Walkure
Aggiunto il 10 Aprile, 2009
Per quanto riguarda le considerazioni preliminari, rifarsi cortesemente all’introduzione del Rheingold.
La prima giornata del Ring è quella che interessa meno a Knappertsbusch: la tensione morale del grande direttore è poco compatibile con l’amore fra Siegmund e Sieglinde, il soffio della primavera e le angosce di Brunnhilde; col che, purtroppo, si perde gran parte del significato di quest’opera e della sua collocazione nel contesto del monumento wagneriano.
Detto questo, è anche vero che quella che abbiamo fra le mani è la registrazione di un classico allestimento di Bayreuth con alcuni dei cantanti che ne hanno fatto la Storia, con una delle direzioni più rappresentate in disco e nel contesto di uno spettacolo che, a quel punto, era già estremamente rodato tanto da far pensare più al Ring di Wieland che non a quello di Knappertsbusch. Rimane tuttavia il fatto che la direzione del grande Hans è, nello specifico, una palla al piede pazzesca che non permette alla vicenda di mettere le ali. A ciò si aggiunga l’indisposizione di Ramon Vinay che indusse la produzione a chiedere a Windgassen, habituè del ruolo di Siegfried, di farsi carico anche di Siegmund, cosa che il grande tenore fece con la consueta professionalità, ma anche con un carico di disagio non indifferente, ben percepibile all’ascolto.
Il primo atto è globalmente un disastro, almeno per gli standard cui siamo abituati a Bayreuth: scarsa tensione narrativa sin dall’inizio, con la scena della tempesta che scorre meccanicamente neanche ci fosse a dirigerla un battisolfa qualunque. Entra Windgassen con il solito tono garrulo da Siegfried con l’orso, ed ecco che siamo proiettati sin da subito in un universo narrativo sbagliato, quello della seconda giornata, di spade da riassemblare e di identità da ritrovare. Qui dovrebbe essere diverso: il “Neid”, l’inevitabile destino che porta il giustiziere solitario a confrontarsi con i propri fantasmi, la scoperta di un amore immenso e immensamente proibito, la fuga alla ricerca di un’impossibile isola di felicità. Di tutto ciò, nel canto appena formalmente corretto di Windgassen c’è ben poco; e a ciò si devono aggiungere anche le percettibili difficoltà vocali di un ruolo frequentato poco, pur se affrontato, come dicevamo, con estremo rigore e professionalità. Il disagio c’è ovunque, ma soprattutto nel primo atto: il lungo racconto e il monologo sono affrontati in modo scolastico, abbandonando quel declamato che dovrebbe esserne la cifra essenziale in favore di un canto più tradizionale che mette Windgassen in terribile difficoltà. E il duetto d’amore è urlacchiato malamente, a dimostrazione del disagio in cui Windgassen si trova a fronteggiare un personaggio che non sente e che non è abituato a rappresentare; peccato perché, nell’occasione, la sua partner è particolarmente interessante e sfoggia un fraseggio moderno, nervoso e frastagliatissimo.
Soprano olandese, nata nel 1915, aveva esordito a Bayreuth nel 1954 ma in questo laborioso 1956 aveva due appuntamenti intrigantissimi: uno nei Maestri Cantori all’insegna del rinnovamento di Wieland, l’altro in questo Ring ove fa ben tre ruoli: Freia, Gutrune e, per l’appunto, Sieglinde. Nata Gerda Demphina, ma poi più semplicemente Gré, aveva studiato al Liceo Musicale di Amsterdam e aveva esordito come Prima Dama nel Flauto Magico. Nel 1946 aveva debuttato come Giulietta dei “Racconti di Hoffmann” alla Netherlandse Opera di Amsterdam; poi ci furono Tosca e quella Leonore del Fidelio che divenne ben presto il suo vero cavallo di battaglia. Ha cantato a Londra, Glyndebourne, Vienna, Parigi, Buenos Aires e Stati Uniti. Fra gli altri ruoli: Donna Anna, Amelia, Aida, Tosca, Martha, Agathe, Tatyana, Chrysothemis, Leonora del Trovatore e della Forza del Destino, la Contessa de Le Nozze di Figaro, Jenufa, Iphigénie, Desdemona, Senta, Elisabetta del Don Carlos (a Londra, nel 1958, arrivò per sostituire niente meno che Maria Callas nella celeberrima produzione Visconti-Giulini). A Bayreuth nel 1954 aveva fatto Elisabeth e nel 1955 Gutrune, ma non fu mai Senta o Elsa, vale a dire i ruoli wagneriani in cui fu principalmente applaudita in tutto il mondo. Niente male per una cantante che in Italia la critica militante continua a considerare peggio che male, non si capisce veramente per quale motivo. In questa registrazione di Walkiria è sicuramente l’elemento di maggiore interesse: voce matura, come da tradizione delle più grandi Sieglinde della Bayreuth del Dopoguerra, acuti struggenti, fraseggio frastagliatissimo a compitare una delle più interessanti Sieglinde documentate da disco. L’abbandono melodico delle scene d’amore non è eccelso, e non potrebbe essere altrimenti in un contesto come il presente dominato da un direttore così poco compliante e con il concorso di un tenore ben poco ispirato. Ma il “Der männer sippe” brucia di un’urgenza espressiva di notevolissima efficacia, così come la disperazione del secondo atto.
Accanto a questa strana coppia, nel primo atto incombe la presenza di Josef Greindl, una delle più celebri icone delle parti da Tieferbass a Bayreuth.
A partire dal secondo atto, l’estro di Knappertsbusch trova terreno più adatto nella tensione dei rapporti fra Brunnhilde e Wotan, qui ancora per l’ennesima volta Astrid Varnay e Hans Hotter, anche se non ai loro massimi storici.
La Varnay di Walkure viaggia su strade sicure e consolidate, senza sentire il bisogno di una zampata geniale, a dimostrazione di quanto poco la ispirasse la direzione di Knappertsbusch. Non canta male, ovviamente: totalmente padrona del ruolo, viaggia in tutta sicurezza senza bisogno di estrarre chissà quali conigli dal cilindro. Per capire con esattezza cosa intendo dire, bisogna spostarsi alla Scena dell’Immolazione del “Crepuscolo”, che permetterà all’ascoltatore di realizzare la differenza fra una prestazione da ordinaria a molto buona, come quella che si può ascoltare in questa Walkiria, e una atomica, da autentica fuoriclasse qual’era “zia” Astrid, che si esalta con Knappertsbusch proprio nella giornata finale. Qual’è l’asso nella manica, qui come altrove, anche in giornate non propriamente memorabili? Ovviamente l’intesa con il suo partner di sempre, Hans Hotter, qui ancora una volta monumento di se stesso, pur se anch’egli non al meglio delle proprie immense possibilità. Eppure, nonostante tutto, bisogna proprio sentire cos’è in bocca a questi due artisti sublimi la grande scena del secondo atto, ma soprattutto la conclusione del terzo: affiatamento, intesa, direi forse anche complicità a sancire un rapporto che forse andava oltre la normale collaborazione fra colleghi.
Un altro must della Bayreuth di quegli anni era Georgine von Milinkovic, Fricka e – qui – anche Grimgerde, cantante che giocò un ruolo essenziale nel cambiamento di prospettiva del proprio ruolo.
Ben assortito il gruppo delle Walkirie (c’è anche una gloriosa veterana come Hilde Scheppan) e registrazione complessivamente eccellente