Venerdì, 22 Novembre 2024

Lulu

Aggiunto il 24 Maggio, 2015





Alban Berg
LULU

Personaggi e interpreti:
• Lulu PATRICIA PETIBON
• Gräfin Geschwitz JULIA JUON
• Eine Theater-Garderobiere SILVIA DE LA MUELA
Ein Gymnasiast
Ein Groom
• Der Medizinalrat ROBERT WÖRLE
Der Prinz
Der Kammerdiener
Der Marquis
Professor
• Der Bankier KURT GYSEN
Der Theaterdirektor
• Der Maler WILL HARTMANN
Ein Neger
• Jaquino FRIEDRICH LENZ
• Dr. Schön ASHLEY HOLLAND
Jack the Ripper
• Alwa PAUL GROVES
• Schigolch FRANZ GRUNDHEBER
• Ein Tierbändiger ANDREAS HÖRL
Rodrigo, ein Athlet
• Der Polizeikommissär GABRIEL DIAP
• Eine Fünfzehnjährige ISABEL RODRÍGUEZ GARCIA
• Ihre Mutter MONIQUE SIMON
• Eine Kunstgewerblerin MARIEL AGUILAR
• Ein Journalist MANEL ESTEVE MADRID
• Ein Diener MARC PUJOL
• Ein Clown JEREMY FRIEDMAN


Orquestra Simfònica del Gran Teatre del Liceu
MICHAEL BODER

Stage Direction: OLIVIER PY
Stage & Costume Design: Pierre-André Weitz
Lighting: Bertrand Killy

Data e luogo di registrazione: Barcellona, Gran Teatre del Liceu, Novembre 2010
Edizione discografica: DGG, 2 DVD

Note tecniche: registrazione di elevata qualità, pur se con sovra-saturazione di rossi e verdi
Pro: Petibon stratosferica
Contro: Juon un po’ dimessa. Groves in difficoltà con la tessitura
Valutazione complessiva: images/giudizi/ottimo-eccezionale.png

Lulu è uno dei titoli sui quali maggiormente si è concentrata l’attenzione dei registi nel corso degli anni. La tendenza, per lo più, è quella ben esemplificata dal video di Loy: minimalismo spinto e manicheismo ai massimi livelli. Lulu è il serpente, come dice il Domatore all’inizio: freddo e spietato killer che usa il sesso come istinto prevaricante. Il realismo porta come conseguenza il gelo che cade sulle vittime senza nessuna possibilità di redenzione.
Questa produzione è interessante perché, al netto di atteggiamenti piuttosto didascalici al limite del risibile, si discosta in modo stridente dal trend serioso comune, puntando maggiormente sul surreale, sul grottesco; e non è un caso che vi sia un’attenzione maniacale alla folta schiera dei personaggi di contorno, cui non avevamo mai fatto particolarmente caso concentrati come siamo sempre stati sui protagonisti, Lulu in primis.
Lo spettacolo qui registrato è quello del Liceu, ma la produzione aveva visto la luce a Ginevra, piazza con cui il regista ha evidentemente un notevole feeling. Il quale regista è Olivier Py, uno degli ex enfants terribles di quella che ormai non possiamo più chiamare “la nuova generazione di registi”, visto che lui ha ormai quasi 50 anni e che la sua attività di regista d’opera è ormai stra-collaudata, essendo iniziata nel 1999 (Freischütz, Opera di Nancy) e continua indisturbata, senza più sconvolgere veramente nessuno.
Ma chi è Olivier Py? È un cinquantenne di origini vagamente algerine, drammaturgo, regista di prosa e di opera, studioso anche di filosofia e teologia, cantante di music hall nei panni di una drag queen dall’improbabile nome di battaglia di Miss Knife. Dal settembre 2013 è direttore del Festival di Avignone. Ha combattuto alcune celebri battaglie civili, che lo hanno portato alla ribalta. E, per di più, è anche scrittore.
È, insomma, un intellettuale a tutto tondo, esagerato in tutte le sue manifestazioni e che, in virtù di questi atteggiamenti spesso sopra le righe, corre il rischio di essere preso sottogamba, quanto meno rispetto ad altri suoi colleghi di lui molto più ortodossi nella forma e magari più trasgressivi nella sostanza.
Ci sarebbe ovviamente da chiedersi se il teatro di Py sia così trasgressivo come sembra; o se lo sia più di quello di un Bieito o di un Kušej, tanto per citare due suoi colleghi che non esitano a fare ricorso a immagini sovente definite forti o scioccanti. Ed è noto che questo spettacolo sia stato vietato ai minori.
Perché?
Per qualche immagine di nudo della protagonista, nudo peraltro finto in quanto mascherato da calzamaglia e cache-sex? Per qualche atto sessuale mimato?
No, niente che non si sia già visto in mille salse.
La trasgressione, qui, per quanto mi riguarda, è una tendenza alla sovrasaturazione, anche cromatica; alla tendenza a riempire, mentre tutti gli altri di solito puntano a togliere, a ridurre. Sin dalle prime scene, questa Lulu mi ha richiamato i film di Baz Luhrmann, con particolare riferimento a “Moulin rouge”, e non solo per l’ambientazione che, pure, richiama nei colori sgargianti con predominanza di rossi. Lo è anche per quel misto di burlesque e di grottesco con cui la vicenda viene affrontata, con particolare riferimento ai già citati personaggi secondari (si pensi a Jack lo Squartatore nei panni di Babbo Natale, o a Rodrigo in guisa di scimmione), che sposta l’asse dell’attenzione da Lulu al microcosmo che la circonda. Ma è Lulu a riprendere la scena, sempre e comunque, grazie anche e soprattutto alla prova stratosferica di una protagonista di una bravura semplicemente trascendentale.
La Lulu di Patricia Petibon è, infatti, una di quelle personificazioni paradigmatiche che ogni tanto capitano nella storia esecutiva di un titolo. Titolo che, peraltro, aveva già avuto interpreti stratosferiche (Lear, Silja, Stratas, Schaefer, tanto per citarne alcune). L’aspetto interessante non è tanto o solo quello vocale, che è complessivamente buono ma non stratosferico come la parte richiederebbe; ciò che colpisce lo spettatore è il cambiamento di prospettiva. Lulu non è né femme fatale né vampiro, né vaso di Pandora di tutti i mali dell’Umanità né strumento di prevaricazione sessuale.
Lulu è un archetipo.
Lulu è Angela Hayes, la consapevole seduttrice di “American beauty”; ed è allo stesso tempo la tenera e appassionata Satine, con tutte le sue reminiscenze di Violetta.
Avanza dritta come un fuso, con un sapiente mix di consapevolezza della propria forza e di sorridente, ingenua naïveté. È una seduttrice inevitabile, ancestrale, archetipica. Ha in sé tutte le arti di affascinare presenti in lei non come elemento acquisito, ma come risorsa innata. In tal senso, presumo, agiscano i didascalici cartelli luminosi che esplicano gli stati d’animo di Lulu, come “Odio il sesso”, oppure “L’anima di Lulu”, sotto cui lei canta quasi a se stessa il proprio lied.
La Lulu di Patricia Petibon risuona vocalmente di quelle eroine barocche che sono state il suo territorio di formazione; e di quel Novecento (Fauré, Satie, Pulenc, Hahn) cui ha tolto le risonanze brechtiane portando invece un’aura di fresca sensualità.
Il risultato è un personaggio di una forza che va ben al di là delle non banali limitazioni di un mezzo vocale messo terribilmente alla frusta dalla parte. La sorridente ingenuità con cui affronta i primi due atti è qualcosa che genera nello spettatore indulgenza anche per il modo in cui ricorda a Alwa che si trovano sul letto su cui la stessa Lulu aveva ammazzato il padre. E l’ingenuità diventa triste rassegnazione e quasi predestinazione alla morte allorché affronta – in modo del tutto inadeguato – la prostituzione del terzo atto, prima che Jack ne faccia strame.
La maschera tranquilla di Ashley Holland ricorda quella del sordido avvocato-tutore di Lisbeth Salander, archetipo di tutti gli psicopatici pervertiti rispettabili in “Uomini che odiano le donne”. La vocalità della tigre Dr. Schön gli calza come un guanto, ed è anche paradigmatica la sua tranquilla, minacciosa e sorvegliatissima personificazione del serial killer visto come l’ennesima figura archetipica, questa volta di quei personaggi che dovrebbero essere tranquillizzanti, come il clown che invece potrebbe essere John Wayne Gacy o Pennywise.
E, a proposito di quest’ultimo, non stupisce poi molto che Schigolch abbia proprio il travestimento di un clown: qualcuno di cui ci si fida, come una figura (paterna) amichevole, ma che in questa produzione assume un rilievo anch’esso archetipico, uno stratagemma con cui Py risolve l’ambiguità legata da sempre a questo strano e sfuggente personaggio. Ad esso, Grundheber presta una vocalità complessivamente ancora più che integra e un carisma notevole.
Complessivamente più che decorosa anche la prova di Paul Groves, nella difficilissima parte di Alwa Schön. La vocalità inumana di Alwa è espressione del disintegrarsi delle certezze di fronte alla violenza della seduzione che ribalta le prospettive usuali. Groves, tenore acuto di estrazione mozartiana, fa quello che può ma viene spesso sovrastato dalla mostruosa difficoltà della sua parte.
Julia Juon è una veterana della propria parte, qui vissuta come una sorta di “doppio razionale” di Lulu, in contrapposizione all’ingenuità primitiva della protagonista: la Contessa è costruita, artefatta, una vera e propria donna di mondo. Vocalmente non finisce per convincermi.
Dicevo all’inizio del microcosmo che circonda Lulu, che è uno dei punti di forza di questa produzione.
Notevolissimo il Pittore/Negro di Will Hartmann, di vocalità estesissima, anche più di Groves (peccato non aver pensato a un’inversione dei ruoli); eccezionale soprattutto il modo in cui rende le nevrosi del suo primo personaggio.
Ma splendido, anzi indimenticabile, anche Andreas Hörl, nella triplice parte del Domatore, di Rodrigo e dell’atleta, cui presta una voce di basso da grandissimo protagonista e una agilità in scena davvero non comune.
Davvero eccellenti anche tutti gli altri.
Dirige il tutto in modo splendido Michael Boder, che è uno specialista di Berg e di molto del repertorio Novecentesco.

Splendido DVD, fra i riferimenti assoluti di questo titolo
Pietro Bagnoli

Categoria: Dischi

 

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