Domenica, 06 Ottobre 2024

Editoriale: Con Anna, a spasso per la Bassa - di Pietro Bagnoli

Aggiunto il 08 Dicembre, 2015

Nata nel 1845 nel segno di Erminia Frezzolini, “Giovanna d’Arco”, settima opera di Giuseppe Verdi su (pessimo) libretto di Temistocle Solera costituisce un deciso passo indietro rispetto alla produzione precedente più dal punto di vista drammaturgico che dell’ispirazione. Riportarla in auge sperando di evidenziarne le poche bellurie isolabili nel lavoro di mestiere non ha generalmente quasi mai nessun senso.
Ci sono due sole possibili eccezioni a questo ragionamento.
La prima: esporre l’opera come tappa di un percorso formativo che avrebbe portato l’autore di lì a poco ai risultati ben altrimenti performanti di “Attila” e “Macbeth”. Ma, in tal senso, avrebbe molta più logica dare esposizione al coro, ai momenti patriottardi che preludono al Quarantotto incombente, a tutto ciò insomma che aveva portato il pubblico dell’epoca a identificare lo schivo Verdi come modello risorgimentale praticabile. E forse ci vorrebbe un direttore diverso dal pur bravissimo Chailly.
L’altra possibilità è quella di isolare l’unico vero elemento di richiamo di un lavoro così brutto, e cioè la parte di Giovanna; e affidarla a una superstar che lo nobiliti, facendosi carico della recita pressoché nella sua integrità. Ed è quello che è stato fatto, giacché di questa parte così insulsa e brutta è stata investita Anna Netrebko che se ne è fatta carico con ferocia, con una forza e una volitività di cui non l’avrei più accreditata dopo alcune prove anche discografiche recenti. Nonostante un piccolo inconveniente nella sua aria di sortita, Annuška ha proceduto come un treno, con una forza incredibile, ma soprattutto con una proprietà che rimanda al pieno dominio del linguaggio espressivo della prima metà dell’Ottocento.
Anna Netrebko è una Diva. Di più: è la vera Diva verdiana per antonomasia, e non tanto per appropriatezza stilistica ed emissione sul fiato, giacché queste sono cazzate che lasciamo volentieri a coloro che se ne beano come se l’uso corretto della

grammatica fosse il motivo per cui apprezzare Manzoni o Quasimodo.
No.
Anna Netrebko è “la” diva verdiana dei nostri tempi per come sa illuminare con il proprio respiro il dettato della frase, la perfetta fusione fra musica e parole del Peppino nazionale. E, in tal senso, ci potranno essere ruoli più o meno adatti a lei, ma è da una prova immensa come questa che ci si rende conto di come si può essere “verdiani”: lo era già dopo la Traviata di Salisburgo del 2005 (dieci anni: sembra una vita), lo è a maggior ragione oggi, ingrassata e con l’emissione appesantita, ma mai doma, sorridente e sfacciata, che sembra piangere e amare per tutti noi, prendendoci per mano ed accompagnandoci – lei, russa – attraverso le brume della Bassa padana.
E chi se ne frega di ruoli Stolz, ruoli Penco o ruoli Barbieri Nini: se non è “verdiano” questo saper raccontare, non so cosa lo possa essere!…

Ora, per onestà dovremmo chiederci perché accettiamo questo dalla meravigliosa Netrebko e lo rifiutiamo da Riccardo Muti che, ai tempi del suo regno incontrastato, faceva esattamente lo stesso tipo di servizio allo spettatore.
Ci è più simpatica Annuška?
Può darsi ma, nel dubbio, glisso e lascio l’interrogativo aperto…
Pietro Bagnoli

Categoria: Editoriale

 

Chi siamo

Questo sito si propone l'ambizioso e difficile compito di catalogare le registrazioni operistiche ufficiali integrali disponibili sul mercato, di studio o dal vivo, cercando di analizzarle e di fornirne un giudizio critico utile ad una comprensione non sempre agevole.