Tristan und Isolde
Aggiunto il 31 Luglio, 2016
Ci sono spettacoli che guadagnano complessivamente con la decantazione.
Sono andato a rivedere le mie impressioni di un anno fa, quando uscii dal teatro complessivamente perplesso e, devo dirlo, rivedendo il video dello spettacolo mi sentirei di ritrattare qualche affermazione che avevo fatto allora.
Partiamo dalla parte visiva.
Continuo a pensare che lo spettacolo sia complessivamente poco interessante e che costituisca un passo indietro rispetto, ma è indubbio che guadagni dal riversamento in video e soprattutto dall’uso del dolly che permette riprese dall’alto molto suggestive. Ma sempre di spettacolo deludente si tratta, soprattutto tenendo presente quello che Katharina aveva fatto con la materia dei Meistersinger, materia da lei rivoltata come un guanto. Potrà piacere oppure no, ma nei Meistersinger esiste un “prima” e un “dopo” Katharina Wagner. Lo stesso non si potrà dire, credo, di questo Tristan.
L’incomunicabilità nel primo atto come mascheramento o limite (non si capisce benissimo) a una passione che non può essere celata. L’utilizzo delle scale, di Harry Potter, Piranesi o Escher che siano è una buona idea, ma entra in contraddizione con il fatto di far vedere Tristan e Isolde innamorati sin da subito. Versare il filtro sulle mani allacciate è visivamente un’idea di notevole impatto, ma anch’essa è scollegata dal filo guida dell’incomunicabilità. Mah.
Un Re Marke cattivo nel secondo atto è una buona idea, così come gli ologrammi in cui Tristan e Isolde contemplano se stessi da bambini e poi da giovani, mentre Brangäne canta il suo inno alla notte. E, allo stesso modo, la tenda che i due amanti si costruiscono per rifugiarvisi, per ricreare il buio amico come quando ci si faceva la tana da bambini. E la regressione infantile viene “perfezionata” da Tristan coll’appendere stelline finte dentro la tenda. Tutte idee carine, ma che sembrano scollegate fra di loro e che soprattutto non configurano un’unità di intenti nella drammaturgia.
Nel terzo atto ci sono quelle che avevamo chiamato le “Isottine” dentro le piramidi di luce, in guisa di simulacri di inganno. Dentro la luce c’è la falsità: e infatti le Isottine sono bambole che assomigliano a Isolde, ma sono fredde, senza vita, stereotipate, sanguinano, si stacca la testa. Come molto spesso ci viene venduto al cinema, la bambola è un oggetto di orrore, e l’orrore esiste dentro la luce
La vita è un’illusione? L’amore esiste?
Cosa ne è della vicenda di un amore infinito se, dopo la morte di Tristan, la povera Isolde viene costretta a una quotidianità forzata come uno stupro?
La vicenda dei due amanti viene spogliata non solo della sua aura mitica – e sarebbe il meno – ma anche del significato finale della fusione dell’amore con la morte e della sua trasfigurazione.
C’è una certa banalizzazione e un filo di didascalismo che mancava nei Meistersinger del 2008. Secondo qualcuno è colpa del cambiamento del dramaturg, ma non saprei; forse, alla fine, ci sarà da capire se la vera Katharina sia quella che aveva fatto il botto coi Meistersinger, o quella più prosaica del Tristan.
C’è un aspetto tecnico registico sfavorevole che riguarda soprattutto il terzo atto: le piramidi in cui si rifugia Tristan nella sua allucinazione, portavano il povero Gould a forzare – e quindi stonare – per “sentirsi”, impresa evidentemente difficile per problemi di riverbero e, credo, per la difficoltà a sentire l’orchestra. Ora, in questa performance fissata in video, questo aspetto sembra praticamente risolto, il che è abbastanza sorprendente, considerando che avevo visto una delle ultime recite.
Parimenti “ricostituita” dal trattamento video è la Herlitzius che sembra rinata rispetto alle recite teatrali. La fatica è sempre percettibile, ma l’emissione appare più solida. Ma le sorprese più favorevoli si fermano qui
I cantanti sono abbandonati a se stessi; in questo senso, l’unica che sa cosa fare è Evelyn Herlitzius, che è sempre l’animale di palcoscenico che sappiamo, gli altri si arrangiano.
Quanto all’aspetto tecnico del Blu Ray, è estremamente deludente. Le immagini non giustificano lo spreco del mezzo tecnico. E gli extra, sale di qualunque Blu Ray, sono praticamente inesistenti, con l’eccezione di due interviste a Thielemann e Gould: davvero troppo poco per un prodotto della DGG
La direzione di Thielemann, pur tradizionale nel suo impianto, è splendida per ritmo, colori e accompagnamento al canto. Come avevo già detto un anno fa uscito da teatro, probabilmente potremmo desiderare direzioni più moderne, illuminanti, coinvolgenti; ma, per stare a una sana tradizione, Thielemann è il massimo che si possa desiderare.
Per me questa direzione sarà sempre legata al fatto di essere stato presente in prima fila e di aver sentito le vibrazioni degli archi “ribollenti” provenire dal golfo mistico.
Splendido come sempre il coro.
Quindi, nonostante tutte le difficoltà percepibili, i cantanti sono l’unica vera ragione per conoscere questa rappresentazione.
Evelyn Herlitzius funziona molto meglio qui che non nella recita cui avevo presenziato. La salita all’acuto di “Gab er es preis!” nel primo atto è sempre molto problematica, ma in compenso tutto il resto le viene molto bene, compreso il “Mild und leise” che tanto clamorosamente mancò, distrutta dalla fatica, nella recita cui presenziai. Continuo a pensare che questo non sia il ruolo più adatto alla sua vocalità, ma è indubbio che ci profonda tutta se stessa. Al netto della vocalità, sarebbe una Isolde perfetta per slancio emotivo e credibilità drammaturgica. La violenza espressiva del primo atto, quella che un anno fa definivo “elektrica” perché le permette di sfruttare il declamato espressionista maturato sul personaggio di Strauss e Hofmannsthal, è talmente perfetta da risultare paradigmatica in modo inquietante. Questa espressione richiama in parte quella di Catarina Ligendza, della quale – come abbiamo già visto in altro articolo – la Herlitzius è un po’ “figlia”. Negli altri due atti, ovviamente, le cose cambiano anche perché Evelyn è chiamata a un’emissione più rotonda, rilassata, morbida che non le è mai veramente appartenuta ma che adesso è totalmente fuori dalle sue corde. Però, come dicevo poco sopra, il video ufficiale rimette le cose a posto. Complessivamente, pur con tutti i limiti che abbiamo già visto, un’interpretazione da conoscere per una delle più grandi interpreti wagneriane di tutti i tempi.
Al suo fianco, il più importante Tristan dei nostri tempi. Saremmo ingiusti se pensassimo che Gould sia un onesto ripiego se paragonato ai grandi interpreti di questo ruolo, visto che è davvero bravo; e la conferma l’avevo avuta, oltre che in altre performance registrate, nel febbraio del 2015 quando l’avevo sentito a Zurigo. La voce è robusta, piena, ma in grado di piegarsi anche alle sfumature che non ti aspetti. Non sarà Vickers (ma, d’altronde, chi altro è sceso così in profondità in questo personaggio), ma ha una sua dignità per cui varrà la pena di ricordarlo anche in futuro. Il terzo atto, rispetto a quanto avevo visto in teatro, è gestito alla perfezione, con una dignità dolente che commuove.
Il terzo elemento di spicco del cast è Georg Zeppenfeld, che fa un Marke alternativo alla visione consueta. Nei panni di un sadico capoclan, ha anche le physique du rôle. L’emissione è sanissima e il fraseggio è adeguatamente vario da permettere di superare le sacche di noia.
Gli altri, come dicevo un anno fa, fanno onesta routine.
Pietro Bagnoli