invece sai che belli gli spettacoli di una volta?, eccetera.
Ora, a parte il fatto che nessuno spettatore mediamente dotato di buon senso cerca il didascalismo a buon mercato dei fondali dipinti come unica possibile soluzione di uno spettacolo, ci sembra che l’ottuagenario e glorioso regista fiorentino non abbia più nessun titolo per sparlare dei propri colleghi che ormai lo sopravanzano di intere spanne nell’interpretazione del testo di un autore. Quanto meno, non lo dovrebbe più fare dopo quella specie di Barnum inscenato alla Scala un paio d’anni or sono per l’Aida inaugurale. E tralasciando da un lato il pur dotato Kusej, che però fa della provocazione una specie di arte personale, e dall’altro quel Robert Carsen che ormai sta proprio su un altro pianeta, ci sembra che la media dei registi citati da Zeffirelli – fra cui i dotatissimi Guth e Decker – abbiano fortunatamente abbandonato il didascalismo oleografico stile figurine Liebig ritenendo non a torto che lo spettatore sia perfettamente in grado di cavarsela da solo.

Non finiremo mai di ripetere che “interpretazione” vuol dire lettura filtrata attraverso la sensibilità personale di chi legge. Così come riteniamo demenziale la pretesa onanistica di chi si attacca alle forcelle come unica possibilità esecutiva solo “perché le ha scritte l’autore”, allo stessomodo riteniamo che il regista debba avocare a sé tutto lo spazio che gli serve per l’allestimento di uno spettacolo.
La “Traviata da barzelletta che non fa affatto ridere” cui fa riferimento Zeffirelli è, probabilmente, quella che ha celebrato il genio di Decker a Salisburgo e giustamente diventata famosa in tutto il mondo: è un capolavoro che riscrive la storia esecutiva dell’opera verdiana, grazie anche alla partecipazione non indifferente dei due protagonisti, Anna Netrebko e Rolando Villazon.
Questo spettacolo, così ricco e variegato pur se spoglio di tutti quegli arredamenti tanto cari a nonno Franco, è una vera e proprio regia con quel disegno ben preciso che invece manca, tanto per stare ancora all’esempio di prima, all’Aida inaugurale di due anni fa, annegato com’era da tutto il ciarpame di cartapesta e stucco dorato che faceva sembrare sobri ed eleganti anche gli allestimenti dell’Arena con cavalli, elefanti e dromedari.
Ci è piaciuta molto la risposta gentile e garbata di Robert Carsen, tirato direttamente in ballo dall’anziano regista italiano, che ha scelto di evitare le polemiche. Riportiamo la sua risposta perché ci sembra particolarmente meditata ed interessante (citazione da “Il Corriere della Sera”):
«Gli artisti dovrebbero essere d'aiuto agli altri artisti invece di attaccarli. Quel che c' è di valido nella parola "tradizione", relativamente alle arti è che le Arti "tradizionalmente" sono uno specchio della società da esse influenzata (o forse viceversa?). La società è in continua evoluzione, dunque lo sono anche le Arti. Se gli artisti cominciano ad attaccare altri artisti, mi pare che finiscano per attaccare se stessi, svalutando anche il contributo che possono avere dato. La mia speranza è che, se avrò la fortuna di vivere e lavorare tanto a lungo quanto gli onorevoli colleghi Maazel e Zeffirelli, non "mi guarderò alle spalle rabbiosamente" (citazione di Look Back In Anger, la pièce di John Osborne tradotta initaliano come Ricorda con rabbia, ndr) ma avrò la generosità di spirito per cercare di capire e di dare un segno d' incoraggiamento[…] Il teatro è capace di elevare l'uomo al di sopra delle piccolezze e delle banalità della vita quotidiana e l' opera, in particolare, attraverso l' alchimia di libretto (l' intelletto) e musica (l' emozione) aspira a sfiorare il divino. Ma perché si rinnovi il suo mistero occorre la disponibilità di mettersi in discussione, di non viverla come un museo ma come un luogo dove riscoprire e rivivere storie che conosciamo da sempre ma da un altro punto di vista, sotto una prospettiva inedita. L' interpretazione non è un fatto politico, è una nuova "composizione" che nel rispetto di quella del compositore deve godere della sua autonomia. E dato che il teatro è in grave pericolo in quest'era di violenti tagli ai fondi pubblici, anziché questionare tra noi, dobbiamo far di tutto per la sua sopravvivenza».

L’intelligenza del Grande Interprete emerge facilmente dalle parole scelte per glorificare l’Arte che non è mera ripetizione di quanto scritto dall’Autore, ma reinvenzione che non solo rispetta lo spirito dell’Autore – e questo è fondamentale – ma permette anche all’interprete di trovare all’Autore una collocazione che entra nei nostri tempi.
Amiamo l’opera non in quanto tale, ma perché attraverso il noto processo di immedesimazione riusciamo a sentire quelle vicende polverose che abbiamo visto ed ascoltato mille volte, animarsi di un afflato che ce le fa sentire ancora vicine al nostro cuore.
Il percorso interpretativo, oggi magnificato dalla regia che ha raggiunto vertici di virtuosismo straordinari, è figlio del nostro tempo analogamente a qualunque altro aspetto e manifestazione della mente e del cuore dell’uomo. Pensare di viaggiare sui treni a vapore e sulle carrozze a cavallo sarebbe probabilmente poetico, ma nessuno lo farebbe più.
Per cui, santa pace, andiamo avanti fra spettacoli belli espettacoli brutti, come succedeva una volta; ma senza pretendere di ritornare ai treni a vapore, perché, interpretando la “Traviata”, non cercheremo di ricreare i tempi di Verdi, ma la sua modernità, quella che già all’epoca sconvolse gli spettatori come un pugno nello stomaco. E questo è il modo migliore per rispettarne lo spirito.
Pietro Bagnoli

Categoria: Editoriale

 

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