Sabato, 27 Luglio 2024

Fiery angel

Aggiunto il 27 Marzo, 2007


Sergej Prokofiev
L’ANGELO DI FUOCO (Ognenny Angel)

• Renata NADINE SECUNDE
• Ruprecht SIEGFRIED LORENZ
• Agrippa HEINZ ZEDNIK
• Mefistofele HEINZ ZEDNIK
• Ostessa ROSEMARIE LANG
• Faust PETTERI SALOMAA
• Inquisitore KURT MOLL
• Mathias BRYN TERFEL
• Indovina RUTHILD ENGERT


Goestha Ohlin Ensemble Vocale
Goeteborgs Symfoniker
NEEME JÄRVI

Luogo e data di registrazione: Gothenburg, Konserthus, 5/1990
Ed. discografica: DGG, 2 cd a prezzo economico

Note tecniche: registrazione ottima

Pro: Järvi, l’orchestra, i comprimari
Contro: la Renata di Nadine Secunde

Valutazione complessiva: images/giudizi/buono.png

Dopo la Voce del Padrone del 1955 in francese (realizzata in occasione della creazione dell’opera) dovettero passare trentacinque anni prima che ci si decidesse a incidere una seconda volta l’Angelo di Fuoco: ci pensò la DG con questa edizione diretta da Järvi (stavolta nell’originale russo). Da allora, il mercato si è arricchito, come c’era da attendersi, del contributo di Gergev che ama considerarsi (e sono in tanti a credergli) il vessillifero in Occidente del repertorio russo.
E siamo così giunti a tre edizioni ufficiali. Né si può affermare che il “live” abbia cambiato le cose: che io sappia, è stata pubblicata in CD solo un’edizione in italiano, da Spoleto nel 1959, per la gloria dei due strepitosi fuoriclasse che vi compaiono: Kertesz e la Gencer.
Un simile disinteresse discografico verso il capolavoro operistico di Prokof’ev ha del misterioso, specie considerando che, sui palcoscenici, l’opera è tutt’altro che sconosciuta: a renderla, se non “popolare”, almeno nota al pubblico è soprattutto il fascino della trama, condita di stregonerie ed esorcismi, in cui Paradiso e Inferno, Eros e Misticismo, Medioevo e Umanesimo si affrontano.
Composta già nel 1927 ma rappresentata solo nel 1955, l’Angelo di Fuoco si basa sul romanzo del simbolista russo Valerj Brjusov, recentemente ripubblicato dall’editore E/O. Ne è protagonista una ragazza della Germania cinquecentesca, Renata, la cui infanzia è dominata dalle apparizioni dell’angelo Madiel. A suo dire (e dobbiamo fidarci di lei, perché noi questo famoso angelo non lo vedremo mai) egli si sarebbe allontanato da lei dopo essersi accorto che il sentimento della bambina si stava trasformando in amore nell’adolescente. Nella disperata ricerca dell’angelo “scomparso”, Renata si imbatte nel conte Heinrich che ella considera l’incarnazione terrena di Madiel. Ma anche Heinrich – che apparirà fuggevolmente nel corso dell’opera – non resisterà a lungo insieme alla ragazza. Nuovamente abbandonata, Renata spera di ritrovare Madiel-Heinrich grazie a pratiche occulte, sprofondando nell’isolamento, in frequentazioni poco raccomandabili, continuamente turbata da presenze sataniche; nel suo delirio si trascinerà dietro il cavaliere Ruprecht (il co-protagonista) di lei inutilmente innamorato. La ragazza terminerà i suoi giorni in un convento, dove le forze del Male continuano a tormentarla: dopo una grandiosa scena di esorcismo sarà condannata al rogo. Ruprecht non avrà una sorte migliore; abbandonato da Renata, si imbatterà in una nostra vecchia conoscenza: Mefistofele che, alla scadenza del contratto con il dottor Johann Faust, è libero di cercare nuovi amici.

In un’opera del genere, non ci aspettiamo un direttore sfumato ed elegante come Neeme Järvi, pittore di delicati acquerelli, avverso alle forti tinte. La nostra passione per gli effetti facili (quella stessa che ci fa pretendere in “Elektra” o “Salome” sonorità sempre estreme, frastornanti, incandescenti) vorrebbe per un’opera così un continuo pandemonio di clangori orchestrali e strilla assordanti. Manco a dirlo, è proprio in questa linea che si colloca Gergev.
Eppure, a ben pensarci, Renata raduna in sé i simboli della possessione demoniaca e quelli dell’estasi cristiana; è ugualmente sincera come santa e come strega; prega con devozione infantile, è illuminata da una fede indefettibile, umilia la propria carne, teme il peccato e, nonostante questo, pratica le scienze occulte e adora sessualmente il proprio idolo. Luce e oscurità sono confusi in lei in un ritratto fatto di chiaroscuri, non di contrasti cromatici.
E il suo angelo? È inviato da Dio? O da Satana? O da entrambi (se in esso si vuol leggere la proiezione di una coscienza alterata, come ha recentemente suggerito il grande regista Richard Jones nel suo magnifico spettacolo a Bruxelles)?
È per queste ragioni che Järvi, con le sue atmosfere cangianti e brumose, il suo rifuggire (anche nei guizzi più feroci) la banale evidenza dell’effetto, è l’uomo giusto al posto giusto. Il suo “Angelo di Fuoco” sorprende e conquista proprio perché accantona i fragori e le saette e si inventa colori autunnali e toni crepuscolari. Invece delle prevedibili e irritanti sottolineature horror, Järvi ci regala schegge di rabbrividente nostalgia (il primo e il secondo monologo di Renata), squarci di fissità contemplativa (l’apertura dell’ultimo atto) e persino guizzi di ironia e memorie di antichi sbalordimenti infantili (gli spiriti al secondo atto, il ritmo da ballo di Ruprecht quando fa il cascamorto). La narrazione si ammanta così di un lirismo inquieto e inquietante, tinto di nostalgia e di incanto, che non cancella l’orrore, ma ne tempera la buffonaggine iconoclasta (la scena dell’esorcismo che qui è finalmente limpida come un cristallo) e la tentazione caricaturale (l’indovina, Agrippa e Mefistofele). Ciò che ne esce non è più il solito incubo di ossessione circolare ma un cammino sobrio e meditato, passo dopo passo, nel mistero dell’anima, una storia di umane paure oltre gli orizzonti rassicuranti della fede e della conoscenza.

Era prevedibile che l’orchestra di Gothenburg, plasmata da Järvi alle sonorità più vellutate e iridescenti, realizzasse splendidamente un simile disegno; ma anche dal cast arrivano alcune soddisfazioni.
Kurt Moll, ad esempio, è un fantastico Inquisitore. In perfetta intesa con il direttore, non lascia deflagrare l’enormità del suo strumento ed evita i tuoni da orco che le menti semplici potrebbero associare a un personaggio simile. Al contrario, spiega il suo legato in morbidezze paterne, più solenni che terrificanti.. Buona la prova anche di Zednik, che – assecondando il disegno di Järvi – mette da parte la nota vocazione al macchiettismo. Il suo Mefistofele alterna sussurri e ammiccamenti con la grazia annoiata di un abate di corte, mentre il suo Agrippa lascia cadere dall’alto un’ipocrita ampollosità accademica ed evita giustissimamente di assecondare l’enfasi eroica a cui la musica di questa scena potrebbe indurlo (errore che commetterà Galuzin con Gergev.).
Purtroppo i due protagonisti (Ruprecht e Renata) non sono al livello di comprimari tanto illustri; ma se Siegfried Lorenz nei panni di Ruprecht è comunque attendibile, Renata si può considerare il buco nell’acqua di questa edizione.
Non è una questione di cattiva volontà: Nadine Secunde è un’artista valorosa, seria; capisce la visione del direttore e cerca di assecondarla, inventandosi mormorii allusivi e accenti confidenziali. Ma, per quanto si impegni, né la voce, né la personalità corrispondono.
Tipica wagneriana del dopo-Varnay, la sua voce parossistica e lacerata ha qualcosa di virile e matronale insieme; il centro ha riflessi mezzosopranili e gli acuti sono sferzanti e aspri. Per forza di cose, il personaggio diventa amaro, corroso, poco seducente e troppo maturo; e invece Renata (sorella rinascimentale di Salome) dovrebbe aver dentro la luce dell’estasi e della gioventù e dovrebbe potersi librare con gioia impudica all’acuto (a cui la Secunde approda fra pesantezze e cautele). Nemmeno Jane Rodhes nel ’55 aveva colori chiari o sopracuti in tasca (era un mezzosoprano) ma almeno il timbro è bellissimo e la femminilità fiammeggiante. Quanto alla Gencer, che nel ‘59 era un soprano angelicato da “Battaglia di Legnano” e “Lucia di Lammermoor”, la sua Renata incanta proprio per i pudori virginei alternati agli improvvisi trasalimenti. In attesa che appaia il live da Francoforte dei primi anni ’70 con la Silja e Dohnanji, persino la troppo placida e bonacciona Gorchakova (con Gergev) risulta più in parte della Secunde. La verità è che in questa edizione ci sarebbe dovuta essere una Stratas, o una Malfitano, una Ewing: avremmo avuto l’”Angelo di Fuoco” di riferimento.

Matteo Marazzi

Categoria: Dischi

 

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