Martedì, 26 Novembre 2024

Tristan und Isolde

Aggiunto il 13 Settembre, 2015


Richard Wagner
TRISTAN UND ISOLDE

Personaggi e interpreti:
• Tristan WOLFGANG WINDGASSEN
• König Marke MARTTI TALVELA
• Isolde BIRGIT NILSSON
• Kurwenal EBERHARD WÄCHTER
• Melot CLAUDE HEATER
• Brangäne CHRISTA LUDWIG
• Ein Hirt ERWIN WOHLFAHRT
• Ein Steuermann GERD NIENSTEDT
• Ein junger Seemann PETER SCHREIER


Chor der Bayreuther Festspiele
(Chorus Master: Wilhem Pitz)

Orchester der Bayreuther Festspiele
KARL BÖHM

Data e luogo di registrazione: Bayreuth, 1966
Registrazione dal vivo

Edizione discografica: DG 419 889-2 {3CDS} (1988)ª; Philips 434-425-2 {3CDS} (1992)ª; DG «The Originals» 449 772-2 {3CDS};; Decca 478 0279 (10 Operas from the Bayreuth Festival) {33CDS} (2008)ª

Note tecniche: rimasterizzazione assolutamente perfetta
Pro: Böhm straosferico
Contro: mancanza di immedesimazione della Nilsson
Valutazione complessiva: images/giudizi/buono-ottimo.png

Recite giustamente mitiche queste di Bayreuth, immortalate dal disco ma non purtroppo dal video, come sarebbe stato giusto considerata la statura ormai leggendaria dello spettacolo di Wieland.
Recite consacrate – sul fronte musicale – dalla sinergia pressoché perfetta fra uno dei più grandi direttori della Storia (perché tale sarebbe ora di considerare Böhm) e due interpreti la cui intesa, cementata nel corso degli anni, era umana non meno che artistica.
Birgit aveva debuttato il ruolo a Bayreuth nel 1957 (in assoluto, a San Francisco un anno prima), sotto Sawallisch e sempre – oh sorpresa! – con Windgassen, titolare inamovibile del ruolo sino al 1974 quando, con Carlos Kleiber, sarebbe arrivato Brilioth. Del ruolo di Isotta anche Birgit sarà titolare sino al 1974, quando le succederà la Ligendza; non così fissa e inamovibile come Windgassen, però, perché nel 1963 ci sarebbe stato il ritorno estemporaneo della Varnay e nel 1968 la comparsata di Gladys Kuchta. Ma, nonostante queste eccezioni, Madame Nilsson è stata colei che ha impersonato Isolde per il maggior numero di volte sul Colle.
Una ragione, oggettivamente, c’è.
Anche a voler seguire il ragionamento storico molto amato su questo sito, e cioè l’idea di Cosima che – in astratto – Isolde non dovesse essere affidata alla stessa interprete di Brunnhilde, è innegabile che già a partire dagli Anni Venti del secolo scorso le cose fossero cambiate e che questo assioma non apparisse più così categorico né imperativo; e lo abbiamo già approfondito in altri articoli. Dopo Cosima a Bayreuth, e nel resto del mondo Cosima vivente, nessuno avrebbe avuto nulla da ridire nell’affidare Isolde a una Brunnhilde. Basta ascoltare, a titolo d’esempio, Nanny Larsen-Todsen, grandissima Brunnhilde e Isolde insieme; oppure la Ligendza che, a Bayreuth, avrebbe debuttato prima Brunnhilde e poi, tre anni dopo, Isolde.
Ma, superato il blocco di Cosima, c’è da chiedersi se effettivamente le interpreti fossero adeguate alla bisogna: non è che gli acuti sfolgoranti di una dea risolvano il personaggio nella sua integrità.
Qui abbiamo una Nilsson quarantottenne e, dal punto di vista vocale, pressoché onnipotente. Nella stessa estate, sempre con Böhm, Wieland e Windgassen gestiva anche il Ring, alternandosi (parzialmente) con la Varnay e la Dvořáková (quest’ultima peraltro venuta a mancare proprio nel 2015). Si può discutere all’infinito se la voce sia quella più adatta a esprimere turbamenti e inquietudini della ribelle principessa irlandese; ma non sul fatto che sia totalmente padrona della vocalità e che – come dice Elvio Giudici, a proposito di altro personaggio da lei interpretato – abbia le teoriche potenzialità per ricominciare da capo l’opera appena finita. Dal punto di vista tecnico, non c’è passaggio che la metta in difficoltà: il terribile primo atto, per esempio, è affrontato in modo “Elektriko”, come cioè se stesse scagliando le invettive della terribile principessa di Micene, con dominio completo del declamato e con un registro acuto d’acciaio; e arriva alle ampie campate del Liebestod con la voce perfettamente integra che fluttua e volteggia meravigliosamente avvolta alle spirali dell’orchestra.
Ciò che manca, invece, come dicevamo prima, è tutto il resto che siamo soliti catalogare alla generica voce “interpretazione”, il cavallo di battaglia di tutte le altre che non hanno, o non hanno avuto, la voce di Isotta (Mödl, per esempio); o che pur avendola avuta (Ligendza) hanno puntato anche in altre direzioni. Si sente che è un personaggio affrontato con notevole consapevolezza, ma le inquietudini, il trascolorare della fine del primo atto, l’angoscia dell’inizio del secondo, la commozione dell’Ich bins, Ich bins nel finale III stanno da altre parti. Ascolti questa colonna meravigliosa di suoni perfetti (e siamo dal vivo!) e ti viene da pensare alla famosa battuta della simpatica Birgit – era famosa per il suo sense of humour – secondo cui, tutto sommato, per fare Isolde basta un paio di ciabatte comode…
Detto questo, non si è Isolde più di chiunque altra nel teatro wagneriano per nulla. Non ci sono solo gli acuti: la voce è “a posto”, corre alla perfezione, è intonatissima, precisa, si può prendere il lusso di alcune messe di voce meravigliose.
Manca il personaggio: oggettivamente non si può aver tutto.

Il personaggio invece esiste con Windgassen; ma lui, provato da anni di repertorio oneroso da heldentenor wagneriano quale oggettivamente non sarebbe stato per rango, gioca al risparmio. Porta a casa la serata con estrema professionalità e con una certa quota di suoni sforzati, ma lo fa e, alla fine, i conti tornano per strade diverse rispetto alla sua collega.
La quale collega, in un’intervista, aveva indicato proprio in lui il suo Tristan ideale; anche la Mödl aveva definito Windgassen il proprio partner ideale a prescindere dai ruoli, aggiungendo di esserne anche un po’ innamorata, il che sconcerta un filo, perché se è difficile vedere nel timido Wolfgang gli stami dell’eroe, addirittura impossibile è immaginarlo come icona sentimentale. E comunque, all’epoca, questo signore cinquantaduenne di aspetto impiegatizio è l’incarnazione perfetta, anzi, forse l’unica alternativa possibile all’analoco punto di vista di Vickers: un uomo difficile, complessato, sgomento di fronte a una prova più grande di lui, che giunge discretamente affaticato alla terribile prova del terzo atto ma senza lasciarsene travolgere, costruendo il ruolo nota dopo nota, pazientemente, e facendo solo modico uso di sbracature e suoni belluini. Il suo Tristan, dolcemente alienato, è la rivincita del complessato di fronte a un mondo che non lo capisce.
Non Isolde, che anzi lo vampirizza (non solo vocalmente) anche in un duetto che nel secondo atto non è affatto paritetico.
Non lo zio, che è giovane e aggressivo.
Persino Kurwenal è – anche vocalmente – molto più violento.
È il tipo di personaggio da cui discenderanno quelli tratteggiati da Kollo (con Kleiber) e Hofmann (con Bernstein); per cui la sua importanza storica è innegabile.
Le note sono giocate al risparmio, ma ci sono tutte e senza sbavature.
In definitiva, una prestazione di notevole solidità: come dice l’amico Maugham, nessuno sente un “Siegfried” o un “Tristan” per lui, ma la sua presenza è sempre garanzia di solidità: è raro che sbagli. Non succede nemmeno qui.

Eccellenti tutti gli altri, senza eccezioni.
Interessante Wächter, totalmente all’altezza di una parte molto, ma molto più ispida di quello che si potrebbe pensare, e vocalmente molto più aggressivo dell’amico Tristan. Canta davvero molto bene.
Di Brangäne, Christa Ludwig ha fatto una personalissima icona. La sua voce calda, fonda, intensa accompagna il Notturno con un’intensità meravigliosa.
Martti Talvela, dalla voce scura e allo stesso tempo svettante, è uno dei pochissimi Marke da ricordare.
Favoloso anche il pastore del povero Erwin Wohlfahrt, destinato a prematura scomparsa di lì a poco.

Dirige il tutto meravigliosamente il grandissimo Karl Böhm, la cui scansione bruciante e teatralissima sarà superata solo da Carlos Kleiber nel 1974 sullo stesso palcoscenico, e poi in disco.
Basterebbe solo questa registrazione a consacrare la bravura suprema di un direttore che forse non era portato per qualunque tipo di repertorio (il suo Mozart, convenzionalissimo, è spesso noioso nei titoli coturnati e non solo), ma che in Wagner e Strauss trovava veramente il meglio della propria ispirazione.
Non solo non annoia mai, ma sa narrare perfettamente un’opera in cui non succede nulla, accompagnando alla perfezione il canto e trovando accenti di una violenza che nessuno – a regola – assocerebbe a questo signore tanto serio e compassato.
Grandissimo Direttore: ripeto, sarebbe ora di rivalutarlo, quanto meno in questo repertorio
Pietro Bagnoli

 

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