Venerdì, 22 Novembre 2024

Ballo in maschera

Aggiunto il 06 Settembre, 2006


• Riccardo Carlo BERGONZI
• Renato Cornell MACNEIL
• Amelia Birgit NILSSON
• Ulrica Giulietta SIMIONATO
• Oscar Silvia STAHLMANN
• Silvano Tom KRAUSE
• Samuel Fernando CORENA
• Tom Libero ARBACE
• Un giudice Piero DE PALMA
• Un servo d’Amelia Vittorio PANDANO


Orchestra e Coro dell’Accademia di Santa Cecilia, Roma
Chorus Master: non indicato

Sir GEORG SOLTI

Luogo e data di registrazione: Roma, 1960-61
Ed. discografica: Decca, remastering economico

Note tecniche sulla registrazione: ottima, secondo canoni qualitativi Decca

Pregi: Nilsson e Macneil

Difetti: nessuno in particolare

Valutazione finale: images/giudizi/ottimo.png

Opera molto amata da Solti, il Ballo. Questa è la prima registrazione in studio, cui il celebre direttore magiaro presta una direzione scabra, asciutta, poco incline a quel coté sentimentale di cui, tutto sommato, si sente la mancanza proprio nell’unica opera verdiana che dovrebbe maggiormente cantare il sentimento d’amore finalmente libero da altre implicazioni come l’amor patrio o antiche faide. D’altra parte, se vogliamo, leggendo la locandina ed ascoltando le registrazioni si potrebbe pensare che questa asciuttezza espressiva sia un portato inevitabile avendo a che fare con voci intrinsecamente piuttosto riservate e scarsamente inclini all’affettuosità, come quella della Nilsson.
In realtà, a regola di logica, questa considerazione dovrebbe riguardare proprio se mai solo il soprano, visto che Bergonzi non è mai passato per essere un interprete poco affettuoso e “Big Mac” dovrebbe finalmente essere considerato il vero baritono verdiano per antonomasia di quegli anni. Però, a conti fatti, la realtà è proprio questa: un prodotto di ottima fattura, già ben tornito e levigato come sarà poi la registrazione di riferimento degli anni successivi, quella incentrata sul trio Pavarotti – M. Price – Bruson; ma anche un prodotto piuttosto gelido, ferrigno, cupo, molto crepuscolare, in cui viene completamente bandita quella joye de vivre che non dovrebbe mai mancare come contraltare alla drammaticità del destino dei due amanti infelici (e quanto tale aspetto sia importante è ben confermato dal rilievo importante dato da Verdi al personaggio di Oscar che dovrebbe rappresentare il lato fanciullesco di Riccardo).
E se Pavarotti ben saprà far vibrare questa corda in quella che – secondo molti (e parzialmente anche noi) – è la migliore registrazione di quest’opera, il pur bravo Bergonzi qui decisamente non appare orientato in questa direzione, concentrato com’è nella polverizzazione della frase musicale in mille schegge espressive che dovrebbero rispettare i segni di espressione, ma che finiscono per non soddisfare veramente lo scopo. Ben inteso: lungi da noi l’idea di andar contro alla riuscita globale di Bergonzi in uno dei personaggi che maggiormente sono stati legati ad una carriera importante come la sua. Solo che ci sembra che la sua espressività sia bloccata da un riserbo eccessivo in una parte come questa che invece richiederebbe – e in grande misura – un lasciarsi andare quasi infantile ad una passione che è vissuta liberamente, mentre qui, in questo contesto, sembra quasi una sinecura. Detto questo, il canto è – come sempre – bello, vario, perfettamente appoggiato sul fiato come ci si aspetta sempre da questo grande cantante. La Barcarola è tenuta su un tono passabilmente fatuo, anche se si capisce lontano un miglio che non è quello il punto su cui Bergonzi vuole spendere la frecce migliori, che infatti arrivano puntualmente nel grande assolo del terzo atto, ben coronato da un paio di eccellenti mezzevoci e chiuso dalla grande espansione di “Sì rivederti Amelia” che è vocalmente ineccepibile, pur non vibrando di quel fremito di emozione che altri cantanti prima e dopo sapranno infondervi.
D’altra parte, da un certo punto di vista questo tipo di canto bergonziano va accettato o rifiutato così com’è, anche se viene il sospetto – soprattutto ascoltando le celebre Norma del Met del 1970 – che nella paletta espressiva del cantante bussetano ci fosse anche ben altro.
Le soddisfazioni maggiori, però, arrivano dagli altri due protagonisti.
La Nilsson è una grandissima Amelia. A parte il fatto che, ovviamente, non c’è passaggio della parte che la metta in difficoltà, quello che lascia stupiti chi non la conosce è la calda, profonda ed affettuosa umanità che riesce a profondere in un personaggio che, teoricamente, ben pochi assocerebbero al suo carattere e alla carriera trascorsa fra personaggi di ben altra caratura. In realtà, chi conosce bene le sue performances, sa che questa Amelia discende direttamente dalla partecipazione umana che profonde a piene mani nella sua Brunnhilde. Se proprio si vuole cercare il pelo nell’uovo, è in quegli incisi che altre cantanti hanno fatto risuonare meglio di lei e che con lei, invece, scivolano in modo un po’ anonimo, puntando magari un po’ di più sull’inevitabile espansione delle frasi brucianti e ad ampio respiro.
Da lodare invece senza riserva alcuna la prestazione di Cornell MacNeil: “Big Mac” è straordinario per aplomb stilistico, per diabolico controllo del fiato, per asciuttezza espressiva e per signorilità in un Renato non solo da manuale del canto verdiano, ma anche proprio da riferimento assoluto per il ruolo. Il suo “Eri tu” risuona di nobile e ferita umanità, espressa con una semplicità di comunicazione che toglie letteralmente il fiato.
Ottima Silvia Stahlmann nel disegnare uno dei pochi Oscar della discografia da ricordare per la semplicità e la freschezza dell’espressione. In Ulrica la Simionato mette tutto il carisma di una carriera che non ha avuto niente di men che grandioso; del pari, i comprimari lavorano tutti ottimamente all’unisono in un lavoro di squadra di livello elevato.

Categoria: Dischi

 

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