Lunedì, 07 Ottobre 2024

Carmen

Aggiunto il 28 Gennaio, 2007


Personaggi e interpreti

• Carmen SHIRLEY VERRETT
• Don José PLACIDO DOMINGO
• Micaela KIRI TEKANAWA
• Escamillo JOSE’ VAN DAM
• Frasquita TERESA CAHILL
• Mercédès ANNE PASHLEY
• Morales THOMAS ALLEN
• Le Dancaire JOHN DOBSON
• Le Ramendado FRANCIS EGERTON
• Zuniga RICHARD VAN ALLAN
• Andres DAVID CLYDE
• Lillas Pastia ROBERT LANCASTER
• Une Guide BRIAN AYRES

Choir of The Royal Opera House, Covent Garden
Chorus Master: Duglas Robinson

Orchestra of The Royal Opera House, Covent Garden
Direttore: Sir GEORG SOLTI

Luogo e data di registrazione: Londra, 4/7/1973
Edizione discografica: Myto
3 CD a medio prezzo

Note tecniche: ottima qualità, suono stereo
Pro: edizione virtualmente perfetta
Contro: qualche caduta di gusto della protagonista
Valutazione complessiva: images/giudizi/eccezionale.png

Questo cofanetto della Myto ci porta una registrazione sostanzialmente perfetta in ogni sua parte realizzata a Londra oltre trent’anni fa, in uno di quei contesti in cui tutto riesce e ogni tassello va al suo posto. A confermare la bellezza del prodotto, ci sono anche in appendice gli estratti di due rappresentazioni: una “Carmen” del 1968 da Cincinnati diretta da Anton Guadagno, sempre con El Ratòn nei panni del brigadiere e una strepitosa Mignon Dunn; e un “Lohengrin”, sempre del 1968 - crediamo il primo di Domingo – da Amburgo con Arlene Saunders. La pronuncia tedesca non è ancora tornita come sarà negli anni a venire e le intenzioni sono ancora da verificare completamente, ma già il personaggio vive di una sua dignità compiuta, pur se non ancora definitiva. Un approccio già elettrizzante, come si conviene non solo ad un interprete di rango, ma a colui che diventerà negli anni a seguire il più importante tenore wagneriano di fine secolo.
Tornando alla “Carmen”, questa edizione dimostra il percorso che in poco più di 40 anni era stato fatto nella comprensione della reale struttura dell’opera come era stata immaginata dall’Autore; se prendiamo come esempio non solo una qualunque delle edizioni degli Anni Trenta, ma anche una di quelle che sino a poco prima si basavano sulla vecchia edizione Choudens con i recitativi musicati da Guiraud al posto dei dialoghi originariamente previsti dall’impostazione Opèra Comique prevista, ci rendiamo conto di trovarci di fronte ad un’opera completamente differente. I dettagli sono talmente tanti da alterare profondamente il tessuto stesso dell’opera, portando un dato migliorativo in un’opera che, così strutturata, giustifica ampiamente tutto quello che sconvolgeva i critici dell’epoca, soprattutto in rapporto al wagnerismo e tutto ciò che portava seco in termini di strutturazione del dramma musicale: quest’opera, così come la ascoltiamo in questi dischi, è il capolavoro che sancisce il distacco definitivo di Nietzsche da Wagner e da tutto ciò che l’Autore tedesco aveva rappresentato per lui e per l’epoca in cui viveva.
A ciò, beninteso, non si sarebbe arrivati senza il lavoro fondamentale svolto da Oeser e accolto in tutta la su compiutezza da Solti che, a tutti gli effetti, ne è diventato il principale esegeta storico, con un lavoro capillare non solo sul testo, ma anche sullo spartito di cui riesce a trovare la quadratura nella sua forma più compiuta. Lo percepiamo sin dall’ouverture, ricca di propulsione emotiva e di urgenza espressiva ma mai di fracasso di bassa lega. Ma tutta l’esecuzione è mantenuta su un tono acceso, brillante pur se mai sopra le righe, dando il giusto spazio ai momenti più sofferti ed introversi, come la Scena delle Carte, o a quelli di serenità come il duetto del primo atto fra José e Micaela dove il gioco delle rimembranze è stupendo, ricco di intima affettuosità e mai di didascalico compiacimento.
Va detto che gran merito della riuscita complessiva dell’operazione è da ascrivere ad un cast che, specie nell’ambito delle incisioni dal vivo, non solo è virtualmente perfetto, ma mostra anche un affiatamento singolare.
Sulla protagonista, però, è necessaria qualche puntualizzazione.
Conosciamo molto bene Shirley Verrett e ne apprezziamo la straordinaria organizzazione vocale, specie in quel settore alto che ne permise il passaggio ai grandi ruoli sopranili drammatici, in particolare quelli verdiani. Carmen si gioca indiscutibilmente nel mezzo, settore in cui la Verrett di allora aveva ancora notevoli carte da giocare, come dimostra il sontuoso velluto su cui si dipana l’Habanera, o le splendide nuances della Seguidilla o le estetizzanti inflessioni della canzone gitana. Ciò a cui questa splendida cantante non riesce a rinunciare sono le estroversioni di grana grossa, come le risatazze immonde che – come al solito – fanno volgere uno dei personaggi più complessi di tutta la Letteratura di sempre dalle parti di una volgare puttanaccia di periferia. Sono inflessioni, momenti, d’accordo: però ci sono, e sono indicatori importanti di una concezione del personaggio che nessuna versione Oeser era ancora riuscita a scalzare. E quanto fossero radicati nella concezione della Verrett è particolarmente evidente a tutti coloro che – oltre dieci anni dopo – potranno vederla nello stesso ruolo all’inaugurazione della Scala sotto la bacchetta di Abbado che le lascerà briglia molto più sciolta sul fronte interpretativo (e, oltre a tutto, con voce considerevolmente meno modulabile, in quanto ormai virata definitivamente a registro sopranile, e quindi recuperata alla corda mezzosopranile per il rotto della cuffia e a prezzo di volgari risonanze poitrinées quando non francamente uterine). Consideriamo per esempio quello che qualche anno più tardi Maria Ewing riuscirà a realizzare con mezzi vocali infinitamente inferiori sul fronte di un accento straordinariamente mobile e vario senza mai ricorrere mezza volta ad esteriorità triviali, ma sempre palesando una sensualità quasi opprimente, e ci renderemo conto del fatto che ciò che veramente conta nella prestazione della Verrett è proprio il dato del canto che è sempre sorvegliato soprattutto nei momenti maggiormente intimistici e riflessivi. Questa, in effetti, è una prestazione abbastanza interlocutoria che forse rende ragione del fatto che nella successiva incisione in studio le sia stata preferita la meno dotata ma più articolata e varia Tatiana Troyanos e, secondariamente, che non le sia stata data la possibilità di affrontare questo ruolo in un’incisione in studio; nondimeno, quest’incisione è assolutamente fondamentale per la piena comprensione del “fenomeno Verrett”, un ciclone sul panorama operistico internazionale fra gli Anni Sessanta e gli Anni Ottanta.
Il don José di Domingo, già famosissimo di suo, trova qui la sua rappresentazione più compiuta, quanto meno in un’incisione integrale, perché i frammenti che si ascoltano in appendice e che fanno riferimento ad un’edizione live del 1968 ci propongono un cantante ancora più allo sbaraglio nel coinvolgimento emotivo. Siamo d’accordo, le mezzevoci e i pianissimi non sono il suo pane, per cui invano cercheremmo la soluzione del si bemolle prescritta e realizzata discograficamente da ben pochi cantanti; in compenso, El Ratòn ci propone una sontuosa e commovente messa di voce sulla stessa nota, con progressivo rinforzo: l’effetto è a dir poco spettacolare. Per il resto, il personaggio è reso con dovizia di tutti quei topoi che faranno la gioia degli appassionati (ma soprattutto delle appassionate) di tutto il mondo ancora ai giorni nostri, in cui è difficile immaginare un interprete più vario e articolato di questo ruolo.
Non è da meno la Micaela della Tekanawa: il velluto prestato a questo personaggio così melenso e prevedibile è assolutamente sontuoso e si mangia in un sol boccone tutte coloro che si sono cimentate col ruolo prima e dopo. L’interpretazione non si rifà fortunatamente alla solita fanciullina in fiore timida e dimessa: è una giovane donna vivace, curiosa e determinata, assai più matura del suo promesso sposo, con la piena consapevolezza della sua femminilità e che, per una volta, può guardare in faccia la ben più emancipata rivale.
La revisione di Oeser restituisce dignità anche al personaggio di Escamillo che, sino a quel momento, era limitato al couplet del secondo atto; particolarmente interessante è la revisione del duello con José del terzo atto che recupera una parte sino a quel momento omessa (e, curiosamente e colpevolmente, quasi sempre ancora oggi!) che ci rende ragione della superiorità del torero sul povero José, cui salva la vita prima di rischiarla per un inganno. La presenza di Van Dam, col suo velluto sontuoso e la sua presenza maschia e soggiogante nobilita quest’incisione proponendo la più bella interpretazione di questo personaggio testimoniata dal disco.
E, per completare la festa, si citerà anche la perfezione complessiva di tutto lo stuolo dei comprimari: dalle due zingare (Teresa Cahill e Anne Pashley), al fatuo Moralès di Thomas Allen, al sornione (e davvero ben cantato) Zuniga di Van Allan, sino ai chiacchieroni contrabbandieri tratteggiati da Dobson e Egerton.
La registrazione è di splendida qualità e permette di godere il tutto in modo adeguato all’evento: insomma, una vera festa!

Categoria: Dischi

 

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