Mercoledì, 03 Luglio 2024

Messa in si minore

Aggiunto il 24 Giugno, 2011


JOHANN SEBASTIAN BACH
MESSA IN SI MINORE

• Sopranos 1 LUCY CROWE, JOANNE LUNN
• Sopranos 2 JULIA LEZHNEVA, BLANDINE STASKIEWICZ
• Altos NATHALIE STUTZMANN, TERRY WEY
• Tenors COLIN BAKER, MARKUS BRUTSCHER
• Basses CHRISTIAN IMMER, LUCA TITTOTO

Les Musiciens du Louvre
MARC MINKOWSKI

Luogo e data di registrazione: Chiesa di San Domingo de Bonaval, Festival Via Stellae, Santiago de Compostela, Spagna, Luglio 2008

Edizione discografica: Naïve, 1 CD a prezzo pieno

Note tecniche: registrazione perfettamente spaziata

Pregi: direzione capolavoro, scelta editoriale, Stutzmann e Lezhneva

Difetti: nessuno

Giudizio complessivo: images/giudizi/eccezionale.png

Video:

Inauguriamo la nuova sezione del nostro sito partendo dal monumento di Bach, ma Messa in si minore, e partiamo da una delle incisioni più peculiari di questa composizione.
Perché partiamo dalla grande Messa? Perché secondo qualcuno è il più grande capolavoro della storia della musica – almeno quella che conosciamo noi.
Perché partiamo da Minkowski? In fin dei conti è un direttore che inizia con la Messa in si minore il proprio ciclo di incisioni di Bach e, volendo, ci sarebbero già decine di incisioni, alcune delle quali classicissime. La risposta è che, appena apparsa, questa incisione si colloca ai piani altissimi della discografia e, per intuizioni esecutive e audacia delle scelte, è quella che maggiormente coinvolge l’ascoltatore che voglia accostarsi a questo capolavoro, in ciò riuscendo ad emozionare addirittura più del pur grandissimo Suzuki.
Questa registrazione – la seconda della collaborazione fra Minkowski e la dinamica etichetta Naïve (è la stessa che sta registrando il corpus completo delle composizioni di Vivaldi) nasce nel contesto del Festival Via Stellae, un evento dedicato alla musica barocca e localizzato a Santiago de Compostela (www.viastellae.es).

Se dovessimo identificare i punti chiave dell’interpretazione di Minkowski, dovremmo cercarli nei seguenti:
- unitarietà. È noto che Bach abbia composto le parti del suo capolavoro in vari momenti della sua vita. È altresì evidente una differenza di stile fra le due parti della Messa: più cupa e ferrigna la prima, quella più propriamente in si minore; più aerea e luminosa la seconda, in re maggiore. Grande merito di Minkowski è quello di essere riuscito a rendere la composizione un tutto unico che fluisce in modo assolutamente uniforme con un ritmo pulsante che affascina l’ascoltatore anche più smaliziato
- orchestra. I Musiciens du Louvre sono una compagine rodata e affidabilissima. Da oggi scopriamo che sono molto adatti anche al repertorio bachiano, cui prestano un suono luminoso, compatto, uniforme e agilissimo
- scelte esecutive. Gli organici corali ipertrofici appartengono ormai alla preistoria esecutiva di Bach: basti pensare alla rivoluzione operata prima da Joshua Rifkin e Andrew Parrott con la Messa in si minore, e poi da Paul McCreesh con la sua ormai celeberrima incisione della Matthaus-Passio. La tesi sostenuta da questi grandi musicisti era che la maggior parte delle opere vocali di Bach erano eseguite non da cori come li intendiamo oggi, bensì da gruppi di solisti. Anche qui i corali sono affrontati dagli stessi solisti vocali
- scelte vocali. La presenza di cantanti come Nathalie Stutzmann, Tittoto e la luminosa e malinconica Lezhneva, garantiscono all’esecuzione un’eccellenza di un livello difficilmente riscontrabile in altre performances maggiormente centrate sulle sole scelte editoriali

Basterebbero già questi aspetti a classificare come altissimo questo primo approccio discografico di Minkowski a Bach. Ciò che invece lo rende eccezionale è la propulsione, la mancanza di respiro, la violenza esecutiva che però non si traduce mai in suoni “riffati” o graffianti come per esempio con Spinosi.
La scelta di “one voice per part” non è ovviamente originale: c’era già stata la registrazione di Rifkin (ed. Nonesuch, che peraltro mi risulterebbe fuori catalogo) e quella coinvolgente di Parrott, che si avvaleva della presenza di Emma Kirkby; qui in realtà le voci sono due per parte, ma la sostanza di fatto non cambia, perché anche Parrott prevedeva un “rinforzo” per le singole parti con i solisti dei Tölzer Knabenchors (uno dei quali, Panito Iconomou, si faceva carico della meravigliosa “Agnus dei”).
La proposta esecutiva non solo di Minkowski, ma in assoluto tutta quella odierna a partire dagli Anni Ottanta, momento chiave per il recupero del repertorio antico alla luce della metodologia filologica, è chiaramente in controtendenza rispetto a quanto fatto in passato: riascoltare oggi Richter, oppure una delle due versioni di Karajan – mi riferisco in particolare alla seconda, che gronda succhi ottocenteschi da tutti i pori – genera veramente la sensazione di ascoltare un altro lavoro che nulla ha a che vedere con Bach.

Alla fine, il risultato complessivo è davvero mesmerizzante.
Il sound dei Musiciens du Louvre è fantasmagorico: oggi come oggi sono da considerarsi fra le migliori compagini del mondo, e non solo per il repertorio barocco. La direzione di Minkowski, sicuramente allineata con quella intimistica di Masaaki Suzuki, rispetto a quest’ultima vibra di una lievemente maggior tensione esecutiva. Siamo a livelli altissimi, fra i massimi per questo repertorio, per cui è giusto far rimarcare anche le sfumature. Dalla sua Suzuki ha una maggior padronanza di questo repertorio e uno strumento come il Bach Collegium Japan che non solo ha maggior esperienza, ma ha anche guadagnato una maggior idiomaticità ad onta della differente area culturale; per contro, Minkowski offre all’ascoltatore un suono più caldo, riverberante e un’esposizione più teatrale della materia, anche se la teatralità nasce proprio dalla musica, dall’esasperazione delle tensioni già presenti in nuce nella partitura.
I cantanti formano un complesso di rara coesione, con due fuoriclasse.
Nathalie Stutzmann, voce vera di contralto che richiama nell’impasto timbrico la grandissima Kathleen Ferrier, grazie anche al superlativo accompagnamento di Minkowski compita quello che probabilmente è il più emozionante “Agnus dei” testimoniato da disco. Ma vi rimandiamo al nostro forum per un confronto fra alcune versioni della stessa aria.
Julia Lezhneva, nell’aria “Laudamus te” del Gloria con il violino solista di Thibault Noally, ci fa sentire un impasto vocale dolcissimo e malinconico ma, allo stesso tempo, di una precisione cristallina; all’epoca della registrazione la cantante aveva appena 19 anni…
Eccellenti anche tutti gli altri che concorrono a un’esecuzione davvero di straordinaria e profonda bellezza

Categoria: Musica Sacra

 

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