Editoriale: Nel segno della continuità
Aggiunto il 31 Dicembre, 2015
Ed ecco il consueto messaggio di fine anno del nostro sito, effettuato non a canali riuniti ma a… amministratori concordi.
Non è stato un anno stratosferico quanto a qualità, ma qualcosa la dobbiamo ricordare, nel bene come nel male; e direi che la palma va data al nostro caro, vecchio, scascionato Teatro alla Scala che ha inaugurato alla grandissima con la “Giovanna d’Arco”: titolo pessimo, fra le peggiori opere partorite da Colui che Pianse e Amò per Tutti, ma nobilitato dalla presenza di Anna Netrebko che ha dimostrato a tutti – se mai ce ne fosse stato ancora bisogno – che è una fuoriclasse di quelle vere; e che solo i fuoriclasse giustificano il fatto di rispolverare vecchi ruderi come questo.
Ma la seconda palma va obbligatoriamente a Riccardo Chailly, che si assesta sulla poltrona di direttore musicale riuscendo contemporaneamente in alcuni intenti: seppellisce definitivamente il periodo di transizione di Barenboim; conferma – come ha fatto notare sul nostro sito Marco Delfini Strozzi – che è lui il direttore più adatto a quel podio, grazie alla doppia riuscita consecutiva di Turandot di fine stagione scorsa e dell’inaugurazione attuale; smentisce definitivamente tutti coloro che si sono stracciati le vesti perché su quello scranno non ci è salito qualcun altro. Chailly è raffinato e profondo conoscitore non solo del repertorio, ma anche di alcuni ambiti non strettamente operistici: penso al suo repertorio sinfonico e alle sue incursioni in Bach: del resto non si è stati direttori fissi del Royal Concertgebouw dal 1998 al 2004, con nomina di direttore emerito; e della Gewandhausorchester Leipzig dal 2005, se non si ha una caratura di livello internazionale. È probabile che Chailly appaia meno estroso o meno protagonista di altri e, in tal senso, sembri valere meno; ma se riuscissimo una volta tanto a ignorare tutti quegli aspetti che con la musica hanno poco a che spartire, e ci rivestissimo di onestà intellettuale, dovremmo riconoscere laverità, e che cioè la Scala ha ritrovato finalmente il direttore che veramente serviva su quel podio da 29 anni a questa parte.
Le due volte che sono stato a Zurigo mi hanno portato a considerare con rispetto sempre crescente il teatro di questa ricca e costosa città, che nel giro di pochi mesi serve allo spettatore la ripresa del Tristan und Isolde di Guth, con l’interprete intorno cui lo spettacolo era stato plasmato, e cioè una stratosferica Nina Stemme (e un più che eccellente Gould); e l’Elektra della Herlitzius.
A parte le ovvie considerazioni sul notevolissimo repertorio e sulle guest star che lo nobilitano, in entrambi i casi si apprezza senza riserve il parterre di artisti che fanno parte di una “squadra” ben collaudata. Nella Elektra, per esempio, citavo il caso di Liliana Nikiteanu, cantante ormai di casa che garantisce la continuità dell’impianto di una compagine vincente. Esattamente quello che manca in tanti teatri nostrani, che la Scala aveva, che ha dilapidato e che sta faticosamente ricostruendo.
Ecco: è la continuità della base che garantisce l’eccellenza finale, forse più ancora dei guest, per straordinari che possano essere.
Per quanto riguarda le incisioni discografiche, domina ovviamente l’Aida di Pappano-Kaufmann, più per il tenore che per il direttore. Se è vero che tornare all’antico potrebbe essere un progresso, l’attenzione che Kaufmann riserva alle indicazioni agogiche ed espressive dello spartito sin da “Celeste Aida” è qualcosa che – pur non essendo ancora stata fatta da nessuno – rimanda alle ragioni più profonde: quelle dell’autore.
Ormai Kaufmann è definitivamente il più importante tenore del mondo; siamo autorizzati a scomodare paragoni importanti con mostri sacri del passato, e possiamo farlo perché lui “è” veramente un fuoriclasse, l’unico forse dell’attuale orizzonte, e non solo nell’ambito tenorile. Lo saremo sempre di più se eviterà derive di tipo nazional-popolare, quellecioè che hanno definitivamente rovinato cantanti dotati di materiale importante, ma non di parimenti intriganti connessioni sinaptiche. I nomi non li faccio, sarebbe antipatico.
Quest’anno ho visto due volte Evelyn Herlitzius, una delle cantanti che maggiormente amo, e per di più in tempi strettamente ravvicinati.
Nel mese di Luglio, a Zurigo, nel vecchio spettacolo di Kusej, è stata un’Elektra stre-pi-to-sa: la migliore che si possa immaginare.
Nel mese di Agosto, a Bayreuth, è stata un’Isolde disastrosa.
Può essere la dimostrazione lampante che non tutti i ruoli sono adatti a un cantante, per bravo – anzi, fuoriclasse – che possa essere? Oppure la banale evidenziazione degli anni che passano?
Se dovessi fermarmi alla forma spettacolare della voce di Luglio, non avrei dubbi di sorta sull’interpretazione del dato: non esistono cantanti per tutti i ruoli.
È un refrain di questo sito: lo ripetiamo sino alla noia.
Non è questione di studio, o di scuola. Dice un vecchio adagio: mettete un pesce ad arrampicarsi su un albero, gli genererete un complesso di inferiorità.
Pensate la Tetrazzini che cinguetta l’Immolazione di Brunnhilde.
Immaginate la Grob-Prandl o la Flagstad a cantare il finale della “Donna del lago”.
Ancora in questi giorni qualcuno storceva il naso di fronte all’idea che la Netrebko non avrebbe il “passo” della cantante verdiana: farneticazioni deliranti su qualcosa che non esiste.
Esistono i singoli ruoli. Esistono i singoli cantanti.
Studiamo la storia dei ruoli, e troviamo i cantanti adatti.
Si può?
Secondo noi, sì.
È difficile, ma ci si può provare.
Di queste cose si parla solo qui, su Operadisc: è il nostro mantra privato.
Quest’anno, nei limiti forzati dei nostri ritmi lavorativi, abbiamo probabilmente fatto poco, e ce ne scusiamo, ma tre dei quattro amministratori sono medici, e questo conta purtroppo qualcosa nellatempistica di produzione. Però vi abbiamo raccontato almeno due registrazioni integrali di opere al mese, più i recital e i dischi di musica sacra. E vi abbiamo parlato degli spettacoli che abbiamo visto.
Segnaliamo, a proposito dei recital, il lavoro particolarmente attento che abbiamo fatto. Il recital discografico ha ormai soppiantato la registrazione dell’opera completa: costa meno e permette di avere una vetrina più centrata sul cantante. È inutile fare gli schizzinosi: il mercato ormai richiede questo tipo di registrazioni in modo perentorio: è giusto che le seguiamo con attenzione.
In più, abbiamo inaugurato la pagina Facebook di Operadisc, sulla quale abbiamo commentato in diretta la Prima della Scala, con enorme affluenza di pubblico.
Con l’anno nuovo speriamo di rinnovarci, quanto meno nella grafica.
Abbiamo sempre l’idea di mantenere la presenza della nostra voce sul web.
Grazie di essere al nostro fianco
Il comitato editoriale di Operadisc