Caro Ninci,
intanto benvenuto nel nostro forum.
L'argomento Muti continua ad accalorare
; ciò prova che (nel bene come nel male) è una grande personalità.
E tuttavia, Ninci, ti vorrei chiedere, se possibile, quando contesti affermazioni che non condividi, di limitare le tue critiche alle ...osservazioni stesse, senza estenderle a chi le ha espresse.
Quindi io eviterei di accusare di "superficialità" i tuoi interlocutori (che, puoi credermi, non lo sono affatto) e soprattutto di scrivere cose come:
Ninci ha scritto:Quando poi leggo che Cherubini sarebbe un compositore reazionario, mi viene da pensare: ma cosa mai avrà sentito chi scrive cose del genere? Non sa che compositori che non erano proprio dei reazionarucoli da quattro soldi come Beethoven, Schumann e Brahms lo tenevano in altissima considerazione come un autentico innovatore?
A parte il fatto che la parola "reazionario" non è un insulto (in certi casi lo è molto di più, almeno per me, la parola "rivoluzionario"), forse sei proprio tu ad aver letto superficialmente ciò che Rodrigo e Beckmesser hanno scritto, ossia esattamente il contrario di quel che hai inteso.
Reazionario in senso politico, ma non artistico.
Non ha senso, quindi, replicare che Cherubini era un grande innovatore come musicista, perché è esattamente ciò che hanno affermato loro.
Per inciso non vedo come il fatto che Beethoven o Schumann tenessero in considerazione Cherubini come compositore possa contraddire l'affermazione di Beckmesser. Si può essere reazionari nelle idee e innovatori nell'espressione. Ben più di Cherubini, si potrebbe citare Rossini, vero e dichiarato reazionario, codino della più bell'acqua, e nonostante questo amato da Beethoven (!)... nonché grandissimo innovatore della musica.
il "Demofoonte" è un'opera di grande importanza storica e vederla liquidata con delle battutine non è uno spettacolo molto edificante;
In questione non è l'importanza del Demofoonte. In questione è il modo in cui è stata presentata a Parigi.
I "buuu" parigini se li è presi Muti, non Cherubini.
Veniamo alla questione dell'invecchiamento.
E poi, che cos'è l'invecchiamento oppure il nuovo nella storia dell'interpretazione? Possono aprirsi prospettive diverse; e di fatto questo ovviamente accade. Ma la prospettiva nuova non cancella le precedenti;
Il fatto è che la storia non procede per linee dritte, per superamenti successivi. E' fatta invece di tortuosità, di ritorni, di avanzamenti che in realtà sono arretramenti, di ritorni che aggiungono al contrario qualcosa di nuovo. Applicare la categoria dell'invecchiamento alle questioni estetiche non è né giusto né sbagliato; è semplicemente privo di senso.
Questo è un tuo punto di vista, che ovviamente rispetto.
Io la vedo in modo un po' diverso.
Anzitutto non credo nell'arte "eterna".
L'arte è per me una forma di comunicazione: da una parte c'è l'oggetto artistico, fatto di segni, dall'altra l'insieme dei fruitori, che danno a quei segni un significato. Mentre l'oggetto resta (più o meno) uguale nel tempo, il "destinatario" (ossia i fruitori) è dinamico e cambia nel tempo.
Cambiando i fruitori, cambiano i significati che essi attribuiscono a uno stesso segno.
Un accordo, una modulazione, un effetto sonoro e accidente musicale può suscitare negli ascoltatori di oggi reazioni totalmente diverse da quelle che suscitava ai tempi in cui era stato pensato.
E' normale ed è giusto che sia così.
L'artista di oggi (come quello di ieri) sa benissimo quali emozioni produrrà la sua arte nel pubblico a lui coevo (perchè ne condivide l'universo di segni e di valori), mentre non può nemmeno immaginare le reazioni che produrrà negli ascoltatori di cento o mille anni dopo.
Come cambiano i segni, così cambiano anche i contenuti.
Ogni messaggio contenuto in un oggetto artistico viene ricreato e ripensato a seconda dell'epoca che ne fruisce.
Don Giovanni non potrà dire le stesse cose al pubblico del 700, dell'800, del 900 e del 2000. Dirà cose diverse.
Il bello del cammino delle opere attraverso i tempi (e questo vale sia per la Pietà di Michelangelo, sia per il Decamerone, sia per Il Settimo Sigillo) è che le epoche nel loro avvicendarsi le interpretano e le elaborano diversamente. L'infinita polisemia dell'arte ha questo fondamento.
Questo vuol dire che non "invecchia" l'opera d'arte; ma il complesso di segni e di significati che costituiscono la comunicazione sì! Quello invecchia.
CAruso è un gigante, lo era ai suoi anni ed è nella storia.
Ma i suoi singhiozzi (che all'epoca erano uno strumento forte, innovativo, struggente) oggi fanno ridere.
I tenori che oggi imitano Caruso, recitano con la mano sul cuore, ecc... allontanano il pubblico dell'opera, lo scandalizzano.
Questo non ci autorizza a dire, ovviamente, che Caruso è "invecchiato", ma quell'insieme di segni che rappresentavano il suo modo di comunicare sì.
Muti utilizza un linguaggio che ai tempi di Furtwangler era lecitissimo associare alla musica settecentesca.
Oggi però si usa un'altro linguaggio per la musica del 700, un linguaggio (alla Minkowski) che probabilmente a te non piace (e ne sei padronissimo) ma che piace, in compenso, a una vastissima quantità di fruitori, che vi si riconosce.
Forse perché quel linguaggio interagisce con la nostra epoca più di quanto non faccia l'approccio di Muti.
Salutoni e ancora benvenuto,
Matteo Marazzi