Lunedì, 07 Ottobre 2024

Editoriale: Due insigni musicologi - di Maugham

Aggiunto il 21 Febbraio, 2011

Il 15 febbraio scorso alcuni magistrati milanesi hanno deciso di processare il presidente del Consiglio Sivio Berlusconi per i seguenti reati: avere ottenuto prestazioni sessuali da una ragazza all'epoca minorenne ed aver fatto pressioni sulla polizia abusando del suo potere per farla rilasciare da un commissariato.
La notizia ha fatto, ovviamente, il giro del mondo.
Giuliano Ferrara, direttore del Foglio, sta attualmente conducendo una sua personale crociata in difesa di Berlusconi. I mezzi che usa sono vari ma le sue arringhe difensive si basano, in sintesi, su due argomenti. Ferrara sostiene che Berlusconi viene ingiustamente processato per comportamenti che riguardano la sua vita privata; Ferrara sostiene che questo polverone planetario è stato messo in moto da un uso strumentale e fazioso di un moralismo di stampo anglosassone che a noi italiani, sempre secondo Ferrara, non appartiene nè per storia nè per cultura. Semplifico; Berlusconi l'avrà anche fatta grossa, ma chi siamo noi per giudicare? Il Presidente del Consiglio -dice Ferrara- altro non è che il prodotto di un modo di vedere e sentire il potere nel nostro paese.
Fin qui nulla da eccepire nella forma; è una tesi difensiva debole, ma come tutte le tesi merita rispetto. Ferrara sa scrivere e dispone di notevoli capacità persuasive.
Temo che, trascinato dalla foga, Ferrara abbia travalicato i limiti della sua competenza. Nell'editoriale apparso sul Foglio venerdì 19 febbraio si sforza di dare basi, non dico storiche o sociali alla sua tesi, ma addirittura teatrali e musicali.
Secondo Ferrara la ragione della tolleranza di un cospicuo numero di italiani nei confronti delle pruriginose vicende berlusconiane è spiegabile attraverso la storia della musica; più precisamente nella storia di quell'Ottocento che, cito, "segnò una divisione europea in fatto di musica, l'opposizione della musica romantica e del dramma musicale wagneriano al bel canto, specie nelle suevariazioni giocose, patetiche, buffe, di mezzo carattere" Le notti di Arcore, continua Ferrara, altro non sono che " il contrario del "notturno", sono spasso solare e opera buffa." Conclude il pezzo in questa maniera: "Berlusconi ama cantare, i suoi melodisti sono Trenet e Apicella, non Bellini e Donizetti, ma la ricerca semplificata dell'elixir è la stessa del nostro Ottocento melodrammatico. Quella persona, trasformata in idolo da abbattere e in imputato da condannare con ogni mezzo viene dal cuore profondo di una grande Italia che seppe suonarla e cantarla dignitosamente al resto dell'Europa, e con successo."
Domenica 20 gli risponde su Repubblica un altro insigne fondista, Eugenio Scalfari, che definisce "grottesche" le posizioni del collega. Poi anche lui entra nell'arena melodrammatica e tira in ballo il Don Giovanni ricordando al collega che il protagonista finisce all'inferno. Amen.
Sono divertito e sbalordito insieme. Mi diverte che il melodramma sia anche lui coinvolto nell'attuale pattume mediatico e politico; mi sbalordisce che venga usato come un'evoluta variazione sul tema della simpatia italiana a cui tutto si concede e si perdona. Altrettanto mi sorprende che un austero editorialista come Scalfari ceda a lusinghe musicali e tiri in ballo, seppur ironicamente ma pur sempre a sproposito, un gigante come Don Giovanni per parlare di Berlusconi e dei suoi capi d'imputazione.
Ormai il melodramma è merce a buon mercato, così come tutto quello che attiene allo spettacolo e quindi lo si può usare con disinvoltura a proprio uso e consumo senza pudore. E' inutile constatare come le facili sintesi di Ferrara siano costruite su fonti ormai superate (Massimo Mila); è inutile constatare che il cespite dell'articolo (l'antagonismo geografico dramma musicale-melodramma) sia da un cinquantennio relegato al Medioevo critico e musicologico. Ormai il melodramma serve a tutto; a celebrare unità nazionali o a rivendicare secessionismi, serve a darecorpo a proteste sindacali, a vendere cioccolatini e capi firmati, serve a dare lustro a progressiti attempati sempre più protocollari e caciaroni. Non stupisce quindi che Ferrara lo usi come una gigantesca foglia di fico adatta a coprire genitali che la tradizione amorosa italiana e perchè no, già che ci siamo, melodrammatica, vuole di dimensioni e potenza considerevoli. Italians do it better, non ci fotografano forse così?
Purtroppo questa visione rozza e facile di un nostro pezzo di storia (il melodramma inteso come espressione di una società gozzovigliona, appassionata e sentimentale) oggi appartiene nei fatti alla cultura italiana sia di destra sia di sinistra e proprio questa idea dell'Opera, per quanto furbescamente declinata, ispira molte direzioni artistiche dei teatri nostrani. L'Opera in Italia è un costoso giocattolo a metà strada tra il circense e lo spettacolare in cui la costante replica di stantii cliché lo rende rito per alcuni e polveroso museo per altri. In ambedue i casi qualcosa di inutile e superato. Non è strano che la Scala, ormai diventata il regno del purchessia, non riesca ad alzare il sipario senza qualche iattura.
Grazie a Ferrara da adesso Berlusconi lo chiameremo "incauto vegliardo" e le ragazzine coinvolte saranno solo "giovin principianti". Grazie a Scalfari la tesi difensiva del nostro imputato sarà diversa. Macchè concussione, stavo solo... "esibendo la mia protezione".

Maugham

Categoria: Editoriale

 

Chi siamo

Questo sito si propone l'ambizioso e difficile compito di catalogare le registrazioni operistiche ufficiali integrali disponibili sul mercato, di studio o dal vivo, cercando di analizzarle e di fornirne un giudizio critico utile ad una comprensione non sempre agevole.