Lingua originale?

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Lingua originale?

Messaggioda MatMarazzi » gio 07 giu 2007, 10:49

dottorcajus ha scritto:Penso di potermi sbilanciare (non l'ho studiato in maniera approfondita) ma credo che solo in Germania e Gran Bretagna e di conseguenza negli Usa, si sviluppò l'abitudine di cantare le opere italiane nelle loro lingue.


Prendo spunto da una frase di Roberto in altro thread, per lanciare questo nuovo ambito di discussione.
La lingua originale.
Oggi siamo d’accordo tutti che le opere vanno fatte nella lingua in cui furono scritte. Ma - e questa è la domanda - si tratta di una NECESSITA’ o semplicemente (come sono propenso a credere io) di una convenzione come un’altra, giustificata o giustificabile oggi, per i nostri criteri esecutivi ma non necessitante in assoluto.
Penso già di sapere cosa ne penserà Vittorio! :D
Ma sono ansioso di conoscere l’opinione di tutti in merito.

A Roberto vorrei per altro dire che non credo che i tedeschi siano stati fra i primi ad accogliere la prassi della lingua originale: anzi, a me pare che siano stati fra gli ultimi, peggio di noi e dei francesi.
Proprio come italiani e francesi, erano talmente fieri (nazionalisticamente) del loro repertorio da non ammettere rappresentazioni d’opera se non in lingua tedesca.
Roswange, che fu uno dei più grandi verdiani di tutti i tempi, ammetteva di aver cantato in italiano solo una cosa in tutta la sua carriera: “di rigori armato il seno” del Rosenkavalier.
Negli anni 1970-80 era ancora normale, a Francoforte, ad Amburgo, persino a Berlino sentire Tosca o Giulio Cesare in tedesco.
Anche gli scandinavi, in patria, erano soliti tradurre nel loro idioma le opere.
Credo che i primi pubblici abituati a sentir cantare in tutte le lingue – anche nella stessa opera - furono quelli nord-americani e inglesi (e mi pare anche russi, prima della rivoluzione ovviamente). Ma non per questioni di “filologia”, quanto per l’abitudine di raccogliere sui loro palcoscenici i migliori artisti del mondo, ognuno nella sua lingua.

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Messaggioda dottorcajus » gio 07 giu 2007, 16:38

Leggendoti mi sono accorto di aver fatto un grossolano errore linguistico. Infatti non intendevo lingua originale come lingua del libretto ma come lingua madre. Quindi sono perfettamente d'accordo con te. Negli Stati Uniti c'era la Aborn Opera Company che organizzava stagioni liriche itineranti con tutte le opere cantate in lingua inglese. Spesso scritturava artisti italiani in quanto i medesimi erano in grado di cantare in inglese ma poteva anche scritturarli segnalando che il cantante avrebbe cantato nella sua lingua madre anche se si fosse esibito ad esempio in Carmen. Devo sottolineare come questa presenza di cantanti italiani che cantavano in madre lingua non era riportata sulla stampa con toni di disapprovazione ma con enfasi ed eccitata attesa. Senza voler fare del nazionalismo direi che per il 90% del pubblico mondiale l'italiano era la lingua della lirica ed era sicuramente la più diffusa anche perchè le compagnie italiane era quelle che più viaggiavano (pensate ho rintracciato una compagnia che percorse l'Africa fino al Sudafrica).
Certo è che, nella media dei teatri e dei pubblici mondiali, l'opera cantata in italiano era di gran lunga la preferita. L'orgoglio linguistico fece sì che la presenza degli italiani non fosse massiccia anche in Francia e Germania. Comunque forse solo la Francia si chiuse quasi completamente alla presenza delle compagnie italiane autonome che frequentarono esclusivamente i teatri della Costa Azzurra con l'esclusione di Montecarlo ma in maniera frammentaria.
La Germania ospitò spesso delle compagnie italiane in tour mentre Austria e Finlandia venivano regolarmente visitate dalla compagnia Castellano, che partendo dalla Polonia percorreva l'Europa fino alla Bulgaria per poi risalire fino alla Russia ed alla Finlandia.
Danimarca, Svezia e Norvegia hanno avuto la presenza di cantanti italiani ma non credo che siano state mai raggiunte da compagnie interamente organizzate in Italia.

Ritornando all'interrogativo posto da Matteo trovo plausibile l'esecuzione di un opera tradotta. Personalmente credo che la lingua francese consenta traduzioni piacevoli. Per quella tedesca posso fare riferimento ad alcune romanze wagneriane che sono altrettanto belle in italiano mentre il Flauto Magico ascoltato nella nostra lingua è orribile. In linea di massima non sono contrario alla traduzione purchè la lingua in cui si traduce mantenga lo stesso rapporto con la musica che ha la lingua originale.
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Messaggioda MatMarazzi » ven 08 giu 2007, 12:50

dottorcajus ha scritto:Senza voler fare del nazionalismo direi che per il 90% del pubblico mondiale l'italiano era la lingua della lirica ed era sicuramente la più diffusa anche perchè le compagnie italiane era quelle che più viaggiavano (pensate ho rintracciato una compagnia che percorse l'Africa fino al Sudafrica).
Certo è che, nella media dei teatri e dei pubblici mondiali, l'opera cantata in italiano era di gran lunga la preferita. L'orgoglio linguistico fece sì che la presenza degli italiani non fosse massiccia anche in Francia e Germania.


Prendiamo il caso del Met.
Le prime stagioni, ultimi vent'anni dell'800, furono letteralmente dominate dai tedeschi.
Fu quella l'epoca in cui Lili Lehman regnava: è difficile pensare - conoscendo il tipo - che abbia cantato il Trovatore e la Carmen (la prima Carmen americana) in altra lingua che il tedesco.
Quando arrivò Toscanini al Met vi trovò, come nume locale, Gustav Mahler, direttore quasi ufficiale del Met: è difficile credere che il repertorio tedesco lo facessero in Italiano.
Prendi il caso di Wagner: in Italia si faceva in Italiano (e probabilmente anche nei teatri o teatrini sparsi per il mondo che dipendevano dalle compagnie italiane e di cui tu ci hai parlato). Ma al Met si faceva rigorosamente in tedesco. Persino un polacco che parlava francese come de Reszke cantava Wagner in tedesco (lo provano i Mapleson).
Quello che voglio dire è che la supremazia della lingua italiana (il 90% di cui parli e che non intendo affatto mettere in dubbio) non pare riflettersi anche nei teatri più raffinati ed importanti, dove gli italiani parevano sì stimati, apprezzati, riconosciuti, ma non più dei divi di tutto il mondo.
Gente come la Calvé, come la Albani, come la Nordica, come la Melba, come McCormack, come la Destinn, o la Homer erano miti grandi come colossi, non isolati casi. Se ben ricordo, Alma Gluck fu la prima cantante che, in fatto di vendite discografiche, superò il milione di copie.
E possiamo proseguire giù giù fino alla Bori, a Melchior, la Ponselle, la Jeritza, Tauber, la Lubin, la Schumann e altri che testimoniano una gloria e un prestigio internazionale a cui ben pochi italiani ebbero accesso.

Devi capirmi bene: io non intendo sottovalutare la popolarità e l'importanza della scuola italiana (che, grazie anche al potente fenomeno dell'emigrazione, godeva sicuramente di tanti sostenitori).
Vorrei solo ridimensionarla di fronte al dato che altre scuole (in particolare quella tedesca) ebbero storicamente lo stesso peso, o forse maggiore, specialmente se circoscriviamo il campo ai teatri che contavano davvero, quelli in grado di dare la gloria e di alimentare le collane "celebrità" delle case discografiche.

In questo senso il discorso della lingua è un buon esempio.
Prendiamo proprio la Jenufa di Janacek, opera di cui recentemente abbiamo molto parlato.
Come si sa, l'opera è nata in lingua ceca.
Qual'è la lingua in cui si è diffusa per il mondo e specialmente in america?
Il ceco originale? no.
l'inglese, visto che era la lingua degli abitanti? no
l'italiano, visto che - a quel che dici - il 90% degli appassionati del mondo la consideravano lingua opersitica per eccellenza? no.

La prima al Met (1924) fu in tedesco, con la Jeritza e la Matzenauer.
la prima a Buenos Aires (1950) fu in tedesco, con la Lemntiz e la Klose.
E per decenni e decenni (ancora oggi alla Staatsoper di Vienna) la traduzione tedesca di Max Brod ha surclassato ogni altra versione dell'opera, compresa quella originale (per non parlare di quella italiana, malinconicamente confinata alla penisola, nonostante interpreti come la Cigna, la Pederzini, la Olivero).

dottorcajus ha scritto:In linea di massima non sono contrario alla traduzione purchè la lingua in cui si traduce mantenga lo stesso rapporto con la musica che ha la lingua originale.


Hai ragione, ma io preferisco pensare che le convenzioni (quella di tradurre un testo o quello di farlo in lingua originale) siano tutte giuste a seconda del momento storico e del contesto a cui sono applicate.
Oggi che siamo tutti un po' poliglotti, che possediamo le edizioni discografiche su cui preparci all'ascolto, che è diffusa la prassi della titolazione a teatro, trovo che la lingua originale vada benissimo.

Quello che però interessa a me è che un cantante canti in una lingua che domina bene: la Borkh (grande declamatrice) è irriconoscibile quando canta in Italiano, rispetto ai veri e propri miracoli che compie quando canta in tedesco. Nel suo caso, nonostante la traduzione, preferisco mille volte sentirla in versioni tedesche anche di opere italiane.
Quando invece la Callas (greco-americana) o la Gencer (turca-polacca) cantano in italiano, danno lezioni a quasi tutte le colleghe madrelingua.
Fischer Dieskau, quando canta in italiano o in francese, è un esempio estremo: non conosce le lingue e si sente, ma vuole essere "espressivo" lo stesso, finendo per cadere spesso in soluzioni grottesche, nelle quali non cade quando canta in tedesco.

NOn mi sognerei mai, per concludere, di fare ciò che fa il nostro amico Vittorio: di escludere dai miei ascolti interpretazioni colossali e insuperate (la Marina della Moedl, la Kundry della Callas, la Kostelnicka della Varnay, il Radames di Von Pataky, la Leonora della Leider) perché non sono nella lingua originale.

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Messaggioda dottorcajus » ven 08 giu 2007, 15:19

Anche se potrebbe sembrare il nostro non è uno scontro ideologico sulla difesa dell'italianità. In realtà niente di quello che scrivi è da contestare ma credo che noi ci muoviamo in due campi diversi e la mia disamina si rivolge ad un periodo circoscritto in cui avvennero, a mio parere, grandi cambiamenti nel modo di produrre e percepire l'opera lirica. Quello dei grandi teatri, Met in testa, era un mondo relativamente piccolo e circoscritto anche se di grandissimo spessore culturale ed artistico. In questi teatri cantarono i big che fecero la storia della lirica e la gloria artistica dell'industria discografica. Ma la medesima, in termini percentuali, fu retta sin dall'inizio dai peones che incisero molti più dischi dei big. Le case discografiche, dopo il riordino definitivo del mercato, che avvenne definitivamente con l'avvento della incisione elettrica, mantennero sempre in catalogo diversi listini di prezzo continuando a far incidere dischi ai cantanti meno conosciuti e di conseguenza meno costosi.
Credo che come il Met si muovesse anche il Covent Garden grazie alla comune matrice culturale mentre maggior chiusura verso gli artisti stranieri ci fu in Francia e Germania. Certamente in questi grandi teatri, proprio per il carattere cosmopolita delle città che gli ospitavano, si prestò moltissima attenzione all'esecuzione delle opere in lingua originale ma i medesimi furono per molti anni isole felici in un mare che si muoveva in senso inverso. In questo senso ci fu la larga diffusione della lingua italiana. Non conosco bene il sistema organizzativo di Francia, Gran Bretagna, Germania e se le prime due adottassero il sistema tedesco, certo è che tutte, come pure gli Usa, avevano strutture organizzative autonome da quella italiana e quindi avevano la propria rete di agenzie teatrali. Ma come già scritto il resto del mondo, anche quei paesi che non erano raggiunti dalla emigrazione, si reggeva sull'organizzazione teatrale italiana e di conseguenza ne accettava gli usi, compreso quello della lingua italiana. Questo determinò anche la capillare diffusione degli insegnanti di canto italiani e l'Italia fu il luogo dove anche molti artisti stranieri, conclusa la carriera, decisero di insegnare. Questo fu il mondo in cui si mosse la lirica fino almeno alla Grande Guerra. Quest'ultima, la Rivoluzione Russa contribuirono ad aprire una nuova strada che la lirica intraprese per effettuare grandi cambiamenti compreso l'uso sempre più diffuso della lingua originale nell'esecuzioni operistiche, uso che si protasse ancora per molti anni in Italia. Un discorso a parte merita l'evoluzione del disco che continuò a mantenere due binari, quello commerciale che prevedeva la presenza in catalogo di tanti peones e quello artistico che invece vedeva attivi i grandi.
Per concludere si può riassumere tutto con questa considerazione:
Francia, Germania e Gran Bretagna, ed i paesi al loro maggiormente affini per carattere culturale e linguistico, furono tre grandi scuole liriche autonome e rette da regole proprie. L'Italia fu l'unico paese che fu capace di penetrarli e fu anche il paese che, per un determinato periodo a cavallo dei due secoli scorsi, dettò le regole, gestì e diffuse la lirica nel resto del mondo che si uniformò al suo modello culturale, linquistico e ne riconobbe anche la supremazia didattica, il tutto indipendentemente dalla matrice culturale del paese ospitante.
Roberto
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Messaggioda VGobbi » ven 08 giu 2007, 19:28

MatMarazzi ha scritto:Penso già di sapere cosa ne penserà Vittorio! :D

:twisted:

MatMarazzi ha scritto:Non mi sognerei mai, per concludere, di fare ciò che fa il nostro amico Vittorio: di escludere dai miei ascolti interpretazioni colossali e insuperate (la Marina della Moedl, la Kundry della Callas, la Kostelnicka della Varnay, il Radames di Von Pataky, la Leonora della Leider) perché non sono nella lingua originale.

Concordo che a rimetterci sono io. D'altronde che ci posso fare se il mio gia' debilitato orecchio rifiuta opere che non vengano cantate in lingua originale? Continuo a ritenere, almeno per certo repertorio, la prosodia elemento imprescindibile dalla musica. L'eccezione si potrebbe eventualmente fare per la musica barocca, che per inciso manco piace.

D'altronde, perdere l'ascolto di un Hotter come Boris o di Florestan cantato da Nelepp, e chissa' quanti esempi potrei aggiungere, non fanno altro che accrescere il mio rammarico.
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Messaggioda MatMarazzi » ven 08 giu 2007, 22:09

VGobbi ha scritto: Continuo a ritenere, almeno per certo repertorio, la prosodia elemento imprescindibile dalla musica. .


Quello che tu scrivi è giusto, non è possibile non essere d'accordo.
La parola è musica a sua volta: un suono vocalico, una consonante fanno parte della scrittura musicale come tutto il resto.
E poi un compositore ha scritto certe note proprio perché sapeva che sotto ci sarebbero state certe parole... quelle parole! Non altre di significato simile.

Io tuttavia ti invito a guardare il problema da un altro punto di vista.
E di mettere l'accento non tanto sul compositore e sul testo che ha scritto, quanto sull'interprete e sul testo che sta cantanto (quale che sia).
E allora, come si diceva, meglio una brutta esecuzione in lingua originale o una bella esecuzione in traduzione?
E poi... te lo devo ricordare io che ci sono un'infinità di opere che siamo abituati a sentire in una lingua, salvo poi scoprire che all'origine era un'altra?
Quanti Don Carlos hai sentito in italiano senza scandalizzarti? Quanti Macbeth? Eppure l'edizione dle Macbeth che ascoltiamo noi non è quella italiana del 1847, ma quella francese del 1865 (ritradotta in italiano).
E la Medea?
Noi sentiamo da sempre la traduzione di una traduzione: l'originale era francese, la rielaborazione era tedesca, la versione oggi divulgata (quella della Mazzoleni, della Callas e di tutte le altre) è solo la traduzione italiana della traduzione tedesca dell'originle francese.
Eppure, forse perché non sappiamo tutto questo, ci ascoltiamo la Callas gongolandoci e senza alcuno scrupolo filologico.

Concludendo, non dico che sbagli, Vit, solo che nella vita non guasterebbe essere sempre un po' "relativisti".

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Messaggioda pbagnoli » ven 08 giu 2007, 22:13

Trovo particolarmente belle queste discussioni che arricchiscono molto il nostro forum.
Mi fa molto piacere che vengano messe in campo tematiche così approfondite: è grazie a discussioni come queste che il nostro forum può raggiungere i livelli di strutture come Opèra Data-Base, per me un modello di riferimento assoluto.
Invito tutti a mantenere questo standard, che mi sembra perfetto.

Detto questo, io sono complessivamente dell'idea che, pur riconoscendo la necessità di cantare l'opera nella lingua in cui è stata scritta, dobbiamo essere grati alle traduzioni che ci hanno permesso di godere di alcune interpretazioni fondamentali.
Ricordo a tale proposito il Wagner "italiano" di Borgatti, uno dei più grandi tenori wagneriani di tutti i tempi, ma aggiungerei il Wagner "francese" della Lawrence, cantante per cui ho sempre avuto una particolare predilezione
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Messaggioda MatMarazzi » ven 08 giu 2007, 22:24

pbagnoli ha scritto:Ricordo a tale proposito il Wagner "italiano" di Borgatti, uno dei più grandi tenori wagneriani di tutti i tempi, ma aggiungerei il Wagner "francese" della Lawrence, cantante per cui ho sempre avuto una particolare predilezione


Sottoscrivo in pieno.
e per quanto riguarda il Wagner francese, hai mai sentito l'Isolde della Lubin? Hai sentito come nella voce si rifletta l'orizzonte notturno degli occhi, o il biondo normanno dei capelli?
Sbaglio se dopo aver sentito lei non sono più capace di prendere sul serio le Flagstad, le Varnay, nemmeno le Nilsson?
Fu davvero in torto il fuehrer nel tributarle il massimo onore nella collina, benchè Parigi fosse allora occupata dai nazisti?
Storia drammatica e triste quella della Lubin: l'amore per un ruolo operistico, la totale immedesimazione in esso, causa della sua rovina.
Sarebbe come se, per ragioni politiche, noi un giorno dovessimo sputare addosso alla Silja per essere stata troppo brava nella Kostelnicka.

Sono fuori tema, come al solito.
Però in fondo quello della Lubin è un bell'esempio della questione linguistica che stiamo trattando.
Campionessa del Wagner francese, lo imparò in tedesco pur di esportarlo all'estero, a Bayreuth in particolare: proprio come - vent'anni dopo - avrebbe fatto Regine Crespin.

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Messaggioda Zarevich » dom 10 giu 2007, 12:38

Anch'io ho pensato così. Avevo voluto scrivere due parole delle lingue, ma poi ho visto che voi siete andati a mangiare la pizza coi funghi. Ho deciso di non disturbarvi. :D
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Messaggioda gianluigi » dom 10 giu 2007, 12:41

hai ragione,scusa, volevo scrivere: ciò non toglie che in wagner possa essere un grande interprete anche se in questo repertorio non l'ho ascoltato. cioè, non è un grande cantante nel repertorio romantico italo francese, ma non escludo che possa aver raggiunto dei buoni risultati in wagner.
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Messaggioda pbagnoli » dom 10 giu 2007, 13:36

Zarevich ha scritto:Anch'io ho pensato così. Avevo voluto scrivere due parole delle lingue, ma poi ho visto che voi siete andati a mangiare la pizza coi funghi. Ho deciso di non disturbarvi. :D

A me non piace la pizza coi funghi! :lol:
Se vuoi scrivere due parole sulle lingue lo sai che mi fai solo piacere...
Dài Michele: aspettiamo solo te!
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Messaggioda pbagnoli » mar 08 gen 2008, 9:21

VGobbi ha scritto: Ma pero' cazzarola, poi magari giustificate un Boris in francese, un Hansel e Gretel in inglese od una Tosca in tedesco. Io sarei molto curioso di sentire questo Wagner italiano, una volta tanto che esco fuori dalle mie convinzioni, anche perche' possiedo pure il libretto.

Matteo ha giustamente posto limiti temporali a questa prassi.
E' ben vero che l'ENO continua a fare (e pubblicare in disco) allestimenti in inglese di opere scritte in altre lingue. Atteggiamento strano, eccentrico, molto limitato, che va preso per quello che vale: bene o male, l'interesse è solo per l'aspetto vocale-musicale (trattandosi di disco, ovviamente), se tale aspetto è di qualche interesse.
Il primo riferimento che mi viene in mente è il Ring di Goodall, a te ben noto: non se l'è filato nessuno al di fuori dell'isola britannica, a parte forse il sottoscritto che, incuriosito, se n'è presa una copia. Gli unici motivi di interesse erano ovviamente in certi aspetti musicali
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Messaggioda dottorcajus » mar 08 gen 2008, 17:04

In Inghilterra credo ancora oggi esista l'abitudine di allestire regolari stagioni liriche con opere cantate rigorosamente in inglese.
Anche molti anni fa, quando praticamente in tutto il mondo si cantavano le opere, di qualsiasi autore, in italiano, in Inghilterra, se si esclude il Covent Garden, la compagnia Castellano e qualche isolata volenterosa compagnia di giro, tutte le opere venivano cantate in inglese.
Ritengo che un opera, se ben eseguita, possa essere cantata in qualsiasi lingua. A mio parere è determinante che la lingua cantata sia compatibile con la ritmica della musica. Per fare un esempio il Flauto Magico nella versione italiana è praticamente inascoltabile. Ovvio che la versione originale è quella di riferimento ma una versione italiana del titolo può offrire ugualmente spunti interessanti. Tutto dipende dalla qualità degli artisti e dell'allestimento proposto. In fondo sarebbe un altra interpretazione di un titolo, sicuramente superata, ma in alcuni casi probabilmente interessante.
Roberto
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Messaggioda Domenico Donzelli » gio 10 gen 2008, 17:10

non sono proprio d'accordo.
a seguire alle sue conseguenze dovremmo concludere che il Werther di Schipa sia scadente o mediocre perchè cantato in lingua italiana, come pure la Dalila di Ebe Stignani. Due capi d'opera, invece. Almeno secondo la mia opinione.
Ossia che i Vespri della Callas o quelli di Rosveange in quanto non in lingua differente dall'originale siano decisamente inferiori a quelli della Brumaire.
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Messaggioda MatMarazzi » gio 10 gen 2008, 18:07

dottorcajus ha scritto:In Inghilterra credo ancora oggi esista l'abitudine di allestire regolari stagioni liriche con opere cantate rigorosamente in inglese.

Caro Dottor Cajus,
questa prassi, che mi risulti, è attiva solo all'English National Opera, che pure è un teatro all'avanguardia su tutti gli altri fronti (filologia delle esecuzioni e sperimentalismo registico).
La scelta di mantenere le traduzioni in inglese (tutte attuali e recenti) è una forma di ...snobismo! :)
Per il resto anche nei teatri più periferici del Regno, la prassi della lingua originale è ormai giustamente invalsa, anche al Welsh Opera (da cui partiva l'Hansel).
Come diceva Luca, l'idea di tradurre in inglese l'Hansel è legata all'idea di farne un'opera "natalizia" per bambini.
Ma è stata comunque un'idea discutibile, perché il traduttore (il celebre Pountney) ne ha approfittato per "modernizzarne" alcuni concetti.

Ritengo che un opera, se ben eseguita, possa essere cantata in qualsiasi lingua. A mio parere è determinante che la lingua cantata sia compatibile con la ritmica della musica.


Secondo me, il problema è più complesso.
C'è la questione della musica, della linea di canto, concepita contrappuntisticamente sulle sillabe (e quindi sulle parole).
Come diceva un qualche critico (non ricordo chi), se Verdi musicando "Oh don fatale, abominable, que fit le Ciel dans sa colère" mette l'acuto sulla parola "colère" significa qualcosa.
Se in Italiano la pur fedelissima traduzione recita: "O don fatale, o don crudele, che in suo furore ci fece il Cielo" l'acuto finisce sulla parola Cielo, e il significato musical-drammatico è radicalmente diverso.
Da una terrorizzata affermazione di paura divina (collera) diventa un grido quasi blasfemo (Cielo), di sfida contro un Dio spietato.
In sostanza, secondo me, non è solo questione di metrica e accento.
E' un problema più complesso.

Tutto dipende dalla qualità degli artisti e dell'allestimento proposto. In fondo sarebbe un altra interpretazione di un titolo, sicuramente superata, ma in alcuni casi probabilmente interessante.
Roberto


Questo lo condivido totalmente.
Però credo che vadano rispettate anche le diverse convenzioni avvicendatesi nei tempi.
Oggi non siamo più ai primi del '900. Oggi ci sono i sopratitoli e la conoscenza delle lingue è più diffusa.
Mutando le condizioni, mutano anche le convenzioni del genere "opera".

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