Boris Godunov
Aggiunto il 11 Marzo, 2007
Questa non è un’edizione all stars, ma un ascolto per iniziati alla materia. In un’epoca come la nostra in cui le uniche edizioni proposte sono solo quelle con orchestrazioni rigorosamente Mussorgsky, versione 1869 o 1872 poco importa, e con cantanti per lo più provenienti da altri ambiti esecutivi, fa uno strano effetto riascoltare in tutto il suo orgoglio una Rimsky con cantanti madrepatria. I nomi vengono infatti rigorosamente dagli ambiti della Grande Madre Russia, in cui quest’interpretazione è maturata quale erede di una grande tradizione che ha visto, fra gli interpreti moderni, Chaliapine, Reizen e Pirogov. Tanti sono i nomi sconosciuti all’ascoltatore medio: dal protagonista Petrov passando per Reshetin, Kibkalo per finire al direttore Melik-Pashayev. Tutto sommato, il nome più famoso finisce per essere quello di Irina Arkhipova, forse l’unica del gruppo ad aver avuto una notorietà anche al di fuori dei confini della Patria. Forse potrebbe essere poco per far pendere la bilancia nell’acquisto dei cd editi dalla Melodiya; eppure, come spesso capita, anche in edizioni non popolate di nomi di notevole impatto si finiscono per scoprire elementi di notevole interesse. Infatti, vinta la ritrosia e il pregiudizio legati ad una così vecchia concezione della materia, l’ascolto si rivela tutto sommato una piacevole sorpresa. Anzi tutto per il protagonista, dotato di voce così imponente e dolce allo stesso tempo, difficile da ritrovare in altri protagonisti di pari carisma. Per inciso, anche per agevolare l’ascolto di chi è a digiuno del lavoro di Mussorgskj, in linea di massima si potrebbe dire che esistono due scuole di pensiero riconducibili all’interpretazione dello zar, i cui capostipiti sono rappresentati da Chaliapin (di cui esiste un’ampia selezione da una recita tenutasi a Londra e dove praticamente contiene tutta la parte del protagonista) e da Reizen. Il primo fa affidamento alla "parola scenica", alla dizione, allo scavo fino allo spasimo della psicologia del personaggio tale da sviscerare ogni più remoto aspetto, esaltando l’espressione ai massimi termini, tale da sfiorare lo sprechsgesang. Il secondo si affida totalmente al canto ed al fraseggio: lavora sulla melodia, sulle note, senza per questo snaturare la complessità del personaggio. Entrambi sono accomunati da una preponderante personalità, tale da far nascere veri e propri seguaci. Per il basso nativo di Kazan i continuatori rispondono al nome di Pigorov, Christoff, London, Vedernikov, Putilin e Tomlinson; mentre i cantanti che s’ispirano all’arte del basso ucraino sono Pinza, Kipnis, Hotter, Ghiaurov, Talvela e Ramey. Naturalmente i nomi che abbiamo citato non furono certo dei pedissequi imitatori, ma ognuno di essi fu caratterizzato da peculiarità ed indiscutibile intelligenza interpretativa. Ritornando a noi, Ivan Petrov rientra, senza ombra di dubbio, nel secondo filone. Grazie alla sua notevolissima estensione, e con l’ausilio una linea melodica senza sbavature o fratture, sapeva "legare" con estrema facilità rifacendosi all’arte di scuola ottocentesca. Uno zar che non alza o sbraca la sua voce, neanche nella famosa scena della pendola od in punto di morte. Petrov sapeva “essere” uno zar, mostrando sempre un’autorita’ non prevaricante chi gli stava a fianco, nonostante le subdole manovre del viscido Shuyskj (uno sconosciuto quanto ottimo Shulpin). Che personaggio tratteggia Petrov lo si può intuire già nella scena dell’Incoronazione con un soffertissimo quanto nobile "Skorbit dusha", grazie alla sua estrema musicalità, ad un fraseggio impeccabile ed ad una presenza (era alto quasi due metri) scenica ipnotica. Ciò che – ad essere pignoli – manca, sono tutte le implicazioni che avrebbero fatto vedere protagonisti assai meno dotati quanto a materiale, ma passati attraverso esperienze eterodosse in grado di screziare l’interpretazione che a questo punto sarebbe diventata meno carismatica ma più complessa: si pensi a Hotter, protagonista (in tedesco) di una monumentale edizione che si pone ancora oggi ai vertici della discografia. A difesa del buon Petrov, va detto che il pubblico russo lo considera tuttora l’interprete più carismatico di questo ruolo, e questo gioca sicuramente a suo favore; d’altra parte, è ben nota l’antipatia dei russi per coloro che affrontano i monumenti del loro repertorio senza essere russi.
A fronte di cotanto protagonista, il resto del cast risalta assai meno ma senza comunque sfigurare e con alcune punte di eccellenza: pensiamo al Pimen di Reshetin, al già citato Shulpin od al regale Rangoni di Kibkalo, che ricorda assai da vicino il ben più famoso Lisitsian, pur senza raggiungere le vette dell’importante modello di riferimento. Delude ampiamente – ed è sicuramente l’anello debole del cast - il Grigory di Ivanovsky, che si mostra spesso ingolato, di fraseggio inerte e canto che punta esclusivamente al forte, rendendosi alla fine noioso. In effetti, impietosa cartina di tornasole e’ il duetto tra il falso Dmitri di Ivanovsky e la Marina debordante della Arkhipova. Temperamento d’acciaio quest’ultima, andando magari in non poche occasioni sopra le righe, ma artista generosa ed interprete di rara intelligenza. Notevoli i comprimari: come non citare l’Innocente di Grigoriev, lo Shchelkalov di Ivanov od il Varlaam istrione di un sicurissimo Geleva, uno dei migliori che si possano in questo improbo ruolo? Resta da parlare della direzione di Melik - Pashayev, il quale se non ci regala un lavoro fantasmagorico in stile karajaniano, dimostra comunque di comprendere assai bene le intenzioni del compositore, regalandoci teatralità, oltre che un’arte sempre più rara da trovare, specie al giorno d’oggi : la capacità di accompagnare con logica e buon senso il canto della buona scuola russa dell’epoca: un modo di porgere che sembra sopravvivere solo nelle interpretazioni recentemente affidate al disco fa Gergiev.
A cura di Vittorio Viganò