Demofoonte (Jommelli)

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Demofoonte (Jommelli)

Messaggioda giovanni » lun 22 giu 2009, 0:58

Salve a tutti! Oggi sono andato a vedere all'Opéra Garnier di Parigi lo spettacolo del Demofoonte di Niccolò Jommelli diretto da Riccardo Muti. Allestimento partito da Salisburgo, passato per Parigi e poi nei prossimi giorni verrà in Italia a Ravenna.
Prima esecuzione moderna di quest'opera trovata recentemente nella Biblioteca del Conseravtorio S. Pietro a Majella di Napoli. L'orchestra era L'Orchestra Giovanile Luigi Cherubini.
Il giudizio complessivo è assolutamente OTTIMO. L'opera (che ovviamente non conoscevo) è davvero molto bella: e Riccardo Muti è riuscito a tirarne sicuramente una parte molto interessante, anche se forse non propriamente filologica. Ma io reputo che il risultato che ne è venuto fuori è assolutamente rilevante. La cosa brutta è che all'inizio del terzo atto Muti è stato accolto da una marea di fischi. Ammetto di non apprezzare particolarmente Muti, però apprezzo MOLTISSIMO l'intenzione di riscoprire alcune opere. Questo credo sia un merito che non lo si può negare. E quindi credo sia ingiusto fischiarlo. Il cast aveva alti e bassi: il risultato migliore è stato quello di Maria Grazia Schiavo (nella parte di Dircea), davvero fantastica e poi la voce correva per tutta la sala nonostante si trattasse di una voce di soprano leggero, e poi era perfettamente nella parte. Discreto il risultato del tenore Dmitri Korchak, che risultava pessimo nelle agilità. Abbastanza bene il Timante di Josè Maria Lo Monaco, che però ha risolto tutte le sue arie in maniera egregia. Buona la Creusa di Eleonora Buratto. (Ammetto che di questi cantanti prima di oggi conoscevo solo Maria Grazia Schiavo). La regia di Cesare Lievi perfettamente in stile neoclassico: nella scenografia varie colonne messe stese per terra o in orizzontale e alberi che crescono da soffitto , credo a sottolineare la confusione di legami familiari che tanto affilgge quest'opera. Il pubblico parigino ammetto che abbia riso molto durante l'Opera, peccato perchè significa che non sono entrati veramente nell'Opera.
Saluti da Parigi
giovanni
 
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Re: Demofoonte (Jommelli) - Muti

Messaggioda MatMarazzi » lun 22 giu 2009, 20:14

giovanni ha scritto:Ma io reputo che il risultato che ne è venuto fuori è assolutamente rilevante. La cosa brutta è che all'inizio del terzo atto Muti è stato accolto da una marea di fischi. Ammetto di non apprezzare particolarmente Muti, però apprezzo MOLTISSIMO l'intenzione di riscoprire alcune opere. Questo credo sia un merito che non lo si può negare. E quindi credo sia ingiusto fischiarlo.


Caro Giovanni,
Intanto grazie infinite della tua recensione, interessantissima.
Anche io, in questi giorni, sono stato a Parigi: una toccata e fuga (di cui io e Maugham parleremo) per la Carmen alla Salle Favart con Gardiner, Noble e la Antonacci. C'eri anche tu?
Quanto a Muti, io credo di sapere perché i parigini lo fischiano.
Non è un discorso di bravura (su questo hai ragione tu: non merita fischi, ma solo elogi) quanto di estetica.
Muti è passatista, ingombrante, egocentrico. Dirige questo repertorio infischiandosene delle evoluzioni linguistiche e filologiche. Impone registi (mi perdonerà il meritorio Lievi) che si prestino a "non disturbare" la sua supremazia. Sceglie cast di yes men.
Ora... Parigi è l'avamposto della ricerca interpretativa: il pubblico (che viene da tutto il mondo) impone e pretende ricerca, sperimentazione, originalità.
Se c'è una città in cui il monarca di molfetta non può sperare nel supino incensamento è proprio Parigi.

Forse, per evitare i fischi, avrebbe dovuto presentarsi con un altro titolo e soprattutto lasciando scegliere ad altri il regista e i cast.

Ancora grazie di tenerci informati sulle novità della Ville Lumière.
Matteo
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Re: Demofoonte (Jommelli) - Muti

Messaggioda Tucidide » lun 22 giu 2009, 20:52

Io vedrò questo Demofoonte il 7 luglio a Ravenna.
Il mondo dei melomani è talmente contorto che nemmeno Krafft-Ebing sarebbe riuscito a capirci qualcosa...
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Re: Demofoonte (Jommelli) - Muti

Messaggioda giovanni » lun 22 giu 2009, 21:25

MatMarazzi ha scritto:
Anche io, in questi giorni, sono stato a Parigi: una toccata e fuga (di cui io e Maugham parleremo) per la Carmen alla Salle Favart con Gardiner, Noble e la Antonacci. C'eri anche tu?



No purtoppo non c'ero alla Carmen all'Opéra Comique. (mi sono avviato troppo tardi per i biglietti)

Ritornando al discorso di Muti ti ringrazio per avermi fatto riflettere su questi aspetti di come viene visto Riccardo Muti qui e come vengono viste le sue scelte. A prova di quello che hai detto voglio anche sottolineare anche che quello che io credevo fosse l'evento della stagione alla fine non lo era (almeno per i parigini). In tutte le recite c'erano un sacco di posti vuoti. Contemporanemante (a volte nelle stesse serate!) l'Opéra de Paris proponeva alla Bastille il re Ruggero (lo scrivo in italiano) di Szymanowski (altro titolo a me sconosciuto) che invece ha fatto il tutto esaurito. Può sembrare una sciocchezza ma il fatto che il pubblico parigino abbia scelto il Re Ruggero diretto da Ono (che cmq andrò a vedere nei prossimi giorni) al Demofoonte diretto da Muti la dice lunga. Credo che in Italia avremmo avuto esattamente il contrario. Cmq mi viene voglia di fare un'osservazione: ma in Italia lo si trova un Teatro d'Opera che proprone due spettacoli (entrambi non trascurabili) la stessa serata?
Credo che anche la Carmen diretta da Gardiner era press'a poco negli stessi giorni e anche in quel caso era tutto esaurito.
Saluti
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Re: Demofoonte (Jommelli) - Muti

Messaggioda MatMarazzi » lun 22 giu 2009, 21:34

giovanni ha scritto:Può sembrare una sciocchezza ma il fatto che il pubblico parigino abbia scelto il Re Ruggero diretto da Ono (che cmq andrò a vedere nei prossimi giorni) al Demofoonte diretto da Muti la dice lunga.


La dice lunghissima, hai ragione!

ma in Italia lo si trova un Teatro d'Opera che proprone due spettacoli (entrambi non trascurabili) la stessa serata?


No, non si trova... E soprattutto non si trova una città che propone - come Parigi - non meno di quattro stagioni d'opera (Opéra - Chatelet - Champs Elysees - Opera Comique) fra le più importanti e stimolanti del mondo...
Forse è vero il vecchio detto per cui dove c'è concorrenza c'è qualità! :)

Ti invidio tantissimo, Giovanni.
La prossima volta che vengo a Parigi a vedere qualche opera, ci dobbiamo trovare!!!

Salutoni,
Mat
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Re: Demofoonte (Jommelli) - Muti

Messaggioda beckmesser » mar 23 giu 2009, 9:50

Ero anch’io alla stessa recita di domenica pomeriggio (reduce dalla Carmen della sera prima), ma ne ho ricavato impressioni molto più modeste… Innanzi tutto, dopo il remoto Fetonte scaligero, mi resta confermata l’impressione che Jommelli può tranquillamente continuare a dormire indisturbato nelle biblioteche: se si vuole indagare approfonditamente quel periodo, a mio modesto parere ci sono autori infinitamente più interessanti, Traetta in primis.

Ho molto ammirato Muti e credo che potrebbe dare ancora molto (Verdi, il grandopéra francese), ma in questo repertorio dà la penosa sensazione del soldato giapponese che non si è accorto che la guerra è finita: un sopravvissuto. Non si possono ignorare (e anzi ostentare di ignorare) le conquiste della moderna prassi filologica. Tanto per dire: Abbado è rimasto Abbado, ma nei suoi ultimi Pergolesi, Mozart e Beethoven (comunque li si giudichi) dimostra di aver riflettuto su quanto sta avvenendo. Muti no, sembra anzi aver accentuato la sua ottica di retroguardia: archi sontuosi, bel suono sempre ostentato e soprattutto la tragica convinzione che tutto si limiti a “bella musica”, e pazienza per il teatro. È questo che i parigini fischiavano (scioccamente, aggiungo: si fischiano i difetti, non l’impostazione).

Lo spettacolo di Lievi era… un non spettacolo. Non c’era niente: un ronconismo di seconda mano nelle scene sghembe e un via vai di gente che andava e veniva alla bell’e meglio… Io resto convinto che a quel punto è molto meglio la forma di concerto…
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Re: Demofoonte (Jommelli) - Muti

Messaggioda giovanni » mar 23 giu 2009, 13:05

beckmesser ha scritto:Ero anch’io alla stessa recita di domenica pomeriggio (reduce dalla Carmen della sera prima), ma ne ho ricavato impressioni molto più modeste… Innanzi tutto, dopo il remoto Fetonte scaligero, mi resta confermata l’impressione che Jommelli può tranquillamente continuare a dormire indisturbato nelle biblioteche: se si vuole indagare approfonditamente quel periodo, a mio modesto parere ci sono autori infinitamente più interessanti, Traetta in primis.

Ho molto ammirato Muti e credo che potrebbe dare ancora molto (Verdi, il grandopéra francese), ma in questo repertorio dà la penosa sensazione del soldato giapponese che non si è accorto che la guerra è finita: un sopravvissuto. Non si possono ignorare (e anzi ostentare di ignorare) le conquiste della moderna prassi filologica. Tanto per dire: Abbado è rimasto Abbado, ma nei suoi ultimi Pergolesi, Mozart e Beethoven (comunque li si giudichi) dimostra di aver riflettuto su quanto sta avvenendo. Muti no, sembra anzi aver accentuato la sua ottica di retroguardia: archi sontuosi, bel suono sempre ostentato e soprattutto la tragica convinzione che tutto si limiti a “bella musica”, e pazienza per il teatro. È questo che i parigini fischiavano (scioccamente, aggiungo: si fischiano i difetti, non l’impostazione).

Lo spettacolo di Lievi era… un non spettacolo. Non c’era niente: un ronconismo di seconda mano nelle scene sghembe e un via vai di gente che andava e veniva alla bell’e meglio… Io resto convinto che a quel punto è molto meglio la forma di concerto…



Beckmesser, dato che eri presente alla stessa recita, cosa ne dici delle continue risate del pubblico durante il terzo atto (insomma quando si scoprono gli strani legami di parentela tra i vari protagonisti). A me a dire il vero hanno un pò irritato. Ma se per questo, qualche settimana fa quando sono andato a vedere Tosca all'Opéra Bastille anche lì ridevano (e non molto silenziosamente) per la frase "Ma falle gli occhi neri". Questa seconda forse è più grave; perchè per ridere e bisbigliare a questa frase significa che non l'avevano mai sentita!
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Re: Demofoonte (Jommelli) - Muti

Messaggioda Rodrigo » mar 23 giu 2009, 14:10

beckmesser ha scritto:Ho molto ammirato Muti e credo che potrebbe dare ancora molto (Verdi, il grandopéra francese), ma in questo repertorio dà la penosa sensazione del soldato giapponese che non si è accorto che la guerra è finita: un sopravvissuto. Non si possono ignorare (e anzi ostentare di ignorare) le conquiste della moderna prassi filologica. Tanto per dire: Abbado è rimasto Abbado, ma nei suoi ultimi Pergolesi, Mozart e Beethoven (comunque li si giudichi) dimostra di aver riflettuto su quanto sta avvenendo. Muti no, sembra anzi aver accentuato la sua ottica di retroguardia: archi sontuosi, bel suono sempre ostentato e soprattutto la tragica convinzione che tutto si limiti a “bella musica”, e pazienza per il teatro. È questo che i parigini fischiavano (scioccamente, aggiungo: si fischiano i difetti, non l’impostazione).


Non conosco lo spettacolo in questione, ma mi hanno colpito le osservazioni svolte circa l'approccio generale tra Muti e l'opera settecentesca. Non condivido del tutto l'accusa di passatismo nel repertorio in questione. E' un appunto che mi pare inesatto da un punto di vista musicale in senso stretto. Personalmente ritengo che i risultati ottenuti in Paisiello (la Nina con la Antonacci :!: :!: :!: ) e la scuola napoletana, Spontini, Cherubini e nel Rossini serio siano tutt'altro che riducibili alla caricatura di un direttore polverosamente ancorato al passato. A parte ci sarebbe il rapporto con l'operismo di Mozart, ma il discorso diventerebbe molto complesso.
Che poi l'esegesi proposta possa piacere o meno è un fatto di gusto, siamo d'accordo.

Il problema è che viene ad essere deficitaria - per così dire - la drammaturgia che Muti sembra sottintendere a queste operazioni. Di fatto è una NON DRAMMATURGIA. L'opera seria negli spettacoli mutiani sembra schiacciarsi in un malinteso clima oratoriale che di marmoreo assume purtroppo l'aspetto deteriore dell'immobilismo cimiteriale. In questo senso, ahilui, trovo perfettamente coerente l'affidarsi ad un regista tremendamente statico (un NON REGISTA :mrgreen:) come P.L. Pizzi. Sotto questo aspetto sono condivisibili i rilievi di "passatismo", tanto più che l'immobilismo mutiano si è via via accentuato con il passare degli anni proprio in concomitanza con le innovazioni introdotte in Europa.
Non a caso, almeno a mio modo di vedere, Muti monta in cattedra nel repertorio sacro dove non si pone il problema di gestire drammaturgicamente le partiture. Anzi, in certi casi, (penso a Cherubini, Fux, Durante) la fissità "inumana" da catafalco stile impero può essere una soluzione fascinosa. In fondo Cherubini reazionario lo era per davvero! :D :D :D
Ultima modifica di Rodrigo il mar 23 giu 2009, 21:26, modificato 1 volta in totale.
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Re: Demofoonte (Jommelli) - Muti

Messaggioda beckmesser » mar 23 giu 2009, 14:46

giovanni ha scritto:Beckmesser, dato che eri presente alla stessa recita, cosa ne dici delle continue risate del pubblico durante il terzo atto (insomma quando si scoprono gli strani legami di parentela tra i vari protagonisti). A me a dire il vero hanno un pò irritato.


Dico che in effetti erano irritanti, ma in fondo in fondo anche comprensibili (io, lo confesso, un po' ridevo dentro…). E, ancora una volta, per la solita ragione: se si allestisce un lavoro teatrale, occorre che un minimo di attenzione agli aspetti teatrali venga posto. Già Metastasio ci ha messo del suo, snocciolando in una decina di minuti una serie di agnizioni degne di Beautiful (nessuno è figlio di chi pensava di essere ma alla fine, guarda un po’, i nuovi rapporti di parentela tornano a vantaggio di tutti); Jommelli ci ha aggiunto una sfilza di recitativi secchi uno più anonimo dell’altro e tutti anonimissimamente compitati da un gruppo di cantanti tutti fermi immobili; Lievi ha messo la ciliegina sulla torta facendo sì che il povero Timante (che ha appena scoperto che sua moglie è sua sorella e che, pertanto, il loro figlio è frutto di un incesto: poi si scoprirà che ovviamente non è così) esprima la sua disperazione, il suo orrore, la sua ripugnanza… gettandosi bocconi su un materasso e picchiando i pugni, il tutto ovviamente nell’indifferenza di tutti gli altri, che non hanno abbozzato nemmeno un tentativo di reazione… Beh, ammetto che mi è stato difficile restare serio, specie se con la mente riandavo a come i vari Carsen, Pelly o Audi negli ultimi anni hanno fatto resuscitare il teatro (ancora una volta: il teatro, non solo la musica) di Rameau…

Aggiungo una nota: durante il primo intervallo mi sono trasferito in un posto vuoto in primissima fila di platea, praticamente di fianco a Muti, e ovviamente spesso lo osservavo. Era istruttivo (e anche un filo triste…) osservare come reagiva alle contestazioni e alle risatine: era evidente che non capiva cosa stava succedendo, che non accettava che al pubblico potesse non bastare la sua sola presenza a creare l’evento e a far passar sopra ad una impostazione musicale preistorica e ad una messinscena imbarazzante. In pratica, di non essere nella Milano degli anni ’90…

Rodrigo ha scritto:Personalmente ritengo che i risultati ottenuti in Paisiello (la Nina con la Antonacci ) e la scuola napoletana, Spontini, Cherubini e nel Rossini serio siano tutt'altro che riducibili alla caricatura di un direttore polverosamente ancorato al passato. A parte ci sarebbe il rapporto con l'operismo di Mozart, ma il discorso diventerebbe molto complesso.


Infatti, ma il problema è proprio che lì è rimasto: dagli anni della Nina di Paisiello, dei primi Gluck alla Scala, del suo Mozart molta acqua è passata sotto i ponti. Gli ultimi 15 anni sono stati una rivoluzione epocale nel repertorio settecentesco, ma Muti sembra aver rifiutato tutto. Io mi ricordo la sua Ifigenia (in Tauride) alla Scala: era molto interessante e, per certi aspetti, al passo con i tempi. Quest’anno sono sceso a Roma per la sua Ifigenia (in Aulide): mi è sembrato di entrare in un museo particolarmente asfittico. Musica, solo musica e completa indifferenza a qualsiasi vita teatrale…

Rodrigo ha scritto:Non a caso, almeno a mio modo di vedere, Muti monta in cattedra nel repertorio sacro dove non si pone il problema di gestire drammaturgicamente le partiture. Anzi, in certi casi, (penso a Cherubini, Fux, Durante) la fissità "inumana" da catafalco stile impero può essere una soluzione fascinosa. In fondo Cherubini reazionario lo era per davvero!


Questo è molto interessante e giusto: è vero, i risultati migliori Muti li ha conseguiti dove la sua capacità di gestire enormi strutture architettoniche poteva emergere; nel Tell, Vestale, ecc. Non sono molto d’accordo su Cherubini, che reazionario lo era senz’altro “politicamente”, ma artisticamente (almeno nel suo periodo di composizione attiva) non direi, e infatti non metterei la Lodoiska scaligera fra le cose migliori di Muti…
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Re: Demofoonte (Jommelli) - Muti

Messaggioda MatMarazzi » mer 24 giu 2009, 1:24

Rodrigo ha scritto:Non conosco lo spettacolo in questione, ma mi hanno colpito le osservazioni svolte circa l'approccio generale tra Muti e l'opera settecentesca. Non condivido del tutto l'accusa di passatismo nel repertorio in questione. E' un appunto che mi pare inesatto da un punto di vista musicale in senso stretto. Personalmente ritengo che i risultati ottenuti in Paisiello (la Nina con la Antonacci :!: :!: :!: ) e la scuola napoletana, Spontini, Cherubini e nel Rossini serio siano tutt'altro che riducibili alla caricatura di un direttore polverosamente ancorato al passato. A parte ci sarebbe il rapporto con l'operismo di Mozart, ma il discorso diventerebbe molto complesso.
Che poi l'esegesi proposta possa piacere o meno è un fatto di gusto, siamo d'accordo.


Premesso che mi trovo abbastanza d'accordo con la replica di Beckmesser, vorrei aggiungere, Rodrigo, che in un discorso sul Settecento (a cui attiene il Demofonte, Jommelli, l'opera seria, l'universo metastasiano di cui stiamo parlando) non è proprio corretto far confluire Spontini, Cherubini e il Rossini Serio, e non solo per ragioni storiche, ma anche perché a questi autori e alla loro epoca ben raramente si sono dedicati i moderni esegeti del "Barocco filologico".
In Spontini, Cherubini e Rossini Muti (l'ottocentisca incallito) non solo può mettere in campo una maggiore affinità elettiva (anche se ci sarebbe da discutere pure su questo punto), ma soprattutto non ha da combattere con scuole di interpreti rivoluzionari sul piano tecnico quanto su quello ideale (come invece gli capita ogni volta che tente di romanticizzare il settecento italiano, francese e viennese, al modo di quei vecchi maestri onnipotenti e divi di cinquant'anni fa che egli vorrebbe disperatamente emulare).
Oggi la sua ostinazione a proporre per il settecento moduli espressivi, organici orchestrali, diapason, strumenti che - ormai è noto - appartengono a repertori posteriori, rappresenta già di per se stessa una sfida, orgogliosa e sfacciata.
Per carità... Io non biasimo pregiudizialmente chi non segue la corrente, chi sfida i tempi coltivando la reazione, purché la sua personalità sia tale da persuaderci delle sue ragioni e i prodotti che ci sottopone siano obbiettivamente "eventi" teatral-musicali. Non è questo il caso di Muti, che senso teatrale e narrativo lo avrebbe (magari un po' semplice e ruspante, ma c'è), ma che soccombe all'autoreferenzialità miope e "falstaffiana" di un vecchio monarca che proprio non capisce, non si rende conto del perché oggi i re non comandano più... non vuole nemmeno interrogarsi sulle ragioni che hanno condotto al parlamentarismo e alla democrazia.

Tutto questo in Mozart, Gluck, ecc...
Se poi volessimo approfondire il discorso di Spontini e Cherubini e Rossini in versione Muti, il grande credito di cui ancora godono, ti confesso che ho molti dubbi che potessero reggere di fronte a una reale concorrenza. Faccio una facile profezia: il giorno - attesissimo, almeno da me - in cui Gardiner o Minkowski scenderanno in campo con Vestale, Agnese di Hohenstaufen, Gli Abenceraggi, Medea, tutti noi dovremo adattarci a ridimensionare pesantemente l'eredità opulenta e napoleonica dell'approccio mutiano, anche in questi autori.

Questo almeno a mio modo di vedere.
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Re: Demofoonte (Jommelli) - Muti

Messaggioda Ninci » sab 27 giu 2009, 17:28

Francamente, gli interventi che mi hanno preceduto un po' mi hanno stupito. Non sapevo davvero che Muti fosse così poco amato a Parigi. Io ho assistito a molti concerti diretti da lui nella "Ville Lumière"; sempre si sono conclusi con successi di grande rilievo, quasi imbarazzanti a causa della loro intensità per me che non amo i fanatismi e che detesto qualunque forma di loggionismo. Ho anche saputo di una "Journée Riccardo Muti" alla Radio Francese, durante la quale sono state trasmesse esclusivamente sue registrazioni per molte ore. In verità, il "Demofoonte" è un'opera di grande importanza storica e vederla liquidata con delle battutine non è uno spettacolo molto edificante; è un comportamento tanto facile quanto superficiale sia in chi rideva a Parigi che negli interventi precedenti, non proprio di profondità abissale nelle proposte estetiche e nella considerazione storica. Io invece trovo addirittura commovente questa ostinazione nel proporre opere che chiaramente non hanno alcuna possibilità di rientrare in repertorio; e nel proporle secondo canoni che io non penso affatto invecchiati. E poi, che cos'è l'invecchiamento oppure il nuovo nella storia dell'interpretazione? Possono aprirsi prospettive diverse; e di fatto questo ovviamente accade. Ma la prospettiva nuova non cancella le precedenti; tant'è che la Matthaeus-Passion di Bach diretta da Klemperer o da Karajan non scompare davvero davanti ad Harnoncourt o a qualche altro esponente, magari molto meno talentoso, dell'Auffuehrungpraxis. C'è lo splendido Beethoven di Abbado, un cristallo ispirato da una limpidezza degna di un quartetto d'archi, memore della prassi degli strumenti originali. Ma non meno splendido è il Beethoven di Thielemann, ispirato a Furtwaengler, certo, ma ad un Furtwaengler appartenente all'oggi. Di conseguenza, a un Furtwaengler che è un ricordo del suo modello storico, secondo una linea che ha una sua attualità assoluta. Perché non si può essere continui senza essere anche distanti. Le interprertazioni veramente grandi non invecchiano mai; sono cose ovvie, ma stupisce sempre doverle ripetere. Così, altrettanto ovviamente, è il Gluck di Muti, diverso da Minkowsky ma sempre splendido, di una drammaticità niente affatto marmorea ma, al tempo stesso, priva di ogni schiavitù a quello stucchevole squilibrio agogico e dinamico (privo di mediazioni fra il lento e il veloce, il forte e il piano) in cui tanti interpreti di oggi sembrano identificare il concetto di dramma. Quando poi leggo che Cherubini sarebbe un compositore reazionario, mi viene da pensare: ma cosa mai avrà sentito chi scrive cose del genere? Non sa che compositori che non erano proprio dei reazionarucoli da quattro soldi come Beethoven, Schumann e Brahms lo tenevano in altissima considerazione come un autentico innovatore? Che Brahms si fece addirittura seppellire con la partitura della "Medea", che teneva per "la cosa suprema nel genere della musica drammatica"? Il fatto è che la storia non procede per linee dritte, per superamenti successivi. E' fatta invece di tortuosità, di ritorni, di avanzamenti che in realtà sono arretramenti, di ritorni che aggiungono al contrario qualcosa di nuovo. Applicare la categoria dell'invecchiamento alle questioni estetiche non è né giusto né sbagliato; è semplicemente privo di senso.
Marco Ninci
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Re: Demofoonte (Jommelli) - Muti

Messaggioda Rodrigo » sab 27 giu 2009, 18:41

Ninci ha scritto:Quando poi leggo che Cherubini sarebbe un compositore reazionario, mi viene da pensare: ma cosa mai avrà sentito chi scrive cose del genere? Non sa che compositori che non erano proprio dei reazionarucoli da quattro soldi come Beethoven, Schumann e Brahms lo tenevano in altissima considerazione come un autentico innovatore? Che Brahms si fece addirittura seppellire con la partitura della "Medea", che teneva per "la cosa suprema nel genere della musica drammatica"?
Marco Ninci


Quando ho dato del "reazionario" a Cherubini l'ho fatto, per così dire, tra il serio e il faceto, mi pare ovvio. Inoltre, tengo a precisarlo, alludevo all'uomo Cherubini perfettamente a suo agio (sino a diventarne uno dei feticci) nella Francia della Restaurazione. Il musicista Cherubini è stato tutt'altro che un retrivo; anzi lo spessore sinfonico delle sue opere era talmente avanzato da sconcertare gli ascoltatori. Se conosci la storica monografia di Confalonieri questa duplice veste del compositore fiorentino emerge con grande finezza. Spero di avere chiarito l'equivoco.

Aggiungo che quanto scrivi in merito al valore che conservano ancora oggi certe esecuzioni storiche di Bach, Beethoven ecc. mi trova in linea di principio completamente d'accordo. Non credo che per amare il nuovo occorra per forza di cose calunniare il vecchio, e viceversa naturalmente.
Saluti
Ultima modifica di Rodrigo il sab 27 giu 2009, 18:54, modificato 1 volta in totale.
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Re: Demofoonte (Jommelli) - Muti

Messaggioda MatMarazzi » sab 27 giu 2009, 18:53

Caro Ninci,
intanto benvenuto nel nostro forum.

L'argomento Muti continua ad accalorare :) ; ciò prova che (nel bene come nel male) è una grande personalità.
E tuttavia, Ninci, ti vorrei chiedere, se possibile, quando contesti affermazioni che non condividi, di limitare le tue critiche alle ...osservazioni stesse, senza estenderle a chi le ha espresse.
Quindi io eviterei di accusare di "superficialità" i tuoi interlocutori (che, puoi credermi, non lo sono affatto) e soprattutto di scrivere cose come:

Ninci ha scritto:Quando poi leggo che Cherubini sarebbe un compositore reazionario, mi viene da pensare: ma cosa mai avrà sentito chi scrive cose del genere? Non sa che compositori che non erano proprio dei reazionarucoli da quattro soldi come Beethoven, Schumann e Brahms lo tenevano in altissima considerazione come un autentico innovatore?


A parte il fatto che la parola "reazionario" non è un insulto (in certi casi lo è molto di più, almeno per me, la parola "rivoluzionario"), forse sei proprio tu ad aver letto superficialmente ciò che Rodrigo e Beckmesser hanno scritto, ossia esattamente il contrario di quel che hai inteso.
Reazionario in senso politico, ma non artistico.

Non ha senso, quindi, replicare che Cherubini era un grande innovatore come musicista, perché è esattamente ciò che hanno affermato loro.
Per inciso non vedo come il fatto che Beethoven o Schumann tenessero in considerazione Cherubini come compositore possa contraddire l'affermazione di Beckmesser. Si può essere reazionari nelle idee e innovatori nell'espressione. Ben più di Cherubini, si potrebbe citare Rossini, vero e dichiarato reazionario, codino della più bell'acqua, e nonostante questo amato da Beethoven (!)... nonché grandissimo innovatore della musica.

il "Demofoonte" è un'opera di grande importanza storica e vederla liquidata con delle battutine non è uno spettacolo molto edificante;


In questione non è l'importanza del Demofoonte. In questione è il modo in cui è stata presentata a Parigi.
I "buuu" parigini se li è presi Muti, non Cherubini.

Veniamo alla questione dell'invecchiamento.

E poi, che cos'è l'invecchiamento oppure il nuovo nella storia dell'interpretazione? Possono aprirsi prospettive diverse; e di fatto questo ovviamente accade. Ma la prospettiva nuova non cancella le precedenti;

Il fatto è che la storia non procede per linee dritte, per superamenti successivi. E' fatta invece di tortuosità, di ritorni, di avanzamenti che in realtà sono arretramenti, di ritorni che aggiungono al contrario qualcosa di nuovo. Applicare la categoria dell'invecchiamento alle questioni estetiche non è né giusto né sbagliato; è semplicemente privo di senso.


Questo è un tuo punto di vista, che ovviamente rispetto.
Io la vedo in modo un po' diverso.
Anzitutto non credo nell'arte "eterna".
L'arte è per me una forma di comunicazione: da una parte c'è l'oggetto artistico, fatto di segni, dall'altra l'insieme dei fruitori, che danno a quei segni un significato. Mentre l'oggetto resta (più o meno) uguale nel tempo, il "destinatario" (ossia i fruitori) è dinamico e cambia nel tempo.
Cambiando i fruitori, cambiano i significati che essi attribuiscono a uno stesso segno.
Un accordo, una modulazione, un effetto sonoro e accidente musicale può suscitare negli ascoltatori di oggi reazioni totalmente diverse da quelle che suscitava ai tempi in cui era stato pensato.
E' normale ed è giusto che sia così.

L'artista di oggi (come quello di ieri) sa benissimo quali emozioni produrrà la sua arte nel pubblico a lui coevo (perchè ne condivide l'universo di segni e di valori), mentre non può nemmeno immaginare le reazioni che produrrà negli ascoltatori di cento o mille anni dopo.
Come cambiano i segni, così cambiano anche i contenuti.
Ogni messaggio contenuto in un oggetto artistico viene ricreato e ripensato a seconda dell'epoca che ne fruisce.
Don Giovanni non potrà dire le stesse cose al pubblico del 700, dell'800, del 900 e del 2000. Dirà cose diverse.
Il bello del cammino delle opere attraverso i tempi (e questo vale sia per la Pietà di Michelangelo, sia per il Decamerone, sia per Il Settimo Sigillo) è che le epoche nel loro avvicendarsi le interpretano e le elaborano diversamente. L'infinita polisemia dell'arte ha questo fondamento.

Questo vuol dire che non "invecchia" l'opera d'arte; ma il complesso di segni e di significati che costituiscono la comunicazione sì! Quello invecchia.
CAruso è un gigante, lo era ai suoi anni ed è nella storia.
Ma i suoi singhiozzi (che all'epoca erano uno strumento forte, innovativo, struggente) oggi fanno ridere.
I tenori che oggi imitano Caruso, recitano con la mano sul cuore, ecc... allontanano il pubblico dell'opera, lo scandalizzano.
Questo non ci autorizza a dire, ovviamente, che Caruso è "invecchiato", ma quell'insieme di segni che rappresentavano il suo modo di comunicare sì.

Muti utilizza un linguaggio che ai tempi di Furtwangler era lecitissimo associare alla musica settecentesca.
Oggi però si usa un'altro linguaggio per la musica del 700, un linguaggio (alla Minkowski) che probabilmente a te non piace (e ne sei padronissimo) ma che piace, in compenso, a una vastissima quantità di fruitori, che vi si riconosce.
Forse perché quel linguaggio interagisce con la nostra epoca più di quanto non faccia l'approccio di Muti.

Salutoni e ancora benvenuto,
Matteo Marazzi
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Re: Demofoonte (Jommelli) - Muti

Messaggioda Tucidide » sab 27 giu 2009, 19:13

Innanzitutto, do anch'io il benvenuto a Ninci. :D
Venendo alla replica di Matteo, devo dire che concordo in linea di massima con la sua visione estetica dell'arte e della necessità che essa si rapporti al mutare del pubblico.
Tuttavia, sul rapporto Muti-Settecento, mi piacerebbe che si approfondisse un po' il discorso.
Beckmesser prima, Matteo poi hanno detto in sostanza che allo stato attuale il Settecento diretto da Muti è "vecchio", in quanto superato dalle moderne ricerche e sperimentazioni esecutive degli specialisti.
beckmesser ha scritto:dagli anni della Nina di Paisiello, dei primi Gluck alla Scala, del suo Mozart molta acqua è passata sotto i ponti. Gli ultimi 15 anni sono stati una rivoluzione epocale nel repertorio settecentesco, ma Muti sembra aver rifiutato tutto. Io mi ricordo la sua Ifigenia (in Tauride) alla Scala: era molto interessante e, per certi aspetti, al passo con i tempi. Quest’anno sono sceso a Roma per la sua Ifigenia (in Aulide): mi è sembrato di entrare in un museo particolarmente asfittico. Musica, solo musica e completa indifferenza a qualsiasi vita teatrale…

MatMarazzi ha scritto:Muti utilizza un linguaggio che ai tempi di Furtwangler era lecitissimo associare alla musica settecentesca.
Oggi però si usa un'altro linguaggio per la musica del 700, un linguaggio (alla Minkowski) che probabilmente a te non piace (e ne sei padronissimo) ma che piace, in compenso, a una vastissima quantità di fruitori, che vi si riconosce.
Forse perché quel linguaggio interagisce con la nostra epoca più di quanto non faccia l'approccio di Muti.

Io credo che si debba fare un po' di distinzione. Il Settecento è un secolo molto ricco di fermenti ed assai diversificato in senso sia sincronico sia diacronico. Secondo me, non è detto che allo stato attuale ci sia un solo modo à la page di affrontare ed eseguire tutto il repertorio del Settecento, proprio perché estremamente variegato. Premesso che non ho mai sentito dal vivo Muti in compositori del XVIII secolo (questo Demofoonte sarà la mia prima volta), mi pare, stando alle registrazioni, che il suono che egli adotta sia sensibilmente diverso da quello usato per l'Ottocento. E' un suono molto terso, nitido, asciutto, in cui si sente la sua mano, ma che è ben distinto da quello che ottiene quando dirige Verdi.
Ora, se è vero che un Handel diretto così, oggi come oggi non lo potrei proprio sentire (anche se mi rendo conto che sia una posizione di pregiudizio), per Cimarosa, Paisiello ed in generale per i compositori italiani, specialmente quelli napoletani, ritengo che il suono di Muti sia appropriato. O meglio: per me risulta convincente.
Il mondo dei melomani è talmente contorto che nemmeno Krafft-Ebing sarebbe riuscito a capirci qualcosa...
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Re: Demofoonte (Jommelli) - Muti

Messaggioda MatMarazzi » dom 28 giu 2009, 7:04

Tucidide ha scritto:Il Settecento è un secolo molto ricco di fermenti ed assai diversificato in senso sia sincronico sia diacronico. Secondo me, non è detto che allo stato attuale ci sia un solo modo à la page di affrontare ed eseguire tutto il repertorio del Settecento, proprio perché estremamente variegato.


NOn ho mai sentito Muti, nè dal vivo nè in disco, in Pergolesi e Paisiello.
Quando parlo del suo approccio al 700 mi riferisco dunque a Mozart (solo dal vivo l'ho sentito in Idomeneo, Don Giovanni, Nozze di Figaro) e a Gluck (dal vivo in Alceste, Ifigenia in Tauride, in Aulide - tutte alla Scala - e Orfeo - a Firenze).
Il suo Gluck proprio non mi piace: mi pare assolutamente privo di un pensiero; non vi riscontro altra logica che quella di far trionfare un gusto di linea canoviana, che soddisfa in termini di piacevolezza sonora ma stanca terribilmente in termini drammatici.
Uno va a teatro, si gongola con affermazioni del tipo "ma quanto è bello" e un mese dopo ha dimenticato tutto.
Ho scoperto davvero le potenzialità drammaturgiche di Gluck quando ho sentito GArdiner; l'acquisto della sua Ifigenia in Aulide mi ha aperto un mondo.
E non è solo questione di sonorità, strumenti originali, definizione di uno stile appropriato (o meglio, non direttamente): è il punto di vista che vi è dietro a svelare un Gluck che non immaginavo esistesse.
Inquietudine, contraddizione, instabilità.
Lo stesso finale dell'Aulide, nell'edizione Gardiner, mi apriva spaccati terribili e minacciosi, che rovesciano le rassicuranti euritmie di una chiusa tradizionale.
Muti al contrario era talmente ossessionato dal romanticizzare l'opera,dal farne un affresco serioso e sontuoso che andò persino a ripescare quell'assurdo pastrocchio della revisione Wagneriana.
Potrei fare lo stesso discorso per il Mozart serio e quello del Flauto Magico: paludamenti grevi, seriosità maestrale, pompa orgogliosamente romantica, funzionale non già ai personaggi o alla narrazione, ma a celebrare il mito di Mozart (senti che bella musica che scriveva) e di sè stesso (e senti come la dirigo io). Raramente mi sono tanto annoiato a teatro come all'Idomeneo di Muti.

Il discorso è un po' diverso, per il Mozart comico: anche in questo caso, Muti non mi esalta. Vi trovo un fondo di bigotteria, di sensualità facile (da cartolina mediterranea), di scarso umorismo se non per le gaglioffate alla napoletana dei Don Alfonso e delle Despine.
Però ammetto che qui viene fuori anche un disegno interpretativo. Contestabile? Superato? Può darsi, ma pur sempre presente.
Proprio ciò che mi mancava nel Così e nelle Nozze di Abbado: un'affermazione di personalità.
Con Muti la trilogia dapontiana aveva un senso, un punto di vista, forse involontario, non preventivato, ma c'era.
Non era (come nell'Idomeneo e nell'Alceste) un'esibizione esteriore di "come s'ha da fare"!
Il problema, semmai, è che il Mozart comico è stato potentemente attratto - negli ultimi trent'anni - verso una comunicazione con la contemporaneità che rappresenta un caso unico e sbalorditivo nella storia dell'Opera. Gli attuali interpreti hanno scovato tali e tante affinità tra la musica di Mozart, il testo di Da Ponte, e i miti dell'oggi, il movimento stesso, il respiro del dialogo, il sottinteso, la spregiudicatezza, la sessualità, la velocità, persino la frivolezza volubile e superficiale della Computer Generation... che Muti con la sua Napoletanità, solarità, seriosità rischia di apparire michelangiolesco.
Naturalmente le qualità del concertatore e del musicista sono in tutti i casi indiscutibili.

Forse le sue caratteristiche andrebbero semplicemente indirizzate verso un altro repertorio: se invece di Demofonte gli avessero chiesto la Fedra di Pizzetti (magari con la sua amica Meier nelle vesti della protagonista) forse nessuno a Parigi avrebbe ridacchiato.

Così almeno la vedo io.

Salutoni,
Mat
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