Venerdì, 22 Novembre 2024

Rheingold

Aggiunto il 19 Luglio, 2009


RICHARD WAGNER
DAS RHEINGOLD

- Wotan THEO ADAM
- Donner KARL-HEINZ STRYCZEK
- Froh EBERHARD BUCHNER
- Loge PETER SCHREIER
- Alberich SIEGMUND NIMSGERN
- Mime CHRISTIAN VOGEL
- Fasolt ROLAND BRACHT
- Fafner MATTI SALMINEN
- Freia MARITA NAPIER
- Erda ORTRUN WENKEL
- Woglinde LUCIA POPP
- Wellgunde UTA PRIEW
- Flosshilde HANNAH SCHWARZ

Saatskapelle Dresden
Marek Janowski, direttore.

Luogo e data della registrazione: Lukaskirche Dresden, 11-12/8/1980

Edizione discografica : BMG

Note tecniche : voci in primo piano, suono orchestrale leggermente trascurato

Pregi : la palma del migliore indiscutibilmente va a Schreier

Difetti : ci si poteva aspettare qualcosa di più dalla direzione musicale.

Giudizio complessivo : images/giudizi/buono.png

1980, anno d’incisione di un nuovo Ring, quello diretto da Marek Janowski (polacco di nascita, tedesco d’adozione).
Ce n’era bisogno, a quel punto della storia del percorso interpretativo di questo capolavoro? Il Boulez del Centenario (1976) a Bayreuth, non aveva forse messo – agli occhi di tutti gli esegeti – il punto fermo sulla tetralogia wagneriana? E quella del ’67 rilasciata dal mago dei colori strumentali, Karajan? O come poter competere con i cast allestiti nel ’58 messi a disposizione di un Solti?
Insomma, sulla carta sembrerebbe davvero un’operazione quanto meno superflua, soprattutto a causa della scelta di un direttore che ha sì svolto una carriera internazionale adeguata, ma sempre all’insegna di una certa qual carenza di fantasia, senza insomma quella zampata che spesso è il marchio del genio. Ecco, Janowski è il classico direttore che porta a casa la recita indipendentemente dal repertorio, senza far danni ma con indiscutibile competenza e professionalità: per trovare un corrispettivo italiano ci si deve riferire a quelle figure che gli appassionati ricordano per l’acume tattico – per così dire – che permetteva loro di tirare fuori il meglio dalle risorse a disposizione: per esempio, Previtali, Molinari-Pradelli o Basile.
Detto questo, l’ascolto di questo Ring, pur non essendo rivelatore di chissà quali reconditi e arcani significati precedentemente trascurati, non mancherà di rivelare anche all’ascoltatore più disincantato qualche simpatica sorpresa, testimonianza di un’epoca tutt’altro che disprezzabile.
Veniamo all’incisione vera e propria, senza tralasciare alcuni cenni biografici, utili ad inquadrare il momento storico.
Janowski, nasce il 18 febbraio del 1939; quindi, all’epoca dell’incisione aveva 41 anni. Si può considerare un’età ideale per un Artista; non a caso, il Nostro in questo periodo affronta trasferte musicali in Europa (Germania, Francia e Svizzera) ed America (Met, Chicago e Pittsburgh su tutte). In Italia non e’ che sia conosciutissimo, ma altrove è giudicato per certi aspetti un innovatore dedicato a titoli poco frequentati, specie nel repertorio sinfonico, in particolare quello francese: Messiaen, Roussel, d’Indy e Dutilleux. Wagner è un’altra cosa: tornando all’incisione, il suo è un Prologo solido, poco fantasioso, in cui le voci hanno una grande preponderanza. Non v’è la cura maniacale dei particolari presente nei lavori di un Boulez, così come manca del tutto l’afflato che sapeva donare un Furtwangler nei momenti topici dell’opera (penso al tema dei giganti o quello di Donner). È comunque un Rheingold funzionale che guarda più alla grande tradizione degli anni Cinquanta, senza però disporre del parterre glorioso di quegli anni, ma con l’abilità direttoriale di sfruttare appieno il materiale vocale di cui disponeva.
Venendo alle voci, il cast credo sia la fedele espressione delle tendenze esecutive – non solo di Bayreuth – di quel periodo. Se si esclude la vecchia gloria Adam (cinquantaquattrenne nell’anno della registrazione), il resto è costituito da Artisti al di sotto dei 45 nel pieno della maturità artistica. Dicevamo di Adam: interpreta Wotan e si comprende anche al solo ascolto la piena padronanza della parte, risolta con un’autorità morale che travalica qualche percettibile ed occasionale difficoltà nel registro acuto.
Se però da Adam ci si poteva aspettare una perfomance di eccellenza, lascia di stucco quella di Schreier, probabilmente il migliore del cast. La voce è francamente brutta, bianchiccia e senza charme, eppure usata con intelligenza e malizia: un Loge che insinua e si insinua nella coscienza altrui senza mai strepitare e per questo incute ancor maggior timore. Sorprende, di questo famoso Artista, non tanto la pulizia della dizione, quanto il fraseggio fantasmagorico, che sembrerebbe contrastare con altre sue prestazioni sempre corrette ma un po’ anodine: non esagero nel definire uno dei piu’ grandi in questo ruolo, senza tema di confronti con mostri sacri come Stolze, Kuen o Witte. Immenso, lasciatemelo dire!
L’Alberich di Nimsgern impressiona per la violenza con cui riesce a caricare la scena della maledizione. Avrebbe aiutato molto la presenza del video, visto che scenicamente si sono sempre dette mirabilie di questo cantante, ma ci si deve accontentare.
La Minton è una Fricka di notevole fascino timbrico.
La Wenker impersona nel vero senso della parola, l’ultraterrena Erda.
Importante la presenza come Freia di Marita Napier, vale a dire una delle più importanti interpreti del repertorio lirico-spinto degli Anni Ottanta.
Bracht e Salminen si destreggiano nei panni rispettivi di Fasolt e Fafner. Molto bene il Mime di Vogel (ma nel Siegfried il ruolo sarà ricoperto da Schreier). Bene gli altri, compresi i poco conosciuti Stryczek (Donner) e Buchner (Froh). Trio delle meraviglie nei panni delle Ondine, ovverossia la Popp, Priew e Schwarz
Vittorio Viganò

Categoria: Dischi

 

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