Don Giovanni
Aggiunto il 25 Novembre, 2016
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WOLFGANG AMADEUS MOZART DON GIOVANNI • Don Giovanni DIMITRIS TILIAKOS • Il Commendatore MIKA KARES • Donna Anna MYRTÒ PAPATANASIU • Don Ottavio KENNETH TARVER • Donna Elvira KARINA GAUVIN • Leporello VITO PRIANTE • Zerlina CHRISTINA GANSCH • Masetto GUIDO LOCONSOLO Chorus of the Perm Opera and Ballet Theatre Chorus Master: Vitaly Polonsky Musicaeterna TEODOR CURRENTZIS Continuo: Benoit Hartoin, Maxim Emeyanychev (fortepiano), Alexander Prozorov (violoncello e viola da gamba) Liuto: Yavor Genov Luogo e data di registrazione: Perm (Russia), P.I. Tchaikovsky State Opera and Ballet Theatre, 23 Novembre-7 Dicembre 2015 Ed. discografica: Sony, 3 CD Note tecniche sulla registrazione: assolutamente eccellente Pregi: direzione e, sostanzialmente, l’ottimo lavoro globale dei cantanti Difetti: un piccolo passo indietro nella storia interpretativa di questo capolavoro Valutazione finale: |
In data 24/11/2016, recensendo la fondamentale registrazione di René Jacobs, rilevavo che la storia interpretativa di Don Giovanni ricominciava esattamente da quel punto.
A distanza di 7 anni esatti mi trovo ad ascoltare questa incisione di Currentzis (pubblicata adesso, ma registrata un anno fa) che chiude il proprio ciclo dapontiano con qualcosa che appare un po’ più di più di un omaggio alle scelte del grande direttore belga.
Iniziamo dalla location dell’incisione: è stata fatta a Perm, 1400 km a est di Mosca, ai confini della Siberia. Siamo nel quartier generale di Currentzis, dove le condizioni sono per lui ideali per poter realizzare la chiusura di un progetto le cui prime puntate (nell’ordine, Nozze e Così) hanno ricevuto riconoscimenti al limite del delirio, quasi ci fossimo trovati di fronte a un nuovo fenomeno di massa.
Iniziata nel settembre 2014, la registrazione è andata avanti a sessioni anche di 12 ore al giorno. Dopo 13 giorni, constatato che il risultato non era quello atteso, l’eccentrico direttore ha buttato via tutto con l’idea di ricominciare da zero, e così ha fatto dal 23 novembre al 7 dicembre 2015; il materiale precedentemente registrato, a parte un paio di recitativi, è stato letteralmente distrutto.
Ritmi vivi, palpitanti, vividissimi, diversificati anche nei diversi piani sonori. Si pensi, per esempio, alla geniale intersezione di minuetto, controdanza e paesana realizzata da Mozart nel finale 1: raramente ho sentito nella mia vita di appassionato di opera un ritmo così pulsante in questa musica in cui è stato detto veramente tutto e il contrario di tutto. Non è solo questione di velocità (che, anzi, in Jacobs è anche maggiore), bensì di pulsazione infinita, ossessiva, martellante, che ti devasta e ti stordisce. Da questo particolare punto di vista, questa è l’esecuzione non solo più eccitante, ma anche più inquietante che si ricordi di questo capolavoro; e, in ciò, è superiore come intensità anche a quella di Jacobs. Si senta, per esempio, la prima parte dell’ouverture, quella che si chiude a cerchio nel segno della metafisica tonalità di re minore con la grande scena del Commendatore: per quanto mi sforzi, non ricordo di averla mai sentita così incalzante, davvero rivelatrice nel rivelare la sua stretta connessione con i ritmi precordiali.
Altrove, invece, la teatralità trascolora nella riflessione intima. Si pensi a due terzetti, come quello dopo l’uccisione del Commendatore, oppure “Protegga il giusto Cielo” in cui le tre maschere sussurrano la loro preghiera come mai forse era riuscito a nessun altro. Certo, c’è il solito problema della ripetizione in un contesto teatrale, ma in entrambi i casi l’orchestra di Currentzis ha una giustezza tale da lasciare senza fiato.
I recitativi, gestiti esattamente come in Jacobs con fortepiano e violoncello o viola da gamba, si confermano cuore drammaturgico dell’opera, recuperando in pieno la teatralità della narrazione. Addirittura il fortepiano si insinua nell’ordito di arie e duetti, come a ribadire la continuità fra i due momenti fondamentali dell’esecuzione.
La trama musicale non è mai caotica; anzi, è nitidissima oltre che resa splendidamente dal suono perfetto di questi CD.
Le variazioni “arbitrarie” (così definite non perché improprie, ma perché lasciate alla fantasia dell’interprete) erano prassi corrente e, anche in questa registrazione, se ne conferma la liceità, anzi l’importanza del loro recupero pieno nell’ottica del ripristino di una vera prassi attendibile, anche se tale prassi è – di fatto – il seppellimento del Mozart apollineo, quando va bene; o ingessato, nella peggiore delle ipotesi. Anche questa strada era stata intrapresa da Jacobs, forse non per primo in assoluto, sicuramente con maggior consapevolezza e audacia rispetto a chiunque altro prima.
La versione proposta è un inspiegabile mix di Vienna e Praga: ci sono quindi “Ah pietà signori miei” e “Il mio tesoro”, ma anche il duettino “Per queste tue manine” che si pone, a questo punto, in modo drammaturgicamente piuttosto incongruo. Questa scelta bizzarra risponde forse all’esigenza deteriore del “famolo strano” – deriva spesso inevitabile in direttori così caratterizzati – ma appare davvero priva di senso…
A fronte di un’impostazione direttoriale così tanto caratterizzata, il canto appare meno singolare.
Analogamente a quanto accadeva con Jacobs, per esempio, Anna è un soprano leggero-coloratura che rende giustizia non solo alla giovinezza del personaggio, ma anche alla difficoltà dell’ispido passaggio di coloratura di “Non mi dir”.
La resa complessiva del cast appare però lievemente meno coinvolgente rispetto a quanto succedeva nella registrazione di Jacobs, e questo per resa complessiva più che valutazione dei singoli.
Ciò che cambia, e drasticamente, le carte in tavola rispetto all’incisione di Jacobs è la scelta del protagonista.
Là avevamo Johannes Weisser: voce giovane, giovanile, chiarissima, quasi tenorile; ricordiamo a tale proposito che il primo protagonista a Praga, Lugi Bassi, aveva 21 anni all’epoca della rappresentazione. La prestazione di Weisser fu molto criticata all’epoca, mentre invece questa idea del “Cherubino cresciuto” di cui avevamo parlato secondo me era l’aspetto di gran lunga più rivoluzionaria e filologica di tutto il progetto. Giovane (ventisettenne all’epoca, quindi vicino al modello di Bassi), intellettuale, scanzonato, disincarnato, fatuo, lezioso, aspetto da secchione: tutto nel norvegese Weisser sembrava andare contro il modello di eroe protoromantico e sessualmente aggressivo incarnato dal 99% degli interpreti storici di questo ruolo.
Qui c’è Tiliakos. Che è bravo, canta complessivamente abbastanza bene, ma che ricolloca il protagonista in un ambito archetipico che pensavamo passato ormai di moda. Questo don aggressivo, violento, sessualmente prevaricante, urla il suo hegeliano dasein non diversamente da qualunque altro degli interpreti storici più recenti (fra gli altri, sir Thomas Allen, Thomas Hampson, Peter Mattei e Christopher Maltman), per non parlare ovviamente di alcuni di quelli più antichi. In tal senso sembra di individuare in filigrana una sorta di revanchismo delle istanze protoromantiche più tenebrose.
È questa una diminutio rispetto a Jacobs?
Non lo so; sicuramente è una restaurazione almeno parziale di una strada esecutiva comoda, affidabile e collaudata.
Tiliakos, dicevo, è bravo; canta con gusto, varia le dinamiche, sa sfumare ed è aggressivo quando serve e anche di più. Ma non dice nulla di veramente interessante; il che in un contesto del genere è un peccato.
Bene anche Vito Priante, cantante ormai più che navigato e interprete adeguatamente vario.
Molto bene anche il vocione di Mika Kares e quello un filo meno accattivante di Loconsolo negli altri due ruoli gravi.
Tarver, a 10 anni di distanza dalla registrazione con Jacobs, compita un Ottavio molto più consapevole e interessante. In questo repertorio, oggi è una delle scelte più affidabili.
Le donne sono complessivamente più interessanti.
Myrtò Papatanasiu inizialmente non colpisce, sembra quasi impacciata; poi prende progressivamente quota sino a un “Non mi dir” di notevole bellezza, concluso da un eccellente passaggio virtuosistico.
Karina Gauvin è la veterana della compagnia. La sua impostazione barocca si sposa magnificamente con le sonorità di Currentzis sino a un “Mi tradì quell’alma ingrata” di notevole intensità e bellezza (ma il recitativo accompagnato che lo precede è anche meglio).
Simpatica (e bellissima) la Gansch, anche se sembra modellata su una schiera di Zerline soubrette stereotipate; comunque canta bene.
Alla fine credo che questa interpretazione sia bella, intrigante, splendidamente diretta e molto ben cantata, ma che costituisca un passo indietro rispetto a quanto pensavamo acquisito nella storia esecutiva di area “filologica” di questo capolavoro.
La precisazione dell’area interpretativa è indispensabile perché, come sappiamo, fra la registrazione di Jacobs e quella di Currentzis c’è spazio per molta, moltissima tradizione; e non so spiegarmi esattamente per quale ragione se non perché si tratta di una scelta rassicurante.
Il che, purtroppo, sovente si abbina con l’idea di aver poco da dire, anche se quel poco è “apollineo”.
Non è sempre così, ovviamente; ma qualunque ritorno al passato deve portare con sé anche elementi di interesse se non si vuole correre il rischio di essere inutilmente ripetitivi, tanto più in un lavoro come questo ove veramente è stato detto di tutto.
Pietro Bagnoli