Lunedì, 07 Ottobre 2024

Elektra

Aggiunto il 24 Luglio, 2014


Richard STRAUSS
ELEKTRA, op. 58

• Elektra EVELYN HERLITZIUS
• Chrysothemis ANNE SCHWANEWILMS
• Klytämnestra WALTRAUD MEIER
• Orest RENÉ PAPE
• Aegisth FRANK VAN AKEN
• Der Pfleger des Orest PETER LOBERT
• Die Vertraute ROMY PETRICK
• Die Schleppträgerin CHRISTIANE HOSSFELD
• Ein junger Diener SIMEON ESPER
• Ein alter Diener MATTHIAS HENNEBERG
• Die Aufseherin NADINE SECUNDE
• 1° Magd CONSTANCE HELLER
• 2° Magd GALA EL HADIDI
• 3° Magd SIMONE SCHRÖDER
• 4° Magd RACHEL WILLIS-SØRENSEN
• 5° Magd NADJA MCHANTAF

Sächsischer Staatsopernchor Dresden
Chorus Master: Pablo Assante

Staatskapelle Dresden
CHRISTIAN THIELEMANN

Luogo e data di registrazione: Berlin, 28/02/2014
Ed. discografica: DGG, 2 CD

Note tecniche sulla registrazione: tecnicamente perfetta
Pregi: Thielemann e Herlitzius straordinari
Difetti: trascurabili
Valutazione finale: images/giudizi/eccezionale.png

In questo periodo furoreggia la registrazione dello spettacolo di Chèreau (la sua ultima regia d’oera, prima di morire), sempre con Herlitzius e Meier e la direzione – straordinaria – di Salonen.
Questa direzione di Thielemann sembrerebbe collocarsi in un altro ambito rispetto a quella di Salonen, anche perché conosciamo bene le caratteristiche del grande musicista berlinese soprattutto nella cura del suono, cremoso, burroso e talvolta grondante; sennonché – a sorpresa – qui ci troviamo proprio in un altro ambito.
Mai sentita un’Elektra così, nemmeno con Salonen, o Sinopoli, o Bohm, tanto per citare alcuni direttori fra i più analitici che hanno affrontato questo capolavoro.
La frase musicale viene polverizzata in mille scaglie iridescenti, permettendo di isolare e ammirare – come forse mai era successo prima: e siamo dal vivo! – non solo tutti i nuclei tematici, ma anche una serie di incisi di straordinaria bellezza di cui non m’era mai capitato di accorgermi prima. Questi nuclei compaiono soprattutto nel duetto fra Elektra e Klitämnestra e in quello fra Elektra e Orest. E il ritmo anapestico della scena finale mai è apparso reggere le fila di tutto il finale con tutta questa evidenza sino alla presente registrazione.
Da non eccessivo ammiratore dell’arte di Thielemann (che pure rispetto incondizionatamente per l’altissimo magistero), devo dire di essere rimasto assolutamente ammirato dalla straordinaria bravura di questo burattinaio magico che dimostra un’affinità non comune verso questa difficile opera, di cui trova la quadra come forse nessun altro prima di lui. Non c’è una ritmica, un’agogica che non sia adeguata alla bisogna del determinato momento. Non c’è un accompagnamento che non sia meno che perfetto. Soprattutto, Thielemann fa di questo capolavoro non la solita macelleria di basso profilo, ma la diretta prosecuzione di quella gioielleria musicale che era stata Salome: i preziosismi orchestrali sono esposti con una precisione sinfonica, il che potrebbe essere un punto di vista discutibile ma innegabilmente affascinante.
Il ritmo è vivo e pulsante; la narrazione non si sfarina mai.
Direzione meravigliosa, quindi; di quelle da portare nella proverbiale isola deserta e da riascoltarsi ogni tanto con attenzione proprio per i preziosismi orchestrali.
A fronte di questo straordinario direttore, un’orchestra di bellezza trascendentale: la Staatskapelle di Dresda, che non compariva nella discografia di quest’opera dagli Anni Sessanta quando la DGG aveva pubblicato l’incisione diretta da Böhm con Inge Borkh e Jean Madeira.

Sul fronte del canto, invece, le cose sono un po’ diverse.
Evelyn Herlitzius – anche senza l’opportunità di poterla vedere – è un’interprete meravigliosa. Non ha di sicuro il tonnellaggio vocale di interpreti storiche passate, ma di Nilsson non ne nascono più e, ormai da lungo tempo, ci siamo settati su altri parametri. Spostando l’asse dal volume alla comprensione, la Herlitzius offre sicuramente la migliore esegesi possibile non solo odierna di questo ruolo così polisemico. Ci si smena molto, purtroppo, nella mancanza del supporto video; anche perché in questo live la grande cantante appare in forma vocale molto superiore rispetto al già citato spettacolo di Aix en Provence.
Fragile, insicura, dolcemente nevrotica, personalissima, palpitante; e contemporaneamente aggressiva, violenta, terribile; Evelyn Herlitzius, ben lungi dall’essere la solita erinni assetata del sangue materno, riesce a essere la donna-totale che forse avevano immaginato Strauss e Hoffmansthal.
È incredibile la sua bravura nel fare emergere gli aspetti più diversi: la perspicacia ironica nel dialogo con la madre, la seduttività con la sorella, il rimpianto per la felicità e la bellezza perduta con il fratello. Questa donna moderna, dolcemente nevrotica è finalmente l’Elektra che esce dagli stretti ambiti della vocalizzazione isterica e allucinata cui eravamo abituati.
Il dominio del declamato è – ovviamente – perfetto: e non potrebbe essere altrimenti per la più grande Brunnhilde di Bayreuth dai tempi di Dame Gwyneth Jones.
Infine, segnaliamo che la Herlitzius si cimenta ovviamente con la versione ridotta di “Was bluten muβ?”; francamente non si sente la mancanza di quella integrale, affrontata sinora in disco tre volte.

A fronte di lei, la Klitämnestra di Waltraud Meier già collaudata nello spettacolo di Lehnhoff e in quello di Chèreau in cui è maturata anche la splendida intesa con la Herlitzius. Come sappiamo, il personaggio proposto dalla Meier è definitivamente uscito dagli schemi consueti, ma nondimeno è diventato un classico. Non più la solita arpia che non ci si spiega come possa aver corrotto sessualmente Aegisth, ma una donna affascinante e forse anche preoccupata per questa figlia ribelle e incomprensibile. La voce, purtroppo, non è più quella di qualche anno fa, ma per l’impostazione data al personaggio può essere anche sufficiente; oltre a tutto l’accompagnamento di Thielemann è più tranquillo e rilassato rispetto a quello comunque straordinario di Salonen.

Anne Schwanewilms alle prese con una parte acutissima, ma psicologicamente schiacciata fra le altre due mattatrici, non riesce a emergere; come peraltro càpita al 90% di tutte le Chrysothemis.

Pape è vocalmente un po’ troppo imponente come Oresth, ma in compenso appare psicologicamente fragile e lievemente monocorde, pur se commosso e partecipe; Van Aken è invece poco interessante su entrambi i fronti e non si impone affatto.
Le parti di fianco sono distribuite molto bene e la registrazione è tecnicamente una meraviglia: quello che ci vuole per gustare al pieno tutti i preziosismi orchestrali svelati da Thielemann
Pietro Bagnoli

Categoria: Dischi

 

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