Fidelio
Aggiunto il 19 Aprile, 2009
Era oggettivamente difficile trovare qualcosa che Karajan, quando era ancora in vita, si fosse fatto sfuggire per la pubblicazione discografica, ma d’altra parte qualcosa doveva pure saltar fuori per festeggiare adeguatamente il Centenario della nascita: qualcuno ha quindi estratto dal cilindro questo “Fidelio”, che un’etichetta sul cofanetto definisce “first-ever release” che però – lo diciamo subito – nulla aggiunge al Mito del grande direttore.
Interpretazione interessante, felpata, talvolta trattenuta – anche troppo, diremmo – solenne, morale, un po’ bacchettona, didascalica, con qualche sospetto di essere anche un po’ noiosa: siamo decisamente ancora lontani dalla perfezione formale dell’incisione in studio. Un esempio? La marcia dei prigionieri è di una lentezza esasperante e non ha nessuna valenza di teatralità.
Questa registrazione va presa com’è: la documentazione di una bella serata alla Staatsoper, con alcuni interpreti di livello (anche se non tutti in forma ottimale). Di serate musicali così ne abbiamo ascoltate un bel po’, non tutte ci sono sembrate meritevoli di memoria imperitura su disco e questa, a dirla tutta, non fa eccezione.
Sì, certo, c’è la Ludwig al suo debutto nel ruolo: però è una Ludwig spaventata da una parte che, come lei stessa ammette, è chiaramente sopranile e belcantistica e viene affrontata, per l’ennesima volta, da un mezzosoprano che se la deve vedere con si bemolli acuti che la preoccupano terribilmente e la costringono a fare lavori di risparmio per arrivare indenne al momento opportuno. Poi, si capisce, non si è la Ludwig per niente e la zampata di classe arriva comunque, e comunque più nel terzetto “Er sterbe!” del secondo atto con Florestan e Pizarro che non nell’“Abscheulicher!” del primo atto (peraltro risolto complessivamente bene), ma eravamo ancora al di qua di una riforma del ruolo che richiede un vero e proprio soprano lirico.
C’è la Ludwig, dicevamo, e l’intesa fra la grande artista e il direttore funziona bene e si sente, ci mancherebbe: ma non è un’intesa magica come quella che generava autentiche scariche elettriche fra Furtwängler e la Mödl. Siamo in ambiti decisamente molto più umani, verrebbe quasi da dire terra terra se non sembrasse quasi irriguardoso nei confronti di due monumenti di questo genere.
C’è anche Vickers, ma è pressoché inascoltabile. È raro che Vickers sia inascoltabile, nonostante quello che dicono i suoi detrattori: certo, normalmente ha le sue peculiarità di fonazione e ha un’intonazione non propriamente adamantina, ma raramente è banale e come Florestan, poi, ha lasciato una traccia importante. Qui è un disastro: il book della confezione lo segnala indisposto, ma dev’essere un eufemismo, perché sembra non aver capito proprio nulla di una parte che -–lo ripetiamo – analogamente a Leonore non dovrebbe essere affidata a tenoroni wagneriani. Il suo assolo dell’inizio del secondo atto è, ad essere generosi, francamente imbarazzante; il “Namenlose freunde” è solo di poco meglio, ma perché c’è la Ludwig che, pur a disagio con una tessitura tremenda, riesce comunque ad essere assai più musicale e variegata; il fraseggio è noioso, martellante e risaputo come da peggiore tradizione. Prova pessima, anche se frammezzata da alcune di quelle intuizioni da grande liederista che hanno sempre caratterizzato le interpretazioni di Vickers.
Non molto meglio Walter Berry, che completa il terzetto fissato su disco ufficiale da Klemperer in quella che, secondo molti, è la migliore registrazione del Fidelio. Il suo Pizarro, megalomane e protervo come (quasi) nessun altro, finisce per essere una caricatura di cattivo, nell’ambito di un didascalismo sospettiamo fortemente voluto da Karajan.
Walter Kreppel è bravo e canta con gusto, ma non ha un filo di quel carisma che sarebbe viceversa necessario anche in questo ruolo, come ben hanno dimostrato interpreti del calibro di Frick.
La Janowitz mette la sua voce d’angelo al servizio di una Marzelline sognante e tenerissima, oltre che non priva di una certa dose di buonumore: questi sarebbe dovuto essere il suo ruolo, e non quello protagonista che le riserverà Bernstein alcuni anni più tardi. Kmentt è pepato e canta come al solito benissimo: la coppia “giovane” è fra le meglio assortite di tutta la discografia di questo capolavoro. Waechter canta bene ma è assai poco interessante, mentre in una particina di assoluto comprimariato compare addirittura Kostas Paskalis che di lì a qualche anno avrebbe imperversato nelle parti baritonali protagonistiche dei palcoscenici viennesi