Giovedì, 04 Luglio 2024

Editoriale: Nonostante Ceronetti - di Matteo Marazzi e Pietro Bagnoli

Aggiunto il 24 Dicembre, 2010

Ed eccoci a Natale, data meravigliosa, che cristallizza in sé le nostre aspettative di magia, quella stessa magia che – pur tristissima – è racchiusa anche nella fiaba meravigliosa della Piccola Fiammiferaia che, ancora oggi, riesce a commuoverci.
Natale è momento di auguri, di dolcezza, di tenerezze, per qualcuno anche di tristezze e tetraggini.
Guido Ceronetti, per esempio.
Classe 1927 – quindi 83 primavere, e si sentono tutte, siamo onesti – piemontese, poeta, filosofo, ma soprattutto intellettuale: ha tutto quanto gli occorre per distillare saggezza e versarla nell’anima degli sciocchi dalle pagine del più importante quotidiano piemontese. E infatti: in un recente articolo, ripreso più o meno in tutti i siti e fora che si occupano di opera lirica, il poeta ha stilato un feroce pamphlet contro l’opera lirica, con frasi di notevole effetto retorico come: “Vixit, l’Opera, trionfalmente, nel secolo XIX; con Puccini e Boito, o Pizzetti, rantola; con Menotti è uno zombi. Bayreuth non avrebbe dovuto sopravvivere a Goebbel”.
E poi: “Quale cultura, se non necrofila, può rappresentare la ripresa, a costi vertiginosi, di una massiccia sequela di colpi in testa come La Valchiria? I capi nazisti, uno più sadomasochista dell’altro, celebravano con l’Opera wagneriana un culto di Kalì travestito da pellegrini cristiani e un Venerdì Santo delle regioni infere”.
E per finire, il solito scontato riferimento: “La Callas fu la Voce dell’Opera della sua epoca, purtroppo obbligata allo stupro dell’imbecillità dei libretti, di cui non se ne salva uno solo. Per poter tollerare Traviata (che fin dal titolo contiene un’idiozia moralistica) bisogna non sapere nulla della trama, essere giapponesi o kazaki digiuni completamente di locuzioni italiane. Quello sciagurato Francesco Maria Piave! La stupidità concentrata nelle parole dell’Andante del vecchio Germont con l’esultante finale di Dio che esaudisce il suo voto di criminale ruffiano: è vero che lamusica riscatta tutto, ma genialità e soldi per simili nefandezze fumettistiche sono ali imbrattate di petrolio”.
Il prestigioso Devoto-Oli, alla voce “Intellettuale” riporta: “Persona fornita di una buona cultura o cultore di studi, spec. in quanto ritenuto capace di esercitare una profonda influenza nell’ambito di un’organizzazione politica o di un indirizzo ideologico; a volte iron. o spreg. per sottolineare un’astratta cerebralità o un’ostentazione di superiorità”. Atteso che spesso il termine “intellettuale” si sposa, nell’accezione comune, con l’idea che sia anche “di sinistra”, ecco la spiegazione per la scelta preponderante, da parte dell’intellettuale, di épater le bourgeois con boutades volutamente paradossali: mirano proprio a ottenere una reazione, un effetto intenso, una risposta veemente. Qui invece, nel caso di Ceronetti e del suo articolo, siamo al secondo significato: quello cioè di astratta cerebralità: quella cioè di chi parla di cose che non conosce o non capisce, ma lo fa dando l’idea di saperla lunga, o di citarsi addosso, finendo così invece per assomigliare a uno dei personaggi che Woody Allen inventò per i suoi racconti, spesso superiori per umorismo graffiante e paradossale ai suoi stessi film.
È difficile dare addosso a Guido Ceronetti, vuoi per l’età, vuoi perché chiaramente una sorta di Kim Peek in tema non solo operistico in senso stretto, ma culturale tout court; e tuttavia, sia detto con tutto il rispetto per l’età vetusta dello scrittore, non si può non rilevare la sostanziale differenza fra l’arido nozionismo e la reale conoscenza degli argomenti: è quello il perno intorno cui gira la questione della cultura e nemmeno lui fa eccezione. E anche volendo tralasciare il solito, trito, patetico riferimento al nazismo – che Wagner non conobbe nemmeno di sfioro – con cui viene condito ogni wagnerismo, preferibilmente di quelli originanti a Bayreuth e zone limitrofe, non si può tacere di fronte alla manifestazione di tragicaignoranza relativa al titolo de “La traviata”, la cui genesi è ben nota ad ogni appassionato d’opera mediamente smaliziato; né soprattutto quella relativa alla figura di Francesco Maria Piave, letterato e intellettuale vero e non farlocco, a meno che Ceronetti non sia in grado di citarci almeno un altro poeta in grado di dare pari dignità teatrale a un gobbo e a una puttana.
Non sapere cosa significhi “La traviata”; non sapere che questo termine fosse quello che Violetta, nel suo anelito di ribellione e di desiderio inesausto di essere accettata, diceva di se stessa; non sapere il reale significato della perorazione di papà Germont; non sapere nulla – ma proprio nulla – della poetica dei diversi in Verdi: sono tutte cose accettabili se dette dalla casalinga di Voghera che ascolta l’incisione Deutsche Grammophone solo perché c’è Pavarotti, ma che non per questo concionerà le folle dalle pagine di un quotidiano nazionale facendo assurgere al rango di universale la propria incomprensione testuale e culturale. Il defunto docente di Letteratura italiana al Liceo “Carducci” di Milano, professor Salvatore Guglielmino, avrebbe bollato con tagliente ferocia uno scritto del genere come “sottoprodotto culturale”.

In una cosa, però, Ceronetti ha almeno parzialmente ragione: nell’idea che nell’opera, più che in altre arti, ci sia la tendenza da parte di alcuni appassionati alla reiterazione di riti ormai sorpassati dalla prassi.
Intendiamoci: non vogliamo fare gli integralisti al contrario. C’è spazio per tutti e per tutte le esigenze.
Ma se qualcosa abbiamo imparato negli ultimi sessant’anni – sicuramente i più rivoluzionari nell’arte della rappresentazione – è che la tradizione può sopravvivere solo nel rinnovamento, quel rinnovamento che è sfuggito completamente a Ceronetti fermo, come egli stesso afferma, al vinile della Callas con Giulini. E ci viene il dubbio che se lo sia davvero mai ascoltato.
Edizioni critiche, filologia,diversificazione dei tipi di vocalità, comparsa di nuove categorie, conoscenza di repertori diversi (che non sono solo i verdipucciniwagnermenotti, ma anche Vivaldi e Donizetti, Mozart e Haendel, Strauss e Mussorgsky, Massenet e Monteverdi, Berg e Henze e, per dire, gli americani che continuano a produrre opere liriche contaminando vari generi, “colti” o “popolari” che siano), la riscoperta del Barocco attraverso un modo antiquo che ne esalti la complessità esecutiva, vari modi di eseguire uno stesso repertorio a seconda delle aree geografico-culturali, consapevolezza dell’esistenza di più scuole di canto, accettazione definitiva del ruolo delle regie nel teatro – e sottolineiamo il termine “teatro” – d’opera, il ruolo del disco come mezzo di studio e del DVD nella conservazione dell’evento: questi e tanti altri ancora sono aspetti che rendono il mondo dell’opera lirica sempre più attuale e vivo, giustificando in pieno gli entusiasmi soprattutto dei giovani che, in una piazza veramente importante come Salisburgo, facevano la fila giorno e notte per assicurarsi un biglietto per un titolo “putrefatto” come “La traviata” con Anna Netrebko e la regia di Willy Decker.

Buon Natale a tutti i nostri amici!
Matteo Marazzi e Pietro Bagnoli

Categoria: Editoriale

 

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