Lunedì, 07 Ottobre 2024

Ballo in maschera

Aggiunto il 18 Luglio, 2013


Giuseppe VERDI
UN BALLO IN MASCHERA


• Gustavo III PLACIDO DOMINGO
• Renato Anckarstsröm LEO NUCCI
• Amelia JOSEPHINE BARSTOW
• Ulrica FLORENCE QUIVAR
• Oscar SUMI JO
• Cristiano JEAN-LUC CHAIGNAUD
• Horn KURT RYDL
• Ribbing GORAN SIMIC
• Un giudice WOLFGANG WITTE
• Un servo di Amelia ADOLF TOMASCHEK

Konzertvereinigung Wiener Staatsopernchor
Maestro del coro: HELMUT FROSCHAUER
Musica in scena diretta da: RALF HOSSFELD

Wiener Philarmoniker
SIR GEORG SOLTI

Regia: JOHN SCHLESINGER
Scene: WILLIAM DUDLEY
Costumi: LUCIANA ARRIGHI
Luci: HELMUTH REICHMANN
Coreografie: ELEANOR FAZAN
Regia televisiva: BRIAN LARGE

Luogo e data di registrazione: Festival di Salisburgo, 1990
Ed. discografica: TDK, 1 DVD

Note tecniche sulla registrazione: buona captazione del suono.

Pregi: la direzione di Solti. Soprendente dal punto di vista scenotecnico, il cambio di scena “a vista” dal secondo al terzo quadro dell’ultimo atto, con l’apparizione del teatro reale svedese di Drottningholm, riprodotto in modo estremamente fedele e a grandezza naturale.

Difetti: il cast che, a dispetto dei “grandi nomi”, è assolutamente inadeguato. Lo spettacolo in pieno “Gardaland-style”, che però potrebbe risultare graditissimo agli amanti del genere “opera kitsch”.

Valutazione finale: images/giudizi/mediocre-sufficiente.png




Più che a Salisburgo sembra d’essere a Gardaland. Con l’unica differenza che qui non ci si diverte. Quasi mai. Il “quasi” è d’obbligo, dal momento che certi particolari di questo spettacolo del regista inglese John Schlesinger sono irresistibilmente comici.
La messa nera con tanto di bambino in preda alle convulsioni e cappone sgozzato officiata da un’Ulrica strega voodoo (piuttosto improbabile nella Svezia del Settecento) accompagnata dall’immancabile nano deforme. I cadaveri in avanzato stato di putrefazione penzolanti sopra “l’orrido campo”. La radice con teschio umano annesso (forse la mandragora che secondo alcune leggende popolari nasceva dallo sperma emesso dagli impiccati in punta di morte?) raccolta da un’Amelia comprensibilmente terrorizzata e disgustata. Domingo che arriva nell’antro della strega vestito come un corsaro, in tutto e per tutto simile al Peter Ustinov del film “Il fantasma del pirata Barbanera” della Disney. Ancora Domingo, che si allontana dall’orrido campo come Napoleone dopo la battaglia di Waterloo. L’appartamento di Renato con arredamento minimalista in legno, tavolo e sedia in perfetto stile Ikea ante litteram, ma con l’immancabile ritratto di Riccardo-Gustavo che giganteggia occupando metà della parete. Il figlioletto un po’ ritardato di Renato, vestito come un Infante spagnolo di un dipinto di Goya, che saluta il pubblico con la manina per poi mettersi a ballare con Oscar e le maschere. Tutti momenti di irresistibile ilarità, assolutamente imperdibili per ogni vero appassionato del genere “opera kitsch”.
Come già nello spettacolo newyorkese di Faggioni con Pavarotti e la Millo, anche qui viene recuperata l’ambientazione svedese originariamente prevista da Verdi e Somma. Questo comporta alcune più o meno inevitabili modifiche nei nomi dei personaggi - Riccardo è il re Gustavo III di Svezia, grande mecenate e amante delle arti; Renato guadagna un cognome piuttosto impronunciabile diventando Renato Anckarström; Silvano, Tom e Samuel sono rispettivamente Cristiano, Ribbing e Horn - e nel testo cantato (“o figlio d’Inghilterra” diventa “o figlio della patria”, “s’avanza il conte” “s’avanza il sire”, e così via).
Tale ambientazione offre comunque allo scenografo William Dudley l’occasione per realizzare l’unico autentico coup de théâtre di uno spettacolo penoso e noioso, realizzando (in apertura del quadro terzo dell’ultimo atto) un cambio di scena a vista in cui viene riprodotto, a grandezza naturale, un teatro molto simile a quello di Drottningholm. Teatro fatto edificare proprio dallo stesso Gustavo III di Svezia (quello vero) che non a Drottningholm, ma nel teatro d’opera di Stoccolma avrebbe ricevuto la ferita d’arma da fuoco (e non una pugnalata) da parte dell’amico-cornuto, che l’avrebbe poi portato a morte di lì a qualche giorno (nel suo letto reale, e non sulle tavole di un palcoscenico). Per inciso, il settecentesco teatro di Drottningholm, splendidamente conservato e con macchine di scena ancora perfettamente funzionanti, fu scelto da Ingmar Bergman per ambientarvi il suo “Flauto Magico”.
Con l’eccezione di questo cambio di scena sorprendente e realizzato in modo splendido, la parte visiva di questo spettacolo resta desolante. Ma anche dal punto di vista musicale le cose non vanno meglio. Anzi.
Domingo non è in grado di affrontare il personaggio di Gustavo con la leggerezza che la parte richiederebbe: la voce è legnosa, incapace di un colore che uno, a disagio negli acuti, l’emissione strangolata nel passaggio e bloccata in un forte o mezzoforte perenni che appesantiscono irrimediabilmente la linea di canto. La canzone “del finto pescatore”, pardon, “del corsaro Barbanera” è al riguardo calamitosa, ma non è che l’aria del terzo atto sia un granché. Resta all’attivo un’indubbia capacità di stare in scena, ma sempre atteggiandosi a “numero uno”, in una gestualità prevedibile e ripetitiva, con il risultato di annoiare già dopo il primo minuto.
Anche prescindendo dalla pronuncia irrimediabilmente troppo british e dall’interpretazione anemica, Josephine Barstow in Amelia è come la proverbiale coperta troppo corta che lascia scoperti testa e piedi, non avendo della parte né gli acuti né i gravi.
Leo Nucci, cantante il cui successo nel repertorio verdiano è a mio parere mistero ben maggiore di quelli di Fatima, nasaleggia e gigioneggia in modo insopportabile, non riscattandosi neppure in un gioco scenico mediocre e prevedibile.
Accanto all’Ulrica della discreta Florence Quivar, Sumi Jo fa il solito Oscar petulante, ciangottante, cinguettante. E per di più recita come Barbie, non avendone però né la statura fisica né quella psicologica.
Completano la festa (si fa per dire) due bassi - Goran Simic e il veterano Kurt Rydl - che sembrano, rispettivamente, Barbablù e l’orco di Pollicino.
Solti dirige questa baracconata da politeama estivo in modo estremamente professionale ed efficiente. Del resto, si capisce benissimo che, col materiale che ha a disposizione, fa quello che può. Riuscendoci peraltro al meglio. L’accompagnamento al canto è decisamente perfettibile (i tempi tendenzialmente rapidi sono molto spesso in anticipo sui cantanti: forse Solti aveva fretta di concludere la pessima serata?), ma la direzione resta incisiva, compatta, incalzante, drammaticissima. E l’orchestra (i Wiener Philarmoniker, naturalmente) asseconda il direttore come meglio non potrebbe (cosa sono quei legni!), con sonorità via via trasparenti, nitide, sfumate, morbidissime. Bisognava rispettare il precetto evangelico, invece di gettare perle ai porci.

Francesco Brigo (AKA Dottor Malatesta)

Categoria: Dischi

 

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