Editoriale: Salvatore Licitra e la maschera dell'eterno erede - di Pietro Bagnoli
Aggiunto il 05 Settembre, 2011
Quello dell’erede di Pavarotti è un mestiere difficile: vi sono chiamati tenori dotati di voce orecchiabile, di calore umano, di comunicativa e di presa mediatica.
Nel corso degli anni è un titolo che è stato dato a molti cantanti – mi vengono in mente, fra gli altri, Bocelli e La Scola – ma spesso a sproposito perché quelle di Pavarotti erano doti fuori dal comune, di quelle che servono per assemblare un cantante a secolo, se va bene, perché poi ci devi aggiungere tante e tali cose che ancora non arrivi a farne uno completo.
Salvatore Licitra era uno di quei cantanti che aveva tutti i presupposti per essere, se non un erede (titolo che mi ha sempre profondamente irritato perché implica una mancanza di personalità in colui al quale lo si attribuisce), quanto meno qualcosa di importante.
Per essere un siciliano DOC era nato in Svizzera, poi era diventato tenore quasi casualmente; almeno, così narrano e questo aumenta la simpatia. Ma la voce era importante, ricca di armonici e precocemente votata a ruoli importanti. Mica aveva iniziato come Nemorino o Elvino; no, Licitra esordì come Riccardo del Ballo in maschera a Parma nel 1998; e poi ancora Radames, Alvaro e Alfredo. Alla Scala nel 2000 canta Tosca con Muti che poi lo convoca per Sant’Ambrogio come Manrico, nel Trovatore di ventidue anni dopo, quello senza il do di petto della Pira. È li che lo conoscemmo tutti quanti, compresi i non addetti ai lavori che applaudirono incondizionatamente la bella voce di questo cantante. Nel 2002 approda al Metropolitan sostituendo al volo un Pavarotti ultrasessantenne e provato: difficile non vedere un simbolico passaggio di consegne che, a essere onesti, è rimasto più nelle intenzioni che negli effetti.
Oggi una morte prematura, bastarda e annunciata purtroppo da qualche giorno: un maledetto incidente che ce lo ha portato via troppo presto.
Con Salvatore Licitra viene a mancare l’esponente probabilmente più importante di quellacategoria di tenori lirici “all’italiana” che appare sempre più a rischio di estinzione: un po’ perché le doti naturali non si manifestano tutti i giorni con queste caratteristiche, un po’ perché questo tipo di voce è in crisi per tutta una serie di motivi che qui sarebbe lungo approfondire. È stato paragonato a Pavarotti, dicevamo, per la generosità della dote naturale: ma mantenere per tanti anni la maschera che il tenore modenese ha portato in giro per il mondo e per tutta la vita non è per niente facile. Occorre guasconeria, sfrontatezza, al limite anche un pizzico di infingardaggine per essere con naturalezza quello che altri cerca disperatamente di apparire: il tenore, il deus ex machina, l’eroe senza macchia e senza paura.
Se non ci credi, se menti sapendo di mentire, se inganni per primo te stesso ti puoi perdere, oppure puoi scadere nella macchietta del tenore posteggiatore buono per tutti gli usi, nella parodia del cantante col ciuffo unto e con il pelo del torace perennemente esposto.
Licitra ci aveva sempre dato la sensazione di crederci, tanto da produrre alcune performances che, anche se non sempre illuminanti come ci si aspetterebbe da un “erede di Pavarotti”, erano state comunque belle, facili, credibili. Io stesso gli avevo creduto quando l’avevo ascoltato come Cavaradossi, al punto da ritenerlo uno dei migliori che avessi mai ascoltato, e persino come Manrico, alla Scala e sotto l’inflessibile Muti, che pure lo aveva privato di quel do che aveva in canna; ma Muti non si fermava davanti a nessuno, neppure davanti a Gedda o a Merritt, figuriamoci di fronte a un cantante all'epoca poco più che trentenne.
Qualche volta sono stato portato a credere che la maschera di cui parlano i grandi esegeti del canto all’italiana sia non tanto quella dei risuonatori facciali, ma quella che i cantanti riconosciuti come “grandi” sono costretti a portare in giro, in guisa di finto sorriso come quello che Canio è costretto a dipingersi sullafaccia anche dopo aver scoperto il tradimento di Nedda: è un vecchio refrain, non è forse vero?
Negli ultimi tempi sembrava provato, come se questa maschera gli andasse stretta o come se non vi si riconoscesse più; e noi stessi non pensavamo a lui per primo quando immaginavamo un cast che ruotasse intorno a un tenore ingombrante, prevaricatore, dall’acuto assassino come quello di cui la Natura l’aveva generosamente dotato.
Oggi non sappiamo come sarebbe stato quello che ancora mancava della sua carriera, cosa ci avrebbe riservato. Sarebbe andato avanti per quella strada che non ci era mai sembrata veramente “sua”? Oppure avrebbe cambiato repertorio e magari si sarebbe reinventato in qualche altro ruolo?
Non lo sapremo mai, purtroppo; ma abbiamo comunque la consapevolezza che, nonostante l’investitura mediatica, non avrebbe mai potuto portare con naturalezza la maschera di colui del quale ci avevano detto essere l’erede.
Ci mancherà
Pietro Bagnoli