Venerdì, 22 Novembre 2024

Madama Butterfly

Aggiunto il 07 Aprile, 2009


GIACOMO PUCCINI
MADAMA BUTTERFLY

 Butterfly ANGELA GHEORGHIU
 Pinkerton JONAS KAUFMANN
 Suzuki ENKELEJDA SHKOSA
 Sharpless FABIO CAPITANUCCI
 Goro GREGORY BONFATTI
 Kate Pinkerton CRISTINA REALE
 Lo zio Bonzo RAYMOND ACETO
 Il Principe Yamadori ROBERTO VALENTINI
 Il commissario imperiale MASSIMO SIMEOLI
 Lo zio Yakusidé MASSIMILIANO TONSINI
 L’ufficiale del Registro FABRIZIO DI BERNARDO
 La madre di Cio-Cio-San SIMONETTA PELACCHI
 La zia ROBERTA DE NICOLA
 La cugina MARIA CHIARA CHIZZONI

Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Chorus Master: Norbert Balatsch

Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
ANTONIO PAPPANO

Luogo e data di registrazione: Sala Santa Cecilia, Auditorium Parco della Musica, Roma, 7-19/7/2008
Ed. discografica: Emi, 2 CD

Note tecniche sulla registrazione: registrazione non eccelsa, ma apprezzabile

Pregi: direzione molto fastosa e densa che, a suo modo, cattura. I tre personaggi principali pur senza essere ‘fuoriclasse’ si fanno apprezzare

Difetti: la protagonista non mi pare interprete innovativa, anzi ricalca a tratti modi superati

Valutazione finale: images/giudizi/discreto.png

Se c’è un’opera di Puccini che va trattata con intelligenza, ricerca e scavo continui, questa è proprio Madama Butterfly: opera che presenta molte difficoltà non solo di ordine teatrale e visivo quando la si rappresenta, ma anche nel volerne riprodurre solo la parte musicale, ovverosia in una registrazione completa. A complicare le cose c’è una discografia mastodontica nella quale accanto al ‘risaputo’ c’è il bello, il notevole, l’interessante e l’innovativo che ha dell’eccezionale. Tutti caratteri che condizionano e obbligano l’ascoltatore a inserire qualsivoglia nuova edizione discografica in una di queste coordinate. La EMI ha all’attivo diverse edizioni del capolavoro pucciniano fra le quali si staglia quella del 1955 del tandem Callas-Karajan che rappresentò all’epoca un’autentica innovazione di linguaggio ed interpretazione, rispetto alle prove che fino ad allora aveva costruito il personaggio solo sul filone ‘mamma-vittima’: risentire alcuni fraseggi introspettivi della Callas (specie nel II e nel III atto) fa ancora impressione, ma la stessa cosa deve dirsi della Scotto che, una decina d’anni dopo accompagnata dal grande direttore J. Barbirolli, ha cesellato una notevole protagonista di grande finezza espressiva, ripetuta e ancor più approfondita nell’edizione diretta da Maazel per la CBS. Perché ho citato queste due somme artiste ? Perché entrambe hanno sottratto la protagonista ad una sorta di bamboleggiamento che contaminava il personaggio (chi non ricorda le versioni della Pampanini e della Dal Monte ?) privandolo di tutta una serie di costitutivi che ne fanno risaltare la crudezza della vicenda in cui la geisha è coinvolta. Questo per quanto riguarda la parte vocale limitata alla protagonista (gli altri personaggi vivono di luce riflessa e non dimentichiamo che, a livello semplicemente quantitativo, Butterfly è il personaggio più faticoso della galleria femminile del musicista lucchese), ma l’opera in sé vive di atmosfere orchestrali che vanno fatte risaltare. Non restringiamo tanto il campo al finale II (coro muto) e all’inizio del III (mattutino giapponese) ! Butterfly (lo dice il nome) vola molto più in alto: ci sono le musiche cerimoniali del I atto, c’è l’accompagnamento della scena della lettera, ma soprattutto c’è tutta un’atmosfera spettrale che aleggia dalla ricomparsa della protagonista nel III atto al finale dell’opera. Ricordiamo ancora la lezione Callas-Karajan in cui i silenzi erano eloquentissimi e trafittivi e poco importa che, secondo alcuni, la cantante greca non aveva la voce corrispondente al personaggio (o almeno ad una certa visione di esso). La registrazione è là come testimonianza di una drammaticità devastante. Ma giustizia vuole che non si tralascino i momenti più famosi: allora il Karajan II (quello DECCA con la Freni) fa ancora testo, ma anche Sinopoli non è da meno con tutta la sua analisi strumentale svolta al millimetro (cf. tutto il cerimoniale serio e fatuo del I atto).
Da qui si comprendono due motivi connessi che, se da un lato rendono affascinante quest’opera, ne costituiscono, per altro verso, seri parametri di confronto quando la si registra: l’enorme numero di edizioni discografiche e la presenza di letture innovative sui cui filoni inserirsi approfondendo ulteriormente. Se non si sta attenti a ciò si ricade nel ‘risaputo’ e nel già detto. A. Pappano è un direttore intelligente e preparato: ha già offerto prove pucciniane nelle quali s’è posto in rilievo per certa capacità di trascinare l’uditore con tinte corpose e altisonanti unite a certo dinamismo: il suo Trittico, ad esempio, è ricco di effetti e, tutto sommato, godibile e la stessa cosa va detta di Tosca, mentre un po’ meno attraente è apparso, almeno per me, ne La Rondine che già inclina verso certo intimismo. Ma questa Butterfly, pur dal grande e talvolta sontuoso suono, non mi pare esaltante. Intanto sono poche le sfumature, in alcuni momenti il ritmo è squilibrato: si passa da pesantezze (il commento orchestrale che, nel II atto introduce Butterfly e il bambino dopo la frase “Ah m’ha scordata” fa pensare più al “Te Deum” di Tosca: troppa carne al fuoco!!!) a momenti in cui si corre (il Preludio al III atto dopo il coro lontano dei marinai è realmente veloce). Ma ciò che di più grave è l’assenza di una linea interpretativa che faccia percepire il precipitare degli eventi o il senso di progressiva solitudine che si stringe attorno alla protagonista. Alcune scene poi, nonostante il buon suono e la resa discreta dei solisti, destano non poco sospetto di meccanicità (un esempio per tutti: la scena della lettera del II atto). Il suono, dicevo, è bello sì, ma forse troppo altisonante per quella che l’opera delle ‘piccole cose umili e silenziose’; un suono direi da kolossal cinematografico, quando la vicenda e il numero dei personaggi di quest’opera non è quello di ‘grand’opera’ come Gli Ugonotti o Don Carlos: anche nel finale della Suor Angelica (se la si va a riascoltare) incisa precedentemente troviamo Pappano incorrere in questa situazione che io definisco improprietà.
Una direzione, insomma, che si colloca nella discografia senza tanti problemi ed illuminazioni interpretative, ma che si accontenta solo di un generico colore mediterraneo a tratti discreto, a tratti gonfiato, a tratti passabile. Non c’è la gioia di poter esclamare: “ma quanto è singolare questo punto!”, A mio avviso, troppo poco per aggiungere qualcosa di nuovo alla storia e alla prassi esecutiva orchestrale di quest’opera, almeno in disco. C’è una certa gradevolezza di fondo e basta e i limiti che ho rilevato si avvertono solo in base ai confronti con altri direttori: a chi, invece, isola questa edizione da altri, Pappano può piacere per la densità e per la ritmica.
La Georghiu dopo La Rondine e Tosca torna a indossare un altro abito pucciniano, stavolta il kimono o l’obi, ma diciamo subito che è una protagonista che non canterebbe male, ma il suo accostamento a Butterfly è da ‘antipatica’. Un aggettivo che si riferisce ai modi interpretativi che vanno da certa supponenza “da gran dama” che vuole far vedere a tutti la sua maestria con l’impersonare un personaggio piccolo (se vi ricordate l’espressione della prima frase della Georghiu-Magda de La Rondine: “La novità sarebbe ?”, il tono di quella frase torna costantemente nella personificazione di questa Butterfly), fino poi a cadere in modi affettati e infantili che potevano piacere ai contemporanei di Toti dal Monte, ma che oggi sono desueti se non addirittura irritanti. Non sono poche le frasi in cui la cantante rumena si concede a mossettine vocali ormai fuori moda. Basterebbe ascoltare il suo ingresso e le battute di conversazione che seguono con Pinkerton e Sharpless, ma l’apice si raggiunge nel II atto con la visita di Sharpless (“Oh il mio signor Console” è davvero bambinesco ed ugualmente lezioso lo scambio di battute sui pettirossi). Analoghi accenti ci sono riservati anche nella scena della lettera nelle frasi di risposta a Sharpless (esempio la frase “Taccio, taccio, più nulla”). Andarsi qui a riascoltare la lezione Scotto con Maazel è un suggerimento che mi pare scontato: lavorare sul significato della parola e sulla dizione risulta essere molto più espressivo di certe puerili inflessioni. Ma poi non c’è nella Butterfly della Georghiu quell’elemento bifronte e fondamentale in questo personaggio che è il frantumarsi di aspettative tale da generare l’eroismo annullante e suicida (unico modo di ribellione) su cui la Callas (forse un po’ troppo tragedienne), la Scotto e, aggiungerei, la Freni di Sinopoli hanno costruito le loro raffigurazioni. Un punto focale del meccanismo esaltazione-distruzione che Puccini inserisce in quest’opera e che costituisce una pagina determinante di Butterfly è l’a solo “Che tua madre dovrà prenderti in braccio”: una pagina dalla quale una ‘signora cantante ed interprete’ può trarre mille e diverse sfaccettature (Callas, L. Price, Scotto, Freni), mentre una ‘cantante signora’ – come qui si ode – dice poco. Sul piano puramente vocale abbiamo nella Georghiu un certa diffusa finezza (ma sempre in sospetto di manierismo) e anche un buon registro che sa far fronte alle difficoltà (anche se in alto, gli acuti a volte sono più toccati che tenuti). Non precisa la dizione: la Georghiu infatti sbaglia alcune parole in almeno 3 punti dell’opera localizzati nel II atto. Inoltre a rendere il carattere “superstar” di questa cantante concorre anche la veste editoriale che nel fronte del cofanetto, nel frontespizio e nel retrocopertina la ritrae ‘nipponicamente abbigliata’ lasciando invece all’interno gli altri cointerpreti direttore incluso. Concludo con un interrogativo che vuo, essere una provocazione: se ad impersonare Butterfly si fosse pensato a N. Stemme ?
Grande cantante, ma a mio avviso mal impiegato e un tantino scorretto è Kaufmann: certo scomodare un solista wagneriano può costituire uno scoop, ma poi – ci si chiede – rende ? La mia risposta è si e no. Si, perché il registro acuto è bello e svettante e certa spavalderia va bene, no perché il settore centrale viene ingrossato e fa udire suoni ingolfati che non servono il personaggio e lo involgariscono. Però occorre dire che Pinkerton è un po’ la novità di quest’edizione se si tiene conto di due aspetti: il primo è che Kaufmann passa dal repertorio tedesco a quello italiano con una bella dizione e comprensione della parte e, in secondo luogo, che la sua prestazione va associata anche un po’ alla figura di quest’uomo snello e longilineo, di volto anche simpatico (ed esistono in rete alcune video che riproducono fasi di registrazione nelle quali Kaufmann appare partecipe anche di certo scavo della parola, mentre la Georghiu si sbraccia) può dare l’idea anche anagrafica di questo personaggio, al contrario di altri tenori che mirano ad imitare i divi della nostrana televisione ormai risaputi nei modi e nelle battute.
La Shkosa è una Suzuki non miracolosa, ma efficiente e commossa soprattutto nell’assistere la sua padrona nel III atto. Di quest’edizione Capitanucci è il migliore in campo: pensoso e lungimirante nel I atto, affettuoso e paterno nel II, irritato verso l’ufficiale americano per la tragedia che sta per compiersi nel III. Il tutto espresso con buona voce e dizione.
Il Goro di Bonfatti è valido nella sua untuosità, ma anche nel cerimoniale della prima parte dell’opera. Bene gli altri sostanzialmente, ma farei una chiosa sulla cattiva dizione di Aceto nelle poche (ma determinanti) frasi del Bonzo.
La registrazione sul piano fonico non è eccelsa, orchestra in primo piano tende a tratti ad ingoiare le voci. Libretto quadrilingue ben curato, mentre la presentazione e il commento dei tracks ignorano l’italiano
Luca Di Girolamo

Categoria: Dischi

 

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