Criticando il critico...

problemi estetici, storici, tecnici sull'opera

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Re: Criticando il critico...

Messaggioda Chuck » mer 24 ott 2012, 15:09

MatMarazzi ha scritto:Infine, proprio scorrendo l'intervista, a me è parso di notare non pochi riferimenti (non so quanto consapevoli, ma non importa) a thread e post del nostro forum, con qualche dettaglio che a me pare dimostrare (ma forse sbaglio) una lettura molto attenta.
Anche di questo, se è vero, siamo onoratissimi e lo ringraziamo.

Un salutone,
Mat


Esattamente! proprio a questo facevo riferimento quando parlavo di punti in comune tra il pensiero espresso da Giudici NELL'INTERVISTA e le linee portanti di Operadisc, non certo ai suoi giudizi su Freni o Domingo, Rysanek o Villazon.

PS grazie Mat per avere spiegato chiaramente quali ritieni siano le differenze tra il metodo Giudici e il vostro... riflettendoci credo tu abbia ragione 8)
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Re: Criticando il critico...

Messaggioda DottorMalatesta » mer 24 ott 2012, 20:22

Chuck ha scritto:
MatMarazzi ha scritto:Infine, proprio scorrendo l'intervista, a me è parso di notare non pochi riferimenti (non so quanto consapevoli, ma non importa) a thread e post del nostro forum, con qualche dettaglio che a me pare dimostrare (ma forse sbaglio) una lettura molto attenta.
Anche di questo, se è vero, siamo onoratissimi e lo ringraziamo.

Un salutone,
Mat


Esattamente! proprio a questo facevo riferimento quando parlavo di punti in comune tra il pensiero espresso da Giudici NELL'INTERVISTA e le linee portanti di Operadisc, non certo ai suoi giudizi su Freni o Domingo, Rysanek o Villazon.

PS grazie Mat per avere spiegato chiaramente quali ritieni siano le differenze tra il metodo Giudici e il vostro... riflettendoci credo tu abbia ragione 8)


In effetti tutte le persone intelligenti leggono Operadisc!!!!

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Re: Criticando il critico...

Messaggioda Riccardo » mer 24 ott 2012, 23:22

mattioli ha scritto:Ohibò, ma allora non ci siamo intesi. O più probabilmente non mi sono spiegato io. Io contesto APPUNTO il fatto che sui media italiani si continui ad affidare la critica musicale ai musicologi, siano buoni, così così o cattivi. Perché intanto recensendo l'ennesima Bohème ci rispiegano per l'ennesima volta Bohème (il che potrebbe anche essere interessante se non fossero quasi sempre luoghi comuni) e poi perché mi sembra non abbiano gli strumenti per discutere non della partitura, ma della sua interpretazione.


A chi affidare però allora la critica musicale?
Purtroppo di Mattioli ce n'è uno solo. Gli altri che non sono musicologi si chiamano Natalia Aspesi... E a quel punto preferisco la lezione di Pestelli o Carli Ballola.

Io rimango comunque dell'idea che un valido critico debba anche conoscere o almeno incosciamente captare i segreti che stanno dietro alle composizioni che recensisce. Perché l'oggetto delle sue riflessioni è proprio il cortocircuito che si sviluppa tra questi segreti e la ricezione delle epoche successive fino ad oggi!
Ultima modifica di Riccardo il mer 24 ott 2012, 23:28, modificato 1 volta in totale.
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Re: Criticando il critico...

Messaggioda mattioli » mer 24 ott 2012, 23:28

Supremo Ric,

il problema è appunto se abbia un senso, OGGI, la critica musicale "tradizionale" (cioè, tradotto, in termini di poesia o non poesia, dove poi la poesia consiste nel fare le cose come si sono sempre fatte, o almeno come si sono fatte fino alla penultima volta). Sinistramente, nulla mi diverte più che ascoltare le lagne di chi si lamenta che i giornali non dedichino abbastanza spazio alla critica musicale. Da quel che leggo, francamente, a me pare anche troppo. E, scusa se cito immodestamente il caso personale, ma l'umile sottoscritto ha potuto scrivere lenzuolate su argomenti certo non da Grande fratello o da Isola dei famosi; molto semplicemente, perché non erano le assurde "recensioni" che capita di leggere sui quotidiani. Amen.
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Re: Criticando il critico...

Messaggioda mattioli » mer 24 ott 2012, 23:34

Scusa Ric, leggo solo adesso la seconda parte del tuo messaggio. L'incapacità di mettere in relazione il messaggio e il valore presunti "eterni" del testo musicale e/o teatrale recensito con l'oggi, hinc et nunc (che è poi l'unica ragion d'essere della critica), è proprio ciò che contraddistingue la critica italiana. Che infatti non ha colto tutti le più importanti novità interpretative degli ultimi... vogliamo dire trent'anni?
Scusa ancora, ciao

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Re: Criticando il critico...

Messaggioda MatMarazzi » mer 24 ott 2012, 23:44

Riccardo ha scritto:A chi affidare però allora la critica musicale?
Purtroppo di Mattioli ce n'è uno solo. Gli altri che non sono musicologi si chiamano Natalia Aspesi... E a quel punto preferisco la lezione di Pestelli o Carli Ballola.

Io rimango comunque dell'idea che un valido critico debba anche conoscere o almeno incosciamente captare i segreti che stanno dietro alle composizioni che recensisce. Perché l'oggetto delle sue riflessioni è proprio il cortocircuito che si sviluppa tra questi segreti e la ricezione delle epoche successive fino ad oggi!


E' un'ipotesi condivisibile, come quella (che probabilmente difenderebbe la Aspesi) che senza una conoscenza approfondita del "costume" non è possibile una valutazione seria di quel fenomeno fortissimamente legato al costume che è l'opera.
Io mi limito a credere che per qualunque tipo di recensione ci vogliano anzitutto le conoscenze specifiche dell'ambito in cui la recensione si esercita.
E quelle richieste al recensore operistico sono molto precise: storia del segno sonoro e del segno visivo e capacità di decifrarli all'interno della tradizione e delle convenzioni che li informano.
Questo e solo questo è richiesto, a mio giudizio, a un recensore operistico.

Conoscenze musicologiche e storico musicali? Perché no? Tutto fa brodo... :)
Fermo restando che con esse non si fa critica operistica.
Ho già citato in questo forum l'orribile sensazione che mi procurò, in una diretta radiofonica del Fidelio dalla Scala, proprio il grande Carli Ballola a cui fu richiesto un giudizio sullo spettacolo.
A parte le lodi sperticate a Muti (e questo passi) e quelle altrettanto sperticate a Herzog (e qui... ci sarebbe stato da ridire), il sommo musicologo aggiunse di essere stato particolarmente colpito da quella (?) giovane (?) soprano (?) che era Waltraut Meier, che aveva trovato stilisticamente (?) perfetta.
Personalmente ne deduco che Carli Ballola (di fronte alle cui reali competenze mi inchino) ha gli stessi titoli per recensire un Fidelio di Natalia Aspesi.

Aggiungo che approvo incondizionatamente anche la risposta del Mattioli.

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Re: Criticando il critico...

Messaggioda Riccardo » gio 25 ott 2012, 1:37

MatMarazzi ha scritto:Conoscenze musicologiche e storico musicali? Perché no? Tutto fa brodo... :)
Fermo restando che con esse non si fa critica operistica.
[...]
A parte le lodi sperticate a Muti (e questo passi) e quelle altrettanto sperticate a Herzog (e qui... ci sarebbe stato da ridire), il sommo musicologo aggiunse di essere stato particolarmente colpito da quella (?) giovane (?) soprano (?) che era Waltraut Meier, che aveva trovato stilisticamente (?) perfetta.
Personalmente ne deduco che Carli Ballola (di fronte alle cui reali competenze mi inchino) ha gli stessi titoli per recensire un Fidelio di Natalia Aspesi.


Su questo d'accordissimo.
Sarà però che a me, tra le competenze di un musicologo, piace includere anche la conoscenza e decifrazione del segno sonoro e visivo, proprio perché esse sono strettamente connesse con la storia della composizione.
In fondo chi meglio di uno musicologo dovrebbe saper decifrare la partitura di Beethoven e - magari confrontandola con quella del Tristan - valutare quanto le scritture vocali, anche in rapporto alle scelte che il compositore attua in tema di dialettica voce-orchestra, sono diverse? E dunque - aprendo le orecchie, che dovrebbero essere uno dei suoi strumenti principi - trarne le dovute considerazioni sentendo questa tal Meier?

A volte ho l'impressione che, nel confrontarsi col presente, gli studiosi di musicologia vivano una frustrazione di fondo, le cui origini stanno alla base stessa della scelta di fare della musica "colta" il loro orizzonte di studi: una scelta in qualche misura di rigetto del presente.
Carli Ballola quando parla al passato remoto è capace di intuizioni ed osservazioni veramente illuminanti.
Talvolta proprio chi è capace di valutare con incredibile lucidità il passato sembra scadere miseramente nella valutazione del presente.

In ogni caso prima o poi gli studi accademici sulla "performance", di moda negli Stati Uniti, presto toccheranno anche gli ambiti della musica "colta" teatrale (su Toscanini e Furtwaengler, se non erro, già qualcosa è spuntato) e in qualche modo verrà adottato un metodo scientifico anche in quel campo.
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Re: Criticando il critico...

Messaggioda mattioli » gio 25 ott 2012, 9:56

A volte ho l'impressione che, nel confrontarsi col presente, gli studiosi di musicologia vivano una frustrazione di fondo, le cui origini stanno alla base stessa della scelta di fare della musica "colta" il loro orizzonte di studi: una scelta in qualche misura di rigetto del presente.


Esatto. E per rendersene conto non serve neanche leggere cosa scrivono, ma come lo scrivono (un italiano ampolloso, pedante, vecchio, infarcito di latinorum) e poi scoprire che il rigetto della contemporaneità, che viene sempre vista come una minaccia e mai come un'opportunità, assume modalità, anche pratiche, stravaganti: c'è quello che non usa il computer e quello che non ha il dvd e così via :roll: .
Ora, è chiaro che fa ridere scrivere di musica senza conoscerla; ma altrettanto ridicolo è scrivere di musica in generale e di teatro musicale in particolare conoscendo solo quella.
Mah... A proposito di vegliardi: questa sera vado a sentire Domingo :shock:
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Re: Criticando il critico...

Messaggioda MatMarazzi » gio 25 ott 2012, 11:38

Riccardo ha scritto:Sarà però che a me, tra le competenze di un musicologo, piace includere anche la conoscenza e decifrazione del segno sonoro e visivo, proprio perché esse sono strettamente connesse con la storia della composizione.


I nostri personali punti di vista, Riccardo, sono talmente vicini che insistere da parte mia a puntualizzare può sembrare ozioso.
Inoltre proprio tu (considerando le tue esperienze di studio e professionali) sei la prova di una possibile e perfetta convivenza tra formazione musicologica e pratica di storia dell'interpretazione.
Se insisto è perché il tema è importante (o almeno mi sembra) e vale la pena di sviscerarlo un po'.

Tu auspichi un approfondimento anche accademico, anche "scientifico" delle "performing arts" (settore che interessa il critico, ma anche lo storico) quasi come un allargamento, una branca (finora in ombra) della musicologia.
Se passasse questa tesi, sarebbe per me un gravissimo errore.
Le performing arts - sia pure musicali - non sono un branca della musicologia, proprio come la medicina non è una branca della biologia, né l'ingegneria è una branca della fisica, che a sua volta non è un branca della matematica.
Staremmo freschi se affidassimo a un biologo (per quanto geniale come Carli Ballola) la cura dei malati...
O a un grande fisico la costruzione di un ponte....
Per quanto collegati, tutti questi ambiti del pensiero si differenziano per lo specifico oggetto del loro studio.
C'è chi studia un atomo, c'è chi studia un incunabolo, c'è chi studia le note scritte da Beethoven nella 106 e c'è chi studia la storia delle arti performanti.

Quando, a vent'anni, ero all'università, feci un'infilata esaltante di esami sulla storia del teatro (che ovviamente, nelle Università italiane, significa solo dal punto di vista letterario): Storia del Teatro I, Storia del Teatro II, Storia del Teatro rinascimentale, ecc...
Ero diventato un piccolo esperto! Feci una tesina sulla Mandragola che mi valse anche qualche riconoscimento.
Però se qualcuno mi avesse sbattuto a uno spettacolo di prosa (genere che avevo frequentato pochissimo) in pieno 1990... cosa mai avrei potuto recensire?
Avrei fatto, come dice Mattioli, la storiella della Mandragola, di Machiavelli e del teatro cinquecentesco (che è ciò che - poverini - regolarmente fanno i musicologi quando devono fare una recensione) ma non avrei minimamente potuto assolvere il compito che mi era stato assegnato.
Come avrei potuto dire qualcosa di come è composto oggi un palcoscenico, quali sono le disposizioni delle luci e che compiti assolvono, quali è stata, nel passare dei tempi, l'evoluzione delle tecniche scenografiche, della convenzioni connesse alla gestualità, alla regia, alla funzione stessa del teatro...?
Né si può pretendere che tutto ciò debba rientrare nelle competenze di qualcuno che (come ero io all'epoca) si occupa di una cosa del tutto diversa: ossia la letteratura teatrale cinque-secentesca, la decifrazione del segno letterario, delle figure retoriche e poetiche, dell'uso antico della lingua, delle problematiche filologiche, della figura di Machiavelli e del suo contributo culturale.
Sono proprio cose diverse, con oggetti di studio diverso!
E finché non lo capiremo, finché non saremo disposti a capire (come gli Americani e Inglesi, da te opportunamente citati, hanno già fatto da decenni: per questo sono avanti a noi anche in questo settore) che la storia dell'interpretazione, delle arti performanti e della pratica teatrale e musicale non sono una branca della analisi letteraria o musicologica, ma proprio una disciplina a se stante, con diverso oggetto di studio e diverse metodologie, ....saremo condannati ad avere biologi che fanno (malissimo) i medici.

Ci tengo anche a precisare che non condivido nemmeno che il critico operistico (ossia uno ...scienziato di arti performanti) debba avere una forma mentis applicata al "presente", mentre il musicologo al "passato".
Non sta in questo la loro differenza!
Sia il critico, sia l musicologo devono occuparsi allo stesso modo di presente e di passato, però ognuno nel suo settore.
Il critico operistico che giudichi un allestimento di oggi senza avere idea di quello che sta dietro (l'evoluzione dei linguaggi sonori e figurativi, delle tendenze del pubblico e scuole interpretative, persino delle tecniche di riproduzione meccanica o dei sistemi di produzione) difficilmente sarà un grande critico.
Idem per il musicologo che giudichi una composizione contemporanea, senza aver mai analizzato una partitura di Bach.

Resta il fatto che per capire che un suono della Meier non è "stilisticamente perfetto" in Beethoven, occorre sapere quali suoni e in base a quali principi sono stati considerati "stilisticamente appropriati per Beethoven" dalle convenzioni della pratica musicale recente e passata.
Altrimenti (per la Aspesi come per Carli Ballola) i suoni della Meier sono solo suoni, che chiunque può definire come vuole.
Ma chi legge la recensione di uno spettacolo dal vivo non ha forse il diritto di vedere storicizzati quei suoni? Collocati? Decifrati?

Ciò che io auspico, lo avrai capito, è che la storia dell'interpretazione e delle "performing arts" divenga una disciplina seria e sviluppata. E fin qui siamo d'accordo.
Ma non lo diventerà mai se continuiamo a considerarla un sottogruppo (non importa se umile o glorioso) di discipline che invece dovrebbero occuparsi di tutt'altro.

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Re: Criticando il critico...

Messaggioda DottorMalatesta » gio 25 ott 2012, 11:40

In effetti la critica musicale (e operistica) in Italia é stata da sempre il reame di critici di estrazione letteraria (ricordate Eugenio Montale) o musicologica, comunque da sempre molto piú attenta al dato storico-musicale che a quello interpretativo o teatral-drammaturgico.
I critici italiani sono davvero delle mummie!!! :mrgreen: :mrgreen: :mrgreen:
E poi, come scrivono!!!! Ha ragione Alberto: leggere Isotta (vabbé, caso limite) o qualunque altro che non si chiami Mattioli (appunto) o Giudici o pochissimi altri significa praticare il masochismo!!!! Ci credo che ai giovani non vien voglia di andare all´opera!!!!
Concordo poi quello che dice Mat, e aggiungo che uno che scriva d´opera dovrebbe avere una discoteca e videoteca operistica quantitativamente almeno pari a quella di un appassionato medio. :shock: E dovrebbe saper ascoltare e saper guardare e raccogliere esperienze operistiche anche fuori dal recinto angusto del nostro paese. :shock: :shock: Si tratta di competenza e di aggiornamento. In un parola di onestá intellettuale. Di professionalitá. Se un critico non é né competente né aggiornato su quello che scrive (che é TEATRO d´opera, non mera esecuzione vocale e musicale) merita di essere licenziato su due piedi!!! Anche se si chiama Carli Ballola, Paolo Isotta o Carla Moreni (nel caso della Aspesi la partita é persa in partenza!!!). Esattamente come andrebbe fatto se un medico di oggi praticasse ancora la salassoterapia con sanguisughe!!!! Che un Carli Ballola se ne esca con quelle frasi sulla Meier (ricordo anch´io quell´episodio é davvero emblematico!!!!! :shock: :shock: :shock: ) é emblematico di quanti dinosauri ancora si aggirino nei nostri teatri e scribacchino sui giornali. Ma, dico, avete mai sentito Gualerzi dare giudizi sulle regie d´opera? Commenti da Giurassico!!!!
Via i vegliardi decrepiti e largo ai giovani (sicuramente piú appassionati e competenti!!!!).

P.S.: scusate la grammatica e la sintassi. Scrivo di getto!!!
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Re: Criticando il critico...

Messaggioda DottorMalatesta » gio 25 ott 2012, 11:44

MatMarazzi ha scritto:Tu auspichi un approfondimento anche accademico, anche "scientifico" delle "performing arts" (settore che interessa il critico, ma anche lo storico) quasi come un allargamento, una branca (finora in ombra) della musicologia.
Se passasse questa tesi, sarebbe per me un gravissimo errore.
Le performing arts - sia pure musicali - non sono un branca della musicologia, proprio come la medicina non è una branca della biologia, né l'ingegneria è una branca della fisica, che a sua volta non è un branca della matematica.

Né si può pretendere che tutto ciò debba rientrare nelle competenze di qualcuno che (come ero io all'epoca) si occupa di una cosa del tutto diversa: ossia la letteratura teatrale cinque-secentesca, la decifrazione del segno letterario, delle figure retoriche e poetiche, dell'uso antico della lingua, delle problematiche filologiche, della figura di Machiavelli e del suo contributo culturale.
Sono proprio cose diverse, con oggetti di studio diverso!

Ci tengo anche a precisare che non condivido nemmeno che il critico operistico (ossia uno ...scienziato di arti performanti) debba avere una forma mentis applicata al "presente", mentre il musicologo al "passato".
Non sta in questo la loro differenza!
Sia il critico, sia l musicologo devono occuparsi allo stesso modo di presente e di passato, però ognuno nel suo settore.
Il critico operistico che giudichi un allestimento di oggi senza avere idea di quello che sta dietro (l'evoluzione dei linguaggi sonori e figurativi, delle tendenze del pubblico e scuole interpretative, persino delle tecniche di riproduzione meccanica o dei sistemi di produzione) difficilmente sarà un grande critico.
Idem per il musicologo che giudichi una composizione contemporanea, senza aver mai sentito Bach.

Ciò che io auspico, lo avrai capito, è che la storia dell'interpretazione e delle "performing arts" divenga una disciplina seria e sviluppata. E fin qui siamo d'accordo.
Ma non lo diventerà mai se continuiamo a considerarla un sottogruppo (non importa se umile o glorioso) di discipline che invece dovrebbero occuparsi di tutt'altro.


Scusa Mat, leggo solo ora.
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Re: Criticando il critico...

Messaggioda vivelaboheme » gio 25 ott 2012, 17:43

Diciamo che quoto e trascrivo Malatesta: "leggere Isotta (vabbé, caso limite) o qualunque altro che non si chiami Mattioli (appunto) o Giudici o pochissimi altri significa praticare il masochismo!!!! Ci credo che ai giovani non vien voglia di andare all´opera!!!!"
Il problema è che, quanto al citato "caso limite", si tratta di scritti regolarmente pubblicati su un quotidiano importante e a vastissima diffusione. Il quotidiano forse non si accorge che ogni pubblicazione di questi cosiddetti "elzeviri" equivale ad una figuraccia per la testata (o lo sa benissimo, e avalla). Ma il peggio è che - dati i concetti e il linguaggio - sono di zero utilità per i lettori e negativi per la diffusione della musica. Sfoghi personali remunerati. Cosa questo abbia a che fare con giornalismo e musica, non saprei dire. So che pacchi di lettere e telefonate, nonché una famosa lettera-petizione inviata, anni or sono, al quotidiano da una molteplicità di uomini di cultura che chiedevano miglior sorte per la musica sulle pagine di quel quotidiano, sono risultati vani. Io non so se vi ricordate, per fare alcuni esempi, i "necrologi" insultanti firmati dal soggetto in "ricordo" di Elizabeth Schwarzkopf o Pavarotti o Luigi Nono, per non parlare della diffamazione (non c'è altro termine: non sono attacchi al direttore, ma spesso all'uomo) costante perpetrata nei confronti di Claudio Abbado. Se io, nel giornale per cui scrivo, dovessi esprimermi in tali termini in articoli destinati ad un pubblico, troverei giustamente un caporedattore o un direttore che mi fermi o almeno mi corregga, a salvaguardia della dignità medesima della testata.

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Re: Criticando il critico...

Messaggioda Riccardo » gio 25 ott 2012, 19:31

MatMarazzi ha scritto:Le performing arts - sia pure musicali - non sono un branca della musicologia, proprio come la medicina non è una branca della biologia, né l'ingegneria è una branca della fisica, che a sua volta non è un branca della matematica.
Staremmo freschi se affidassimo a un biologo (per quanto geniale come Carli Ballola) la cura dei malati...
O a un grande fisico la costruzione di un ponte....
Per quanto collegati, tutti questi ambiti del pensiero si differenziano per lo specifico oggetto del loro studio.
C'è chi studia un atomo, c'è chi studia un incunabolo, c'è chi studia le note scritte da Beethoven nella 106 e c'è chi studia la storia delle arti performanti.

Mat capisco perfettamente il tuo ragionamento, ma devo dire che questa volta mi sembra un tuo punto di vista personale, non pienamente dimostrato.
Perché mai le performing arts non dovrebbero essere una branca della musicologia?

Certo la musicologia italiana e più in generale quella continentale europea (che è di stampo conservatore) è in linea di massima concorde con te. Ma già gli anglosassoni la pensano diversamente, per non parlare degli americani, i quali arrivano tranquillamente a discutere il cosiddetto "canone", argomentando la pari (se non talora inferiore) dignità di Beethoven rispetto a Duke Ellington (tu lamentavi che i musicologi talvolta si laureano senza aver sentito una nota di Wagner - ma in base a quel criterio ci si dovrebbe invece poter laureare senza mai avere sentito una nota di Bacharach, dei Beatles o di Henze?)

Tutto questo per dire che non è così evidente che i settori di indagine siano (e debbano essere) così separati come vorresti tu. Tantopiù che, da ormai molti anni a questa parte, l'incrocio con le performing arts è avvenuto anche sul fronte della musica "colta" quando musicologi come Gossett si sono accorti ad esempio che per le edizioni critiche della musica dell'Ottocento (di Bellini, ma anche di Beethoven) è indispensabile considerare la prassi esecutiva dell'epoca, lettere e specificità varie dei cantanti, oltre a tutti queli aspetti esecutivi ed interpretativi che con la storia testuale della composizione profondamente s'intrecciano. Se poi consideriamo anche che oggi addirittura qualcuno sostiene, non a torto, che per una storia dell'evoluzione testuale delle sonate di Beethoven varrebbe la pena considerare come "testi" anche le incisioni di Schnabel oltre alle edizioni da lui curate...

E ancora, per riprendere il tuo raffronto, non pensi piuttosto che il biologo corrisponda al musicologo (all'europea o all'americana) mentre il medico al direttore d'orchestra (insieme a cantanti, registi ed esecutori vari)?

A presto!
Ric
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Re: Criticando il critico...

Messaggioda MatMarazzi » gio 25 ott 2012, 23:09

Riccardo ha scritto:Perché mai le performing arts non dovrebbero essere una branca della musicologia?


Perché si occupano d'altro, Ric.
Le une si occupano di segni visivi e sonori dotati di caratteristiche ben precise (percepibilità sensoriale, finitezza e concretezza nello spazio e nel tempo, ecc..), l'altra si occupa di segni scritti, la cui fruizione, i cui canali, i cui mezzi di comunicazione sono talmente lontani da reclamare una diversa strumentazione critica per poter essere non solo fruiti, ma anche analizzati.
Non stiamo parlando solo di un diverso codice... stiamo parlando di forme della comunicazione umana totalmente diverse!

Ma già gli anglosassoni la pensano diversamente, per non parlare degli americani,

A me invece pare il contrario: le cose che sto affermando in questi thread le hanno dichiarate proprio gli americani e inglesi da moltissimo tempo in qua.
Loro sono stati i primi a concepire le performing arts come discipline totalmente autonome, a cui destinare ricerche e metodologie specifiche.
Mi viene in mente un saggio che lessi qualche anno fa e che mi colpì per l'evidenza abbagliante (voglio assolutamente recuperarlo per dirti il nome dell'autore); uno studioso americano osservava che ci sono più affinità morfologiche e sintattiche fra un concerto sinfonico e una manifestazione di agonismo sportivo che tra lo stesso concerto e lo spartito da cui è tratto!
Il problema è che a noi europei una simile frase sembra strana perché siamo ancora dominati da un'ideologia romantica e idealistica che ci ha abituato a porre il compositore su un piedistallo e l'interprete ai suoi piedi, come un "umile ancello".
Bah! :)
E dire che invece per millenni le "performing arts" non hanno avuto alcun bisogno della "letteratura" (che sarebbe arrivata molto tempo dopo).
Erano forme di improvvisazione o di memoria orale, eppure erano già raffinatissime e complesse, assai prima che a qualcuno venisse in mente di fissarle (a priori o a posteriori) in pre-testi o post-testi letterari.
Erano il Canto, la Danza, il Teatro... tutti con la maiuscola.
Durante quei millenni a nessuno sarebbe neanche passato per il cervello di interpellare studiosi di "segni scritti" per decifrare queste antichissime, primigenie e del tutto autonome forme dell'espressione umana. Ma accidenti a noi... ci è bastato uno stupido secolo di farneticazione estetico-romantica e abbiamo stravolto tutte le più normali e ovvie distinzioni.

argomentando la pari (se non talora inferiore) dignità di Beethoven rispetto a Duke Ellington


Che c'entra questo, scusa?
Gli spartiti delle composizioni di Duke Ellington sono a loro volta letteratura, proprio come quelli di Beethoven.
Se i musicologi americani (e non solo loro... siamo onesti, dai) hanno imparato a porli sullo stesso piano fanno solo bene.
E' proprio quello il loro ambito di azione. La nota su un pentagramma.

tu lamentavi che i musicologi talvolta si laureano senza aver sentito una nota di Wagner - ma in base a quel criterio ci si dovrebbe invece poter laureare senza mai avere sentito una nota di Bacharach, dei Beatles o di Henze?)


E' un po' più grave se permetti.
E lo dico proprio, in questo caso, da un punto di vista musicologico.
Magari Wagner non sarà stato grande come Bacharach (opinione che ti lascio volentieri) ma il suo esempio - volenti o nolenti - ha gravato su migliaia e migliaia di compositori novecenteschi, che - imitandolo o opponendovisi - si sono comunque rapportati a lui.
Pensare che un musicologo possa prescinderne, equivarrebbe a pretendere - per uno studioso di letteratura italiana - che si possa fare a meno di leggere Petrarca.
Eh no! Non si può... Chiedi a Tuc e a Enrico se non ci credi! :)
Se vuoi puoi anche dire che Petrarca non sapeva scrivere (liberissimo!) e che i versi delle canzoni di Mogol sono assai più belli; ma dovrai conoscerlo lo stesso... e bene! Perché se non avrai studiato Petrarca non ti sarà concesso di capire nemmeno l'abc di un buon sessanta per cento della nostra letteratura.

Tutto questo per dire che non è così evidente che i settori di indagine siano (e debbano essere) così separati come vorresti tu.


...veramente finora hai solo dimostrato che non dovremmo tenere distinti i settori della musica "cosidetta colta" da quella "cosidetta pop", problema che a dire il vero nessuno aveva posto...
Anzi, se ti ricordi io scrivevo queste cose già molti anni fa! :)
Ciò di cui si parlava era del fatto che la Musica (intesa come arte dei suoni, arte "performante") è tutt'altra cosa dalla letteratura musicale.

Tantopiù che, da ormai molti anni a questa parte, l'incrocio con le performing arts è avvenuto anche sul fronte della musica "colta" quando musicologi come Gossett si sono accorti ad esempio che per le edizioni critiche della musica dell'Ottocento (di Bellini, ma anche di Beethoven) è indispensabile considerare la prassi esecutiva dell'epoca, lettere e specificità varie dei cantanti, oltre a tutti queli aspetti esecutivi ed interpretativi che con la storia testuale della composizione profondamente s'intrecciano. Se poi consideriamo anche che oggi addirittura qualcuno sostiene, non a torto, che per una storia dell'evoluzione testuale delle sonate di Beethoven varrebbe la pena considerare come "testi" anche le incisioni di Schnabel oltre alle edizioni da lui curate...


Oh... qui torniamo in tema.
Il punto di vista di Gossett è quello filologico (in senso letterario): a lui continua a interessare pertanto l'autenticità del testo LETTERARIO (la partitura rossiniana), avendo capito che la sua decifrabilità dipende anche da certe "convenzioni di lettura", non conoscendo le quali non possiamo sperare di comprenderlo fino in fondo.
Nulla di più normale che, per ottenere questo rispettabilissimo risultato "musicologico", egli si avvalga anche di "altre discipline" (come appunto lo studio della pratica musicale dell'epoca).
Se è per questo anche gli storici (per decifrare le ondate migratorie degli Indoeuropei) si sono appoggiati alla linguistica comparata e alla toponomastica. Non per questo la linguistica è una branca della storia. Qualunque linguista ti strangolerebbe se lo dicessi! :)
Gli archeologi (che hanno imparato a datare i loro ritrovamenti col radiocarbonio) si sono a loro volta appoggiati alla chimica.
E tuttavia la chimica non è una branca dell'archeologia.

Quanto al fatto che le incisioni di Schnabel (o della Callas, o di Caruso) siano "testi" io sono il primo a dirlo e a gridarlo.
Anzi, lo vado dicendo da molti anni.
E tuttavia non sono e non saranno mai testi letterari!
Anche i quadri sono testi (dotati di codici e di messaggi), ma non sono letteratura.
Anche le regie, le coreografie sono testi (idem), ma non sono letteratura.
I segni di cui si compongono tutte queste forme di comunicazione umana (nessuna delle quali è letteraria) sono una cosa troppo seria e troppo importante per permettere agli studiosi di letteratura (e segnatamente ai musicologi, che poveretti hanno già abbastanza problemi da risolvere) di continuare a impedirci di analizzarli come meritano.

E ancora, per riprendere il tuo raffronto, non pensi piuttosto che il biologo corrisponda al musicologo (all'europea o all'americana) mentre il medico al direttore d'orchestra (insieme a cantanti, registi ed esecutori vari)?


Questo è vero.
Il mio esempio si prestava a fraintendimenti, perché contrapponeva discipline "teoriche" ad altre "applicative". :)
Spero con questo post di aver risolto l'ambiguità.

Salutoni,
Mat
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MatMarazzi
 
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Re: Criticando il critico...

Messaggioda Riccardo » ven 26 ott 2012, 0:29

MatMarazzi ha scritto:Le une si occupano di segni visivi e sonori dotati di caratteristiche ben precise (percepibilità sensoriale, finitezza e concretezza nello spazio e nel tempo, ecc..), l'altra si occupa di segni scritti, la cui fruizione, i cui canali, i cui mezzi di comunicazione sono talmente lontani da reclamare una diversa strumentazione critica per poter essere non solo fruiti, ma anche analizzati.
Non stiamo parlando solo di un diverso codice... stiamo parlando di forme della comunicazione umana totalmente diverse!

Mat, il punto è che tu hai deciso che la musicologia è quella disciplina che studia la musica scritta e basta, ma questo al giorno d'oggi non è più vero quanto lo era proprio in quell'epoca dell'idealismo contro cui tu (a ragione) fai qualche ironia.

MatMarazzi ha scritto:uno studioso americano osservava che ci sono più affinità morfologiche e sintattiche fra un concerto sinfonico e una manifestazione di agonismo sportivo che tra lo stesso concerto e lo spartito da cui è tratto! Il problema è che a noi europei una simile frase sembra strana perché siamo ancora dominati da un'ideologia romantica e idealistica che ci ha abituato a porre il compositore su un piedistallo e l'interprete ai suoi piedi, come un "umile ancello".

Ma è esattamente quello che ho detto io! Sono proprio gli americani che hanno allargato le discipine musicologiche al mondo della performance. Ma non se ne occupano mica università diverse: se tu studi musicologia negli Stati Uniti dovrai studiare un sacco di "performing arts" e molto meno contrappunto in stile Duprez. Ma sempre musicologia è.
Mi sembra che il nostro dibattito, per quanto riguarda questo aspetto, sia solo su questioni di etichettatura. Quello che tu distingui dalla musicologia (che intendi solo come studio di musica scritta) e chiami "performing arts" è invece un gruppi di studi che normalmente appartiene agli studi accademici sulla musica. Poi possiamo chiamarli come vogliamo ed è chiaro che a seconda della prospettiva in cui ti metti uno spettacolo può essere più vicino ad una partita di calcio rispetto che ad uno spartito. Così come la musica elettronica potrebbe essere benissimo valutata come più vicina all'algebra che non alle "performing arts" (e tuttavia sarà improbabile studiare musica elettronica in una facoltà universitaria di scienze).
Ma questo dipende semplicemente dal criterio che scegliamo per classificare la realtà. Legittimo il tuo, ma non l'unico possibile (e nemmeno il più comune, checché ne dica qualche americano che vede il teatro come lo stadio).
Tu puoi essere uno studioso di spartiti: e allora studi una musica trascritta di Ellington insieme ad un manoscritto di Beethoven. Se pero vuoi studiare i manoscritti medievali dovrai andare da un esperto di quella specifica scrittura, che però magari non sa niente della partiture scheletro di Rossini o della notazione di Boulez (e queste dovrebbero secondo te essere ritenute discipline diverse?).
Ma puoi anche essere uno studioso di compositori dell'Ottocento: e allora dovrai studiare sia spartiti sia performance.
Se sei studioso di inchiostri settecenteschi studierai i manoscritti di Alfieri e quelli di Mozart.
E dunque? Certo che si può classificare tra scritto e non scritto come fai tu, ma chi classifica per compositore e non per supporto testuale ha il diritto di farlo...

MatMarazzi ha scritto:Gli spartiti delle composizioni di Duke Ellington sono a loro volta letteratura, proprio come quelli di Beethoven.
Se i musicologi americani (e non solo loro... siamo onesti, dai) hanno imparato a porli sullo stesso piano fanno solo bene.
E' proprio quello il loro ambito di azione. La nota su un pentagramma.

Il fatto che poi non si possa separare di netto il mondo della musica scritta da quello delle "performing arts" con tutta questa scontatezza dipende anche dal fatto che di Duke Ellington non esistono nemmeno gli spartiti. E pure quando si parla di Rossini ci si rende conto di come la musica scritta non sia altro che il testo approntato per una specifica esecuzione e dunque non di per sé indipendente...
Purtroppo o per fortuna la musica non è mai diventata come il teatro di prosa, la cui dimensione letteraria e testuale si è sganciata e resa autonoma rispetto alla performance. La musica solo in quanto testo esiste solo in particolari epoche e stili, ma per la maggior parte i testi musicali sono pre-testi...

Non condivido e mi sembra anche smentita dai fatti l'idea della musicologia come solo studio di testi scritti... L'etnomusicologia e lo studio della canzone d'autore sono esempi di una musicologia odierna che ha sviluppato strumenti di indagine che vanno oltre lo studio di un testo scritto che nemmeno esiste, che semmai va ricostruito nella sua mobilità e che non sarà mai autosufficiente allo scopo di uno studio (come del resto insufficienti sono le semplici note scritte quando si studia la IX di Beethoven).

Insomma il rapporto tra testo e performance è molto vario a seconda di epoche e stili.
Secondo quanto affermi tu, un musicologo potrebbe a pieno titolo appena appena occuparsi di certa musica rinascimentale e forse di certa musica contemporanea le quali trovano le loro ragioni compositive e di tradizione quasi esclusivamente in una dimensione testuale; mentre un esperto di arti performative dovrebbe studiare tutto il resto, ma privo di cognizioni testuali non avrebbe accesso completo alla materia (capire e argomentare il perché la Meier canti bene Ortrud e male Leonore senza poter leggere i testi delle opere è dura - non parliamo del caso in cui si debba fare una previsione).

Scusa la risposta sbrodolata...ma non ho lauree in scienze della scrittura alfabetica e pentagrammi qui nel forum non se ne possono inserire :twisted:
:wink:
Ric
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