Herzogin von Chicago
Aggiunto il 21 Marzo, 2007
Cominciň male la carriera musicale di Imre (o, in tedesco, Emmerich) Kálmán, pianista ungherese di famiglia benestante e religione ebraica: un disturbo neurologico gli impose di abbandonare l’attivitŕ concertistica appena intrapresa e lo costrinse a dedicarsi all’insegnamento e alla composizione. Quando, nel 1908, mise in scena la sua prima operetta dal quasi impronunciabile titolo “Tatárjárás”, le sue piů rosee speranze non si avvicinavano neppure, probabilmente, a quello che accadde nella realtŕ: il successo clamoroso ottenuto a Budapest gli procurň una immediata messinscena a Vienna e nel giro di un anno il lavoro di questo debuttante trionfava sui palcoscenici di Londra e New York.
La fortunata combinazione di spirito viennese e sangue tzigano si rivelň una carta vincente con i successivi “Der Zigeunerprimas” e soprattutto “Die Csárdásfürstin”. La lista dei titoli di lavori di Kálmán rappresentati fino al primo dopoguerra č impressionante e comprende capolavori notissimi come “Gräfin Mariza” e “Die Zirkusprinzessin” e altri oggi meno presenti in repertorio.
L’ascesa di Hitler e le leggi razziali colpirono ovviamente l’ebreo Kálmán, il quale resistette a Vienna fino all’Anschluss del 1938. L’annullamento delle previste recite della sua “Kaiserin Josephine”, nella quale avrebbero dovuto cantare Richard Tauber e Jarmila Novotna, lo convinsero a lasciare il paese con tutta la famiglia. Trasferitosi negli Stati Uniti, visse una malinconica fine di carriera costellata di progetti quasi mai concretizzati. Morě a Parigi il 30 ottobre 1953.
“Die Herzogin von Chicago”, da noi “La duchessa di Chicago”, andň in scena al Theater an der Wien il 5 aprile 1928 ottenendo, nonostante la clamorosa (quasi cinque ore) lunghezza dello spettacolo, un successo roboante, che si mantenne vivo nel corso di 242 repliche. Seguendo una tendenza comune all’operetta viennese e berlinese degli anni Venti, Kálmán e i suoi librettisti, Julius Brammer e Alfred Grünwald, misero a punto un organismo drammaturgico che consentisse l’introduzione di musiche di stampo jazzistico e di ritmi di danza mediati dalla commedia musicale americana. La trama č costruita sulla rivalitŕ fra il nuovo jazz americano, importato nell’immancabile e indebitato regno da operetta di Sylvaria da una annoiata milionaria americana che arriva ad acquistare persino il palazzo reale per trasformarlo in dancing alla moda, e la gloriosa, tradizionale csardas, di cui si fa paladino il giovane principe ereditario, spodestato dall’invadente e spendacciona duchessa. Al termine dei due atti principe e milionaria finiranno naturalmente sposi felici, celebrando con queste nozze l’unione di tradizione e novitŕ.
“Die Herzogin von Chicago” č un lavoro che bene rappresenta la migliore vena compositiva di Kálmán: l’invenzione melodica č straordinaria e sempre caratterizzata da quelle profonde radici nella cultura musicale magiara che conferiscono ai motivi un inconfondibile tono malinconico. Brani come il “Wienerlied” o il duetto “O Ros’marie” si fissano nella memoria al primo ascolto e questo fa ben comprendere il costante successo dei lavori di Kálmán. La larghezza di mezzi con cui questa operetta fu concepita si rivela anche dall’uso di masse di insolite dimensioni, che comprendono anche un coro di voci bianche (gli improbabili cuginetti del principe ereditario) che accompagna il protagonista in un trascinante Marschlied.
Per registrare una versione che suppongo integrale e filologicamente accurata della “Duchessa” (purtroppo il pur ricco booklet con saggio e libretto in tre lingue non dŕ informazioni in proposito) la Decca ha, con idea vincente, chiamato Richard Bonynge. Il quale, si sa, puň destare qualche perplessitŕ quando si misura con partiture di vasta profonditŕ e respiro ma č assolutamente imbattibile quando si confronta con la verve, i ritmi di danza, la spumeggiante freschezza di musiche come questa. La capacitŕ di Bonynge di respirare col tempo di valzer e di giocare col rubato o, allo stesso tempo, di ironizzare con le caricaturali sottolineature jazzistiche dell’orchestrazione č straordinaria. Inoltre, dopo una vita intera passata a costruire scatole sonore perfettamente calibrate per la voce benedetta di Joan Sutherland, Bonynge č sicuramente il direttore ideale cui affidare anche cast non eccezionali, nella certezza che con lui i cantanti avranno sempre la possibilitŕ di respirare con agio e mai saranno chiamati a forzare e a dare oltre le loro possibilitŕ.
Anche se dal punto di vista del canto non si sentono in questa registrazione cose riprovevoli, non si puň dire che i nomi di questa locandina siano paragonabili a quelli dei grandi della tradizione dell’operetta viennese. Il canto che qui si sente č generalmente corretto e forse un poco anonimo, ed č principalmente grazie alla direzione di Bonynge che esso si vivifica e assume quella carica musicale e teatrale indispensabili a dare un senso a queste partiture.
Deborah Riedel, l’americana duchessa, č abbastanza insopportabile nel caricare il suo tedesco con l’accento americano ma, a parte una ricorrente tendenza a inacidire leggermente il timbro quando sale all’acuto, canta tutto sommato bene e se non ha grande personalitŕ vocale riesce comunque a tratteggiare abbastanza compiutamente il suo personaggio.
Piů ingolato il baritonaleggiante tenore Endrik Wottrich come Prinz Sándor, decisamente piů a suo agio in questo repertorio che non in quello wagneriano. Non posso dire di apprezzare particolarmente le sue faticose ascese all’acuto (il passaggio di registro continua a essere un’entitŕ sempre piů fantasmatica nel canto tenorile odierno), č perň vero che di per sé la qualitŕ del timbro ha un certo fascino. Forse quello che gli manca veramente č un poco di energia, perché il suo principe resta un personaggio vagamente spaesato e privo di vero nerbo.
Molto apprezzabili, invece, Monica Groop e Brett Polegato nei panni della coppia leggera Rosemarie-Bondy. La prima, soprattutto, ha una presenza vocale maggiore della Riedel ed č bravissima nel delineare il buffo personaggio della principessa di Morenia complessata per via del suo difetto di pronuncia.
Una grande direzione e un cast non eccezionale ma nel complesso adeguato forniscono un ottimo servizio a una delle partiture piů fortunate di un compositore di eccezionale valore che meriterebbe senz’altro una maggiore conoscenza e presenza teatrale anche in un paese culturalmente periferico come il nostro.
La registrazione, edita dalla Decca nella bella collana “Entartete musik” dedicata alla musica vietata dalla dittatura nazista, č stata effettuata a Berlino alla presenza di Vera Kálmán, vedova del compositore. Un suo incredibile ritratto fotografico a fianco di Richard Bonynge chiude il libretto che accompagna i due cd.
Riccardo Domenichini