Venerdì, 22 Novembre 2024

Fidelio

Aggiunto il 15 Dicembre, 2014


Ludwig van Beethoven
FIDELIO

Personaggi e interpreti:
 Leonore CHARLOTTE MARGIONO
 Florestan PETER SEIFFERT
 Rocco LÁSZLÓ POLGÁR
 Don Pizarro SERGEI LEIFERKUS
 Don Fernando BO SKOVUS
 Marzelline BARBARA BONNEY
 Jaquino DEON VAN DER WALT
 Erster Gefangener REINALDO MACIAS
 Zweiter Gefangener ROBERT FLORIANSCHÜTZ


Arnold Schoenberg Chor
(Chorus Master: Erwin Ortner)

Chamber Orchestra of Europe
NIKOLAUS HARNONCOURT

Data e luogo di registrazione: Stefaniensaal, Graz, Giugno 1994

Edizione discografica: Teldec, 2 CD

Note tecniche: registrazione di eccezionale qualità
Pro: cast affiatato con una Leonore “mozartiana”
Contro: eccentricità ritmiche ed esecutive
Valutazione complessiva: images/giudizi/buono-ottimo.png

Molto più che interessante esperimento, questo di Harnoncourt, che segna una cesura importante nella discografia del capolavoro di Beethoven: quella, cioè, dell’introduzione di cantanti alternative ai sopranoni (o, peggio, mezzosoprani) di area wagneriana; per il tenore invece non appare ancora il momento, ma quella di Seiffert è comunque un’ottima soluzione. Questo perché lo stesso direttore, nell’interessante intervista presente nel libretto d’accompagnamento, correttamente identifica la matrice originaria di questa, che definisce non a caso “opera-oratorio”, nel Singspiel nobilitato da Mozart; e la successione nell’opera protoromantica di Weber, come il Freischütz (di cui ha fornito una registrazione favolosa) o Euryanthe.
Niente a che vedere, quindi, con il mondo di Wagner, che resta lontanissimo, nemmeno sullo sfondo di questa temperie culturale; ed è un bene, anzi, una boccata di ossigeno in un’opera letteralmente posseduta da wagneriani di ogni genere e grado.
Harnoncourt approfondisce molto anche i personaggi; scopriamo così che quello per lui più “interessante” dal punto di vista psicologico è Rocco, l’unico di cui si comprendono a pieno le motivazioni. L’aria dell’oro riceve infatti un trattamento particolare, molto più serio che nella tradizione, anche se Polgár purtroppo non ne è un interprete ideale, pur se in fondo non così disprezzabile. Di tutte le considerazioni di Harnoncourt sul tema “Fidelio” è quella che francamente capisco di meno, anche perché anche gli altri personaggi dimostrano motivazioni ben precise nelle loro azioni, a cominciare ovviamente da Leonore/Fidelio. Ma tant’è: Harnoncourt va preso così com’è in tutto quello che dice.
Alla faccia di chi vede in quest’opera un’estensione delle pulsioni libertarie correlate, la sua visione dichiarata dell’opera è quella dell’inno all’amore coniugale; “è un tradimento delle intenzioni di Beethoven farne un’opera di oppressione e liberazione”.
Qui non sono tanto d’accordo.
Nessuno ha la prova che Beethoven sia stato massone, ma nella versione del 1814 ci sono precisi riferimenti massonici: il ministro afferma di disvelare “la delittuosa notte, che nera e greve tutti vi cinge” e invita i prigionieri a non stare più “in ginocchio come schiavi”. Prosegue affermando: “Il fratello cerca i suoi fratelli e se può soccorrere, volentieri soccorre”. Il linguaggio è chiaro: notte e giorno, fratelli e soccorso sono le parole chiave della religione dell’umanitarismo universale in nome della quale l’Europa è sconvolta ormai molti anni (www.giusepperausa.it).
Maynard Solomon, nel suo libro sull’ultimo periodo di Beethoven, quello – per capirci – degli ultimi quartetti, delle Variazioni Diabelli, della Nona, Missa Solemnis, delinea un mondo interiore in cui si mescolano filosofia romantica ed esoterismo, mitologia pagana e massoneria, estetica classica e religioni orientali (“L’ultimo Beethoven, Carocci, 2010).
Approfondire questo interessante ambito avrebbe portato una visione dell’opera in cui il “Welche Lust” assume un carattere centralizzante, e sarebbe stato un bel colpo tenendo conto del fatto che il coro – il favoloso Arnold Schoenberg – è probabilmente il migliore fra tutti quelli che vi si sono cimentati.
Nell’ottica dell’inno all’amore coniugale ci sta, forse, anche la preferenza per cantanti definite “giovani” e “non specialiste” per la parte di Leonore, in rispetto alle prime interpreti, cioè Anna Milder e Wilhelmine Schröder-Devrient, all’epoca veramente molto giovani. Harnoncourt ricorda come Beethoven avesse fatto ricorso a cantanti giovani anche per la Nona e per la Missa Solemnis.
Interessante inoltre, per un “filologo” come Harnoncourt, la scelta della versione definitiva, e non una delle prime due. “Ci ho pensato molto, in effetti. Ma una versione diversa dalla definitiva non mi interesserebbe che dal punto di vista storico, forse per mostrare come Beethoven sia arrivato al risultato definitivo… Penso che Beethoven non considerasse la prima versione come pienamente riuscita, altrimenti non vi avrebbe rimesso mano.

Fosse tutto così, cioè una disquisizione su cosa sia stilisticamente accettabile e cosa no, il Fidelio di Harnoncourt sarebbe il non plus ultra della discografia di questo capolavoro; il problema è che non tutto funziona alla stessa maniera, a cominciare proprio dalla direzione di Harnoncourt, che alterna momenti assolutamente elettrizzanti, come la sinfonia iniziale, o la marcia che accompagna l’ingresso di Pizarro; e altri di una lentezza esasperante e quasi catatonica, francamente incomprensibile, come per esempio l’aria dello stesso Pizarro, oppure "Er sterbe!", o ancora "O namenlose Freunde!".
Si ha cioè la sensazione che il grande direttore non sappia esattamente che posizione prendere, ed è un peccato perché in questa maniera la sua direzione manca sorprendentemente di una personalità precisamente identificabile.
Dei cantanti, è da applaudire senza se e senza ma la scelta di una mozartiana come Charlotte Margiono; è la seconda volta che capita nella discografia (la prima era stata Edda Moser nella prima registrazione di Leonore, quella del 1976 diretta da Blomstedt) ed è una scelta stilisticamente corretta, anche se il canto del soprano olandese non è irreprensibile né esente da pecche. È una scelta logica e condivisibile perché la scrittura di Leonore è acuta, modicamente fiorita, fondamentalmente vocalista, terribilmente difficile (nelle prime due versioni dell’opera, anche di più), sostanzialmente pestifera e impraticabile per una cantante che non sia una vocalista vera. E se il territorio di provenienza è il Singspiel di ascendenza mozartiana, è giusto andare a parare in quella direzione.
“Abscheulicher! Komm Hoffnung” è reso bene, con adeguata proprietà stilistica e buona urgenza. Manca, se vogliamo, un po’ di partecipazione emotiva; ma è un primo passo verso quello che ci si aspettava sarebbe stata una rivoluzione, e invece prevedrà praticamente la sola Martinpelto di Gardiner per riprendere poi, trionfalmente, con i sopranoni wagneriani quando non i mezzosoprani come Waltraud Meier…
Eccellente Seiffert che, nonostante le ascendenze wagneriane, fa bene il suo compito senza problemi particolari.
Di Polgár abbiamo già parzialmente detto: fa il suo onestamente, ma non è memorabile.
Leiferkus è un cantante che non ho mai capito se mi piaccia oppure no. La sua ascendenza è quella dei baritoni “chiari” tedeschi Anni Trenta; l’emissione è da vilain vero. Meglio comunque il suo Pizarro del suo Jago.
La coppia giovane è carina e canta benino.
Skhovus fa bene il suo breve cammeo.
Del coro si ribadisce la bravura trascendentale: è il migliore del mondo.

Edizione interessante, riuscita un po’ a metà.
Il bilancio è più che positivo anche per le idee esecutive messe in campo e sostenute con coerenza (con Harnoncourt è la regola); ma la sensazione che potesse essere gestita meglio rimane…
Pietro Bagnoli

 

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