Meistersinger
Aggiunto il 02 Settembre, 2013
Ci si potrebbe limitare, recensendo questa edizione, a definirla, telegraficamente, come una delle piú soporifere dell´intera discografia di quest´opera. In realtŕ sarebbe molto piů interessante cercare di capire da dove scaturisca tanta noia.
Come č noto i Meistersinger sono, insieme con la Götterdämmerung, l´opera piů lunga di Wagner. Č quindi necessario calibrare e distendere l´amplissimo arco narrativo della vicenda con estrema attenzione e grande senso del teatro. Va da sé che la responsabilitá prima del successo (o dell´insuccesso) dell´opera sia del direttore d´orchestra.
Ora, sarebbe ingiusto e soprattutto non veritiero sostenere che Barenboim diriga male. Ci mancherebbe altro: la precisione degli attacchi, i rilievi timbrici, la compattezza del suono sono quelli che solo un direttore tecnicamente ferratissimo potrebbe realizzare con tale perfezione. Eppure, e ricordiamo che siamo nel vivo delle recite di Bayreuth, ció che piú latita in questa direzione č proprio il senso del teatro. Il caleidoscopio di colori e sfumature dinamiche ed agogiche che piú di ogni altra cosa caratterizza quest´opera viene infatti annacquato in suoni corposi, spessi, scuri come la pece con cui Sachs confeziona le scarpe per Beckmesser. Inoltre i tempi spesso molto dilatati, se da un lato permettono di evidenziare la fine trama contrappuntistica di molte pagine dell´opera (una tra tutte il geniale fugato che conclude il secondo atto), contribuiscono ad appesantire e ad infiacchire in modo spesso irreparabile la vitalitá della narrazione. Resta l´indubbio piacere di ascoltare un´orchestra che produce suoni bellissimi, ancorché molto piú adatti ad una sinfonia di Bruckner che ad un´opera di cosí spiccata teatralitá.
Un altro fattore che contribuisce a stendere su questa edizione una patina di uniforme grigiore č dato dalla scelta dei cantanti. Non tanto, o meglio, non solo, per i loro limiti vocali, quanto piuttosto per la loro uniformitá timbrica. In un´opera in cui il gioco coloristico dei timbri orchestrali e vocali ha tanta importanza, perché proporre un David vocalmente quasi indistinguibile da Walther, un Beckmesser del pari indistinguibile da Sachs, o un´Eva dal timbro corposo e dai bagliori mezzosopranili che mal contrastano col timbro della piú matura Magdalene? Una maggior attenzione nella differenziazione timbrica dei cantanti (elemento, questo, che assume una rilevanza centrale in un´opera tutta basata sui contrasti) sarebbe quindi stata auspicabile al momento della definizione del cast. Cast che, comunque, č tutt´altro che irreprensibile dal punto di vista vocale ed interpretativo. Accanto al Pogner probabilmente peggio cantato di tutta l´intera discografia (ogni minima salita all´acuto č un autentico strazio), questa edizione allinea un Sachs e un Beckmesser che, piú che rivali, sembrano fratelli gemelli, nel loro canto monotono, grigiastro, incapace di modulare, di alleggerire, di sfumare, di variare, apice un dialogo al terzo atto in cui la noia si taglia a fette. Rober Holl, in particolare, ha una pronuncia problematica e un´emissione cosí dura che a tratti rischia di sfiorare il grottesco: il monologo Wahn! Wahn! diventa Uŕn! Uŕn! (il che non č propriamente la stessa cosa…), e incontrando Eva al III atto (Grüß Gott, mein Evchen!) ricorda il lupo cattivo che saluta Cappuccetto Rosso. La Magee č un´Eva che potrebbe scostarsi dal solito biancanevismo di maniera, ritraendo una donna volitiva e sicura di sé. Ma la voce presenta troppi vistosi limiti tecnici per permetterle di raggiungere un qualsivoglia obiettivo interpretativo. Seiffert č invece un Walther vocalmente sicuro, nobile, a tratti eroico, ma comunque capace di sfumare e alleggerire, mentre Wottrich heldentenoreggia decisamente troppo nel difficile (oh quanto!) ruolo di David. Coro ed Orchestra in autentico stato di grazia.
Un gran dispiegamento di forze vocali ed orchestrali, in questa tenzone di canto a Norinberga. Peccato che a vincere sia solo la noia.
Francesco Brigo (AKA Dr Malatesta)