Verismo di Anna Netrebko
Aggiunto il 06 Settembre, 2016
Ma l’amor mio…. non muor….
Con l’ultimo anelito di vita di Manon Lescaut si chiude il recital probabilmente più atteso dell’anno. Con questo disco di arie “veriste”, Anna Netrebko imprime una decisa svolta drammatica alla sua vocalità, interpretando ruoli mai portati in palcoscenico, ad eccezione della Manon. Sarebbe meglio dire mai portati in palcoscenico almeno per ora, perché già sappiamo di prossimi Andrea Chenier e sicuramente di un allargamento del repertorio della bellissima Anna.
Quindi? Come è questo disco? A mio avviso è strepitoso, una delle migliori prove discografiche della Netrebko, con un paio di eccezioni che se non deludono, sicuramente non soddisfano come tutto il resto del recital.
La prima cosa che colpisce all’ascolto è la dizione perfetta, scolpita, scandita in un italiano davvero di livello. L’interpretazione delle singole arie è da manuale, sempre partecipe, sempre attenta, misurata, frutto di attento studio sia del testo sia del contesto dell’opera. Il recital quindi non è una serie di infilate di belle arie che soddisfano ma che dopo un po’ annoiano. E’ invece un lungo cammino in cui le qualità di Anna si svelano e mostrano a poco a poco.
Non si può ovviamente tacere della voce, sempre di una bellezza sovrana, una voce che sta virando verso un timbro lirico-spinto ma riesce a mantenere quella purezza quasi virginale che consente pianissimi meravigliosi, eterei eppure perfettamente appoggiati e immascherati. Una piccola lezione verso coloro che pronosticavano una fine rapida della carriera di Annuska a causa della sua pessima tecnica di canto (sic..)
Con l’aria di ingresso di Adriana, Netrebko pone le basi per un nuovo sicuro successo in teatro. La vocalità dell’attrice francese sembra scritta per lei. Il sussurro iniziale di “ecco… respiro appena” è un leggero alito di voce, da brividi. Ispiratissima nel racconto di Maddalena dello Chenier, che guarda al canto solido della Tebaldi ma reinterpretato in chiave modernissima. “Porto sventura a chi bene mi vuole” è misurato, quasi un sussurro, che colpisce ancora di più. Il finale dell’aria calmo, sereno, quasi trionfante. Ed è ovvio che qualunque Gerard non potrà sottrarsi al fascino di questa richiesta.
“Un bel dì vedremo” scorre precisa, perfetta, senza eccessi, estremamente moderna. E si arriva alle due arie che un po’ deludono, come dicevo prima, anche con una certa sorpresa. La vocalità attuale non permette alla Netrebko di sostenere né Liù, né Nedda le cui arie – corrette, anzi correttissime – non aggiungono nulla di nuovo nella storia dell’interpretazione. Anzi. Liù è distantissima dall’ispirazione della cantante russa – che infatti troveremo molto a più agio nella ben più difficile aria di Turandot. Nedda invece è interpretata con troppa veemenza. Stridono lassù è quasi urlato, manca di quella necessaria leggerezza senza la quale l’aria si trasforma in una esagitata dichiarazione di guerra piuttosto che in una ballata. Sia chiaro, la delusione è solo per l’eccellenza del resto che sentiamo in questo disco.
Il livello ritorna eccelso con la celebre “Ebben? Ne andrò lontana” tenuta leggerissima, quasi “soffiata” in una delicatezza senza tempo, onirica e trasognante. Corretta l’aria di Margherita del Mefistofele, ben sostenuta nonostante le bordate di suono scatenate da Pappano e dai suoi Ceciliani.
E’ nel Suicidio da Gioconda però che la Netrebko compie un vero e proprio miracolo. L’aria è spinosissima e piena di insidie, soprattutto interpretative. Il rischio di scadere nel grottesco usando le note di petto sulle “tenébre” è evitato con una intelligenza estrema. Anche qui l’aria è misurata, sussurrata. Gioconda è stanca, non è una virago isterica ma una donna innamorata che non ha più nulla nella vita. Il suicidio è l’ultima croce del suo cammino ma è una croce di estrema serenità e dolcezza. Una interpretazione che pone un punto saldo e rimette in discussione tutto quanto abbiamo sentito da altre sue colleghe. Una interpretazione che spiazza, distrugge l’anima, avvince e convince, al punto da costringerti a sentire e risentire infinite volte come Anna risolve questo grande momento drammatico.
Sconvolti da tale emozione, ascoltiamo un “Vissi d’arte” praticamente perfetto ma che sembra quasi un semplice esercizio di stile, dopo tale partecipazione emotiva.
Giunti a “In questa reggia” non possiamo che ammirare la potenza, gli acuti, i fiati infiniti di Anna. Accompagnati ad una dizione scolpita in cui le consonanti sono enfatizzate per dare estrema drammaticità al personaggio. Una esecuzione magnifica, aiutata anche – vi prego credetemi – dalla buona prova di Yusif Eyvazov, che accompagna la moglie anche nel quarto atto di Manon Lescaut. Pappano scatena il finimondo nel finale dell’aria ma Anna svetta sugli enigmi e sulla morte una con una potenza sconvolgente. Spero però non sia il preludio ad esecuzioni di Turandot dal vivo perché lo smalto perlaceo del soprano tende ad indurirsi.
Si chiude con l’opera per eccellenza di Anna, la Manon Lescaut. Dopo un delicatissimo ma malizioso “In quelle trine morbide” il cd presenta l’intero quarto atto. Già in occasione di molte recite dal vivo si è scritto tutto il possibile in merito a questa interpretazione. Io suggerisco solo di ascoltarla ad occhi chiusi. La bellezza che svanisce, la solitudine, l’abbandono, la morte, l’arsura del deserto: nella voce di Anna c’è tutto e tutto basta a rendere la sua Manon un capolavoro che lascerà il segno. Bravo anche il consorte. Sempre poco raffinato (per usare un eufemismo) nel canto ma partecipe, sofferente, innamorato e disperato. La voce è bella e l’affiatamento con la compagna di vita magnetico.
Antonio Pappano e i suoi Ceciliani – addirittura il coro nel finale di “In questa reggia” – accompagnano la Netrebko in questo viaggio. Pappano dirige sempre bene, benissimo. Santa Cecilia suona bene, anzi benissimo. Ma a volte si ha come la sensazione di un accompagnamento un po’ troppo magniloquente. Fa eccezione l’introduzione all’aria del Mefistofele: qui Pappano cerca e trova suoni lugubri e sofferenti di una bellezza sovrana.
La conclusione è semplice e sintetica: un disco imperdibile!
Docflipperino