Meistersinger
Aggiunto il 14 Febbraio, 2010
Interessante, davvero interessante l’approccio di Kempe al mondo wagneriano. Quest’edizione dei Meistersinger – pressoché introvabile sul mercato discografico, ma forse prossimamente rimasterizzata – è una bella testimonianza di civiltà musicale lasciata da un Signore dotato di garbo, buon senso esecutivo, ottimo senso del ritmo e splendido accompagnatore. Nato a Dresda nel 1910, arriva all’appuntamento col geniale capolavoro wagneriano nel pieno delle sue capacità. Aveva esordito cinque anni prima alla Staatsoper di Vienna in cui aveva diretto Flauto magico, Simon Boccanegra e Capriccio. Il Ring lo diresse in splendidi allestimenti a Londra (la testimonianza audio è stata recentemente rimasterizzata da Testament, 2008) e a Bayreuth, nel 1960.
Quest’incisione dei Meistersinger che vi presentiamo è sempre stato un must fra gli appassionati, forse anche per il reperimento che, negli ultimi anni, è particolarmente problematico e l’ha circondata di un’aura quasi mistica. Ma un fondo di verità c’è: il suono orchestrale è bello, pulito, nitidissimo (e grazie, si dirà! Sono i Berliner…); e i cantanti non sono probabilmente il meglio della discografia, ma formano un insieme eccezionalmente coeso grazie alla poesia pura che riesce ad infondere il direttore, magico artefice di quest’impresa.
Si dirà che Kempe, con la sua linearità e la sua lettura apparentemente poco problematica, è un po’ un apax nel panorama di quei tempi. Può essere, ma lo è con proprietà, garbo e buon senso narrativo. Sin dal Preludio si avvertono subito le tematiche messe in campo dal direttore tedesco: cantabilità, scorrevolezza di narrazione, ricerca del bel suono non come valore fine a se stesso ma come elemento narrativo, di atmosfera. E il risultato, quanto a questo specifico aspetto, è fra i migliori che si possano desiderare per quest’opera, senza scadere nel sinfonismo che è un rischio da non sottovalutare in direttori così portati verso la bellezza del suono.
La regia sonora ben si combina con le capacità di una compagnia di canto che sembrerebbe offrire attrattive quanto a questo aspetto solo nel soprano, le cui caratteristiche vocali “strumentali” sono ben note (anche se all’epoca della registrazione aveva 45 anni e la voce era percettibilmente più dura e meno modulabile). Sennonché anche Ferdinand Frantz e Rudolf Schock, rispettivamente Sachs e Walther, aderiscono entusiasticamente alla lettura del direttore, arrivando a vertici di poesia che non solo sembrerebbero teoricamente loro preclusi per limiti intrinseci, ma finiscono per porsi nei piani altissimi della discografia.
E infatti, Ferdinand Frantz, mai stato un prodigio di modulazione e sensibilità, con questa registrazione effettuata tre anni prima della morte prematura si segnala come poeta di notevole levatura, oltre che protagonista ricco di bonario sense of humour, qualità che non si assocerebbe in prima battuta a questo cantante. Anzi, mi spingo oltre e indico in lui uno dei Sachs di riferimento di tutta la discografia, grazie ad un’eleganza forbita mai disgiunta da una sana e pacata bonomia. Se qualcosa manca, ovviamente (dato il periodo), è quella sensazione che hanno sollevato altri interpreti di poter “andare oltre” nell’affettuosità paterna riservata a Eva, l’idea di potersi autorevolmente proporre per il cuore della ragazza e l’idea che possano sollevare nella stessa sentimenti analoghi a quelli per Walther. Qui non è così: siamo decisamente ancora sul “versante paterno” del personaggio, ma in fondo va bene anche così.
Analogamente a Frantz, Rudolf Schock costruisce un gran bel personaggio, ispirato e ricco di poesia, per giunta col supporto di una vocalità sana e rigogliosa: sostanzialmente l’ideale per le esigenze di Walther. Tutti i punti nevralgici della costruzione del personaggio sono perfettamente rispettati: afflato poetico, slancio eroico, ispirazione, vocalità gagliara e robusta. Il Preislied è fra i migliori mai registrati, e stiamo parlando di un bravo tenore ma che non ha costruito la storia dell’interpretazione del teatro d’opera, quindi onore al merito del direttore che evidentemente ha contribuito in larga parte a questa riuscita.
Il terzetto è completato da Elisabeth Grümmer, chiaramente molto più a suo agio con gli ingenui (o tali almeno nella sua visione) palpiti di Eva che non con le inquietudini dolcemente psicotiche di Elsa. Nonostante l’età non più verdissima per un personaggio del genere, la voce è un cristallo purissimo, lo smalto è luminoso e l’attacco di “Selig, wie die Sonne” è un capolavoro assoluto. Certo, anche qui manca qualcosa: il lato sensuale che viene fatto emergere da interpreti dotate di voci non così strumentali ma di molto più senso pratico. E, senza andare a Gré Brouwenstijn, Gwyneth Jones o Karita Mattila, basterà ricordarsi della sbarazzina e simpaticissima Irmgard Seefried del live con Schoeffler e Reiner a Vienna proprio nello stesso 1956 di questa registrazione.
Gottlob Frick è, col vocione che si ritrovava, una montagna di padre, mentre Benno Kusche appare superatissimo anche per l’epoca di questa registrazione, pur considerando il solidissimo mestiere che ne caratterizzava le prestazioni.
Eccellenti gli altri, fra cui si staglia il Kothner di “Alberich” Neidlinger e registrazione di buona qualità