DottorMalatesta ha scritto:P.S.: attendiamo la relazione di reysfilip!
Eccomi qui! Tornato da poco a casa dalla trasferta scaligera.
Beh che dire? Partiamo dal fondo. E da qui non si potrebbe dire che non sia stato un successo. La platea in piedi ad applaudire voracemente tutto il cast in un tripudio di gioia. Anche solo per questo momento ne è valsa la pena. Tuttavia non era iniziata nel solito modo. Poco dopo le 18 infatti Pereira è uscito sul proscenio annunciando un ritardo del primo oboista, il cui treno aveva avuto notevole ritardo, e che stava giungendo in taxi il più velocemente possibile.
Una volta tirato il pubblico dalla sua (un vero spettacolo nello spettacolo, almeno per quello è un signor sovrintendente), sono passati quei 20 minuti, Barenboim è entrato e ha attaccato prima l'inno nazionale, poco sentito da parte di tutti, e poi una Leonora II che sembrava uscita dai
Meistersinger von Nurnberg piuttosto che dalla mano di Beethoven, e la serata è poi proceduta senza intoppi (a parte un faro disperso nel secondo atto) migliorando sempre di più fino al finale già citato.
E' un gran Fidelio? Musicalmente non si può dire di no. Barenboim, conoscendo la partitura, non ha fatto i danni avvenuti ne
La sposa dello zar di marzo, ma ha fatto il suo Beethoven grandioso, dai suoni turgidi, veramente pre-romantico. E' sicuramente una bella direzione, magari un po' "passatista", che rimanda a un certo modo di vedere
Fidelio e tutta l'opera del compositore di Bonn, ma sarebbe inutile andare a cercare altro in Barenboim perché, come ormai si dovrebbe sapere, non è il suo modo di vedere. Tuttavia in questo Beethoven dei tempi andati, il direttore non ha mai coperto le voci, che sono splendidamente emerse.
Infatti il cast è davvero pregevole. La Leonora della Kampe è stata una grande sorpresa. E' pur sempre una wagneriana alle prese con una parte che di wagneriano ha poco, e ogni tanto la Sieglinde che è in lei emergeva, ma per il resto ad averne di Leonore così. La Kampe in questo spettacolo è infatti una sorta di macchina da guerra assai poco femminile (i costumi in tal senso non aiutavano ma d'altronde deve fingere di essere un uomo quindi ha centrato il punto) che solleva pesi, pulisce per terra, corre da una parte all'altra del palco senza mai mostrare segni di fatica nell'impervia scrittura vocale di Leonore. Trasmette l'idea di sicurezza anche quando gli acuti nell'Abscheulicher o nel Namenlose Freude sono estremamente al limite, ma mai rovinosi. Inoltre, cosa che caratterizza tutti gli interpreti, ha perfettamente chiaro cosa sta dicendo e perché, costruendo una Leonora forte e intrepida. Alla fine il teatro le ha tributato un gran numero di applausi. Veramente brava!
Di fronte a cotanto impeto, il Florestan di Vogt è sembrato quasi sbiadito e anche un po' in difficoltà e la cosa è parsa stonata visto che sulla carta era tra gli interpreti che sembravano più centrati. Non che abbia fatto male, ci mancherebbe. Il timbro cristallino è sempre quello del Vogt che conosciamo in Wagner, ma in questa parte gli manca qualcosa. Ci sta che in altre recite sia migliore.
Anche il resto del cast è notevole. Youn è un Rocco fantastico: la sua voce ampia scolpisce ogni singola parola che ti arriva chiara e netta, perfettamente sagomata. Ricorda quasi Milling (unico basso da me ascoltato che gli può essere comparato) ma il sudcoreano è più consolante e meno possente, quindi un Rocco ideale.
Eccelso Peter Mattei nella breve parte di Don Fernando. Fa quasi impressione vedere uno dei migliori baritoni esistenti uscire per primo a prendersi gli applausi ma è anche vero che la bravura non si vede dalla lunghezza della parte.
Falk Struckmann è in difficoltà come Don Pizarro, o almeno ha iniziato in modo molto brusco, migliorando nel corso della serata. Anche se la voce ha i suoi problemi, la presenza scenica compensa.
Molto brava e bella Mojca Erdmann nella parte di Marzelline, discreto lo Jaquino di Hoffmann e ottimo il coro.
E poi arriviamo a quella che doveva essere la certezza di questo allestimento, la Warner che riaffronta
Fidelio dopo 13 anni (Glyndebourne 2001) in chiave molto realistica.
La trasposizione spazio-temporale è più che lecita, l'idea di rifarsi a una contemporaneità vaga e non ben specificata è efficace e ben comprensibile. Le scenografie infatti sono molto belle, o meglio vogliono dichiaratamente essere brutte ma sono molto ben realizzate dunque sono fatte bene (scusate il giro di parole
) Menzione d'onore anche per le belle luci di Jean Kalman.
Ma la cosa che viene da pensare, o che almeno io ho pensato è "tutto qui?". Come diciamo sempre non basta cambiare l'ambientazione per essere dei geni, bisogna sapersi muovere in tutto ciò. Ebbene mentre guardavo lo spettacolo mi chiedevo "ma è la stessa regista di quel meraviglioso Onegin del Met?". Il primo atto, partito abbastanza bene è pian piano diventato un sistema annacquato in cui tutti si muovevano o stavano fermi come in tutti i Fidelio tradizionali.
Meglio il secondo atto con l'inizio totalmente al buio da cui pian piano emerge Florestan che si trascina fino al proscenio dove ha la visione. Bello il ricongiungimento dopo il Namenlose Freude in cui, dopo essere stati sempre distanti, finalmente si guardano e lui per prima cosa si lancia a baciarle le mani (c'era odore di Flimm e Chéreau ma in mancanza d'altro ci accontentiamo). Bello il momento in cui si apre il carcere. Ma poi? Tutti abbastanza fermi a guardare Barenboim. Magari è proprio questo quello che lei vuole quando afferma che i personaggi del Fidelio sono "persone comuni immersi in fatti straordinari". Ma in tal caso abbiamo visto rappresentazioni migliori delle persone comuni. A mio parere, nella stessa opera, Flimm era riuscito a fare qualcosa di più, o forse mi sbaglio.
Comunque sono molto contento di esserci stato e averlo visto e prego che ticketone continui da ora in poi ad affibbiarmi posti di platea per l'anteprima
Scusate se ho calcato troppo la mano.