dottorcajus ha scritto:Senza voler fare del nazionalismo direi che per il 90% del pubblico mondiale l'italiano era la lingua della lirica ed era sicuramente la più diffusa anche perchè le compagnie italiane era quelle che più viaggiavano (pensate ho rintracciato una compagnia che percorse l'Africa fino al Sudafrica).
Certo è che, nella media dei teatri e dei pubblici mondiali, l'opera cantata in italiano era di gran lunga la preferita. L'orgoglio linguistico fece sì che la presenza degli italiani non fosse massiccia anche in Francia e Germania.
Prendiamo il caso del Met.
Le prime stagioni, ultimi vent'anni dell'800, furono letteralmente dominate dai tedeschi.
Fu quella l'epoca in cui Lili Lehman regnava: è difficile pensare - conoscendo il tipo - che abbia cantato il Trovatore e la Carmen (la prima Carmen americana) in altra lingua che il tedesco.
Quando arrivò Toscanini al Met vi trovò, come nume locale, Gustav Mahler, direttore quasi ufficiale del Met: è difficile credere che il repertorio tedesco lo facessero in Italiano.
Prendi il caso di Wagner: in Italia si faceva in Italiano (e probabilmente anche nei teatri o teatrini sparsi per il mondo che dipendevano dalle compagnie italiane e di cui tu ci hai parlato). Ma al Met si faceva rigorosamente in tedesco. Persino un polacco che parlava francese come de Reszke cantava Wagner in tedesco (lo provano i Mapleson).
Quello che voglio dire è che la supremazia della lingua italiana (il 90% di cui parli e che non intendo affatto mettere in dubbio) non pare riflettersi anche nei teatri più raffinati ed importanti, dove gli italiani parevano sì stimati, apprezzati, riconosciuti, ma non più dei divi di tutto il mondo.
Gente come la Calvé, come la Albani, come la Nordica, come la Melba, come McCormack, come la Destinn, o la Homer erano miti grandi come colossi, non isolati casi. Se ben ricordo, Alma Gluck fu la prima cantante che, in fatto di vendite discografiche, superò il milione di copie.
E possiamo proseguire giù giù fino alla Bori, a Melchior, la Ponselle, la Jeritza, Tauber, la Lubin, la Schumann e altri che testimoniano una gloria e un prestigio internazionale a cui ben pochi italiani ebbero accesso.
Devi capirmi bene: io non intendo sottovalutare la popolarità e l'importanza della scuola italiana (che, grazie anche al potente fenomeno dell'emigrazione, godeva sicuramente di tanti sostenitori).
Vorrei solo ridimensionarla di fronte al dato che altre scuole (in particolare quella tedesca) ebbero storicamente lo stesso peso, o forse maggiore, specialmente se circoscriviamo il campo ai teatri che contavano davvero, quelli in grado di dare la gloria e di alimentare le collane "celebrità" delle case discografiche.
In questo senso il discorso della lingua è un buon esempio.
Prendiamo proprio la Jenufa di Janacek, opera di cui recentemente abbiamo molto parlato.
Come si sa, l'opera è nata in lingua ceca.
Qual'è la lingua in cui si è diffusa per il mondo e specialmente in america?
Il ceco originale? no.
l'inglese, visto che era la lingua degli abitanti? no
l'italiano, visto che - a quel che dici - il 90% degli appassionati del mondo la consideravano lingua opersitica per eccellenza? no.
La prima al Met (1924) fu in tedesco, con la Jeritza e la Matzenauer.
la prima a Buenos Aires (1950) fu in tedesco, con la Lemntiz e la Klose.
E per decenni e decenni (ancora oggi alla Staatsoper di Vienna) la traduzione tedesca di Max Brod ha surclassato ogni altra versione dell'opera, compresa quella originale (per non parlare di quella italiana, malinconicamente confinata alla penisola, nonostante interpreti come la Cigna, la Pederzini, la Olivero).
dottorcajus ha scritto:In linea di massima non sono contrario alla traduzione purchè la lingua in cui si traduce mantenga lo stesso rapporto con la musica che ha la lingua originale.
Hai ragione, ma io preferisco pensare che le convenzioni (quella di tradurre un testo o quello di farlo in lingua originale) siano tutte giuste a seconda del momento storico e del contesto a cui sono applicate.
Oggi che siamo tutti un po' poliglotti, che possediamo le edizioni discografiche su cui preparci all'ascolto, che è diffusa la prassi della titolazione a teatro, trovo che la lingua originale vada benissimo.
Quello che però interessa a me è che un cantante canti in una lingua che domina bene: la Borkh (grande declamatrice) è irriconoscibile quando canta in Italiano, rispetto ai veri e propri miracoli che compie quando canta in tedesco. Nel suo caso, nonostante la traduzione, preferisco mille volte sentirla in versioni tedesche anche di opere italiane.
Quando invece la Callas (greco-americana) o la Gencer (turca-polacca) cantano in italiano, danno lezioni a quasi tutte le colleghe madrelingua.
Fischer Dieskau, quando canta in italiano o in francese, è un esempio estremo: non conosce le lingue e si sente, ma vuole essere "espressivo" lo stesso, finendo per cadere spesso in soluzioni grottesche, nelle quali non cade quando canta in tedesco.
NOn mi sognerei mai, per concludere, di fare ciò che fa il nostro amico Vittorio: di escludere dai miei ascolti interpretazioni colossali e insuperate (la Marina della Moedl, la Kundry della Callas, la Kostelnicka della Varnay, il Radames di Von Pataky, la Leonora della Leider) perché non sono nella lingua originale.
Salutoni,
Matteo