La Muette de Portici (Auber)

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La Muette de Portici (Auber)

Messaggioda beckmesser » mar 10 apr 2012, 10:14

PARIGI 2012

Stavolta è andata male. Ma male forte… :x :x :x Dopo gli esaltanti Ugonotti di Bruxelles, si sperava che il percorso verso il recupero di questo repertorio fosse tracciato, e invece con questa Muta si torna indietro (e, purtroppo, il Robert le diable di Londra affidato a Oren non lascia meglio sperare…). Ora, non è che stavolta mi aspettassi l’allestimento capolavoro (come, appunto a Bruxelles): fin sulla carta non ce ne erano i presupposti. Ma era lecito aspettarsi almeno un’esecuzione costruita con criterio e intelligenza, tale da consentire di farsi almeno un’idea affidabile di un’opera leggendaria e quasi sconosciuta (dal vivo). Macché… Intanto, non riesco proprio a capire perché un teatro debba decidere di riprendere un’opera del genere e poi massacrarla di tagli: in operazioni di questo genere, o ci si crede fino in fondo o è meglio lasciar perdere. A ciò si aggiunga che la direzione di Davin era buona, ma lo era in senso molto generico: nella fattispecie si trattava di Auber, ma avrebbe potuto trattarsi di Rossini, Meyerbeer, Donizetti o financo del primo Verdi. Poco da dire sulla Elvire della Gutiérrez: è stata annunciata indisposta e a metà opera era completamente afona. Non era indisposto Spyres, che ha fatto il tenore-trombetta per quasi tutta la serata, salvo poi, nella parte finale della grande scena del IV atto (che, per inciso, qui era molto meno grande del solito, dato che ne mancava almeno un terzo…) naufragare miseramente in tentativi di mezza voce maldestri e stonacchianti.

E poi c’era Emma Dante, alla prova d’appello dopo l’infelice Carmen scaligera. Per quel che mi riguarda, non c’è bisogno della Cassazione e il caso è chiuso: la stessa combinazione di dilettantismo e presunzione, lo stesso miscuglio di banalità e provocazioni a freddo, lo stesso uso di comode scappatoie, come concentrarsi esclusivamente su una decina di mimi che si muovevano come tarantolati in curioso (e non voluto) contrasto con l’immobilità assoluta di solisti e coro. Il tutto a culminare nel colpo di scena finale, che non descrivo per non rovinare la “sorpresa” a chi vedrà lo spettacolo, ma che si iscrive di prepotenza fra i più penosi esempi di comicità involontaria che abbia mai visto a teatro. A onor di cronaca, devo dire che il pubblico era entusiasta: sentivo distintamente gli applausi cadenzati mentre mi allontanavo. Non so che dire, forse sto veramente diventando un passatista… : Chessygrin :

Meno male che il giorno dopo alla Salle Pleyel Minkowsky ha dato vita ad una delle più emozionanti (e spiazzanti) Passioni secondo Matteo di Bach che abbia mai ascoltato. Minkowsky, appunto: proprio quello che sarebbe servito a quella povera Muta…

Saluti,

Beck
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Re: La Muette de Portici

Messaggioda Ilaria » mar 10 apr 2012, 18:15

Io andrò all'ultima recita, questa domenica, dopo che molto faticosamente l'ufficio stampa della Comique è riuscito a trovarmi un accredito. Su un forum francese piuttosto in vista avevo invece letto assai bene di Spyres... Nei confronti della Dante nutro un senso di sfiducia piuttosto naturale dopo la Carmen scaligera, e il tuo accenno al finale tragicomico per come la regista siciliana farebbe andare le cose non mi rassicura per niente : Blink : Certo è che la Muette termina in maniera talmente clangorosa che a me un sardonico sorriso lo strappa anche a rigor di libretto...

Saluti,
Ilary
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Di lauri ornai sue chiome,
Deve di Grande il nome,
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Re: La Muette de Portici

Messaggioda pbagnoli » mar 10 apr 2012, 20:59

Interessante la valutazione di Sixtus.
Commenterei alcuni aspetti:
:arrow: direzione: Minkovski per queste operazioni è pressoché insostituibile. Tornare a battisolfa di quelli che fanno contenti i vociomani perché sono quelli che "non disturbano" i cantanti mi sembra una follia. Tra l'altro sono molto contento di quello che dici sulla Matthaus-Passio, uno dei miei topic: ti chiederei cortesemente di aprire un thread a parte nella sede apposita del forum per spiegarci in cosa la lettura di Minkovski di questo capolavoro è stata entusiasmante. Io finora ho solo la sua Messa in si minore, ed è da sballo
:arrow: il tenore. Pensavo che Spyres fosse un po' meglio di quello che racconti. Certo che il numero di tenori in grado di assumere parti come queste è veramente risicato: forse rimane solo Cutler. Io Osborne l'ho cassato dopo la registrazione del Guillaume con Pappano
:arrow: la Dante secondo me aveva fatto una Carmen potabile. Nulla di straordinario, nulla di innovativo, nulla di veramente provocatorio: fondamentalmente mi aveva annoiato. Solo un punto mi aveva divertito: quello in cui Micaela si trasforma nella mamma morente. Da lì a definirlo uno spettacolo innovativo ce ne corre, ma nemmeno indecoroso. Occorrerebbe un regista in grado di muovere bene le masse; dopo averne visto la Khovanshchina, mi fiderei di Tcherniakov
"Dopo morto, tornerò sulla terra come portiere di bordello e non farò entrare nessuno di voi!"
(Arturo Toscanini, ai musicisti della NBC Orchestra)
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Re: La Muette de Portici

Messaggioda MatMarazzi » mar 17 apr 2012, 13:48

Ebbene, vista la recita del 13 aprile.

Sì, sì... d'accordo. Niente a che fare con gli Ugonotti di Minkowsky, Cutler e la Petersen dell'anno scorso a Bruxelles.
Però io non mi spingo fino alla censura di Beckmesser. "male forte" non è andata affatto, anzi...
Dal mio punto di vista certi aspetti di questa Muette rappresentano un bel passettino avanti nella ridefinizione moderna del Grand-Opéra.

I difetti, ne convengo, ci sono stati e uno di questi era grave: la direzione di Davin.
La rinascita del genere deve passare attraverso una svolta linguistica, come è accaduto nella musica antica o nel Rossini della Renaissance..
Poi si parlerà di contenuti; in questa fase il linguaggio è più importante.
Finché non si elaborerà un nuovo lessico sonoro-figurativo in grado di esaltare la specificità di questo repertorio, ogni speranza di resurrezione è vana.
Patrick Davin non è un cattivo direttore, ma non ha alcuna esperienza di questo repertorio, nè delle sue specificità.
Di fronte alle difficoltà che esso presenta (ad esempio la lunghezza, la qualità della musica, la drammaturgia cappa e spada) reagisce tagliando o assimilando il bandismo della pagine più ruspanti a un Verdi di galera, autore a cui il pubblico è più aduso.
In pratica siamo all'opposto della "svolta creativa" di cui parlavamo: con Davin ricadiamo nel "tagliare il difficile" e omologare il resto alle vecchie abitudini.
E' come se tornassimo agli anni '60, con gli Ugonotti (alla Scala) e il Roberto il Diavolo (a Firenze).

Come Minkowski ha dimostrato a Berlino e a Bruxelles, per ridare vita a questo repertorio occorre risolverne le "difficoltà": non eluderle, snaturarle o ...tagliarle, ma scervellarcisi sopra fino a che non le si è rese moderne, vere, bellissime.
E se in quella musica ci sono forme musicali, armonie, suoni che oggi ci paiono vecchi e ridicoli... se ci sono lungaggini e ingenuità, be' sarà proprio tutto questo a meritare più riflessione da parte del direttore...
Davin non è la risposta giusta (meno ancora lo sarà Daniel Oren, l'anno prossimo a Londra).


L'altro buco nero dello spettacolo è stato il "ruolo Cinti", perno dell'architettura scribiana e contraltare del "ruolo Nourrit".
Nella mia recita la Gutierrez non è stata annunciata malata, non di meno è riuscita a steccare qualche acuto.
Ha imbroccato qualche pianissimo, ha compitato decentemente agilità e picchettati, si è impegnata anche scenicamente (considerato che la Dante non ha ancora imparato a muovere i solisti), nondimeno non ha nulla di un ruolo Cinti.

Su tutt'altro livello il ruolo Nourrit, qui affidato a Michael Spyres che, piaccia o non piaccia, merita un posto fra i nourrittiani del nostro tempo.
Spyres non è nuovo a questo repertorio: dopo aver affrontato Raoul, Arnould e Néocles, si cimenta ora con Masaniello ed è in attesa - pare - di approdare a Heleazar, Amenophis, il Comte Ory e Robert le Diable.
Come era prevedibile, l'estensione e il vocalismo non temono gli spericolati scogli della scrittura. La sua bella e timbratissima voce veleggia per tre ottave di esensione, sciorina agilità, mezzevoci e falsetti anche ad alta quota, il tutto con solidità ritmica e notevole musicalità.
Inoltre, proseguendo sul cammino di Merritt, Spyres accentua nel medium coloriti nettamente baritonali, che gli consentono impressionanti contrasti col registro sopracuto. L'effetto si sposa alla tesi - da noi lungamente difesa - di una vocalità Nourrit più scura e centralizzante di come siamo soliti sentirla, alternata a scalate alla stratosfera in falsetto (che a Spyres viene benissimo... quando gli viene).
Peccato che tenda a osare troppo, dando per scontato che - date le difficoltà a cui si espone - il pubblico debba accettare di buon grado una serie di scivoloni francamente troppo frequenti: non mancano le filature rotte, i sopracuti incerti, fiati talmente lunghi da lasciarlo in debito di ossigeno (e di intonazione)...
Basterebbe un po' meno di esibizionismo e molti di questi problemi potrebbero essere evitati.

Sul piano interpretativo non si può dire che il tenore passi inosservato: anche se la sua istintiva eloquenza sfiora talvolta la cialtroneria, non c'è dubbio che Spyres sappia attirare l'attenzione su di sè e su quel che dice. E questo è un bene: un interprete Nourrit "deve" essere accentratore: poi si potrà discutere sul valore dei suoi argomenti, ma per prima cosa deve sapersi far ascoltare.
Il suo limite è la sfrontatezza guitta e popolaresca (da posteggiatore di buon cuore) che non pare adeguata alla statura intellettuale dei ruoli Nourrit, al loro romanticismo tempestoso e tragico.
I personaggi Nourrit, siano essi monarchi, cavalieri e letterati, oppure popolani o vecchi ebrei, non possono prescindere dalla loro congenita grandezza. E infatti anche Masaniello sarà anche un bandito circondato da Lazzaroni, ma interpretato da Spyres perde l'autorità del grande leader insurrezionale, la pietà di chi sa piangere sulla morte dei propri nemici o la lacerazione di chi assume su di sè il peso di una tragedia storica.
La difesa dell'ospite e il duettone dell'"Amour sacré de la Patrie" sembrano con lui un affare da bulletti.
Quanto poi ai patetici tentativi (voluti dalla Dante) di far crollare mentelmante il personaggio con risate dementi, sono pura comicità involontaria (così come la scena di pazzia... dove esibisce la sua tristissima nudità).

Fra gli altri interpreti, occorre ricordare la ballerina Elena Borgogni, Fenella accentratrice e appassionante (oltre che dalla resistenza fisica incredibile).
Maxim Mironov in Alphonse poteva essere un gran lusso in questa produzione, ma nulla si è fatto per valorizzarlo.
Infine Laurent Alvaro (grande voce da basso profondo) appare in grosse difficoltà a sostenere una tessitura "Dabadie", troppo acuta per lui.

Resta il caso di Emma Dante, la cui Muta non entrerà nel guinnes delle regie più belle della storia, ma segna un nettissimo passo in avanti (tecnico e poetico) rispetto a Carmen e soprattutto rappresenta un importante contributo nella conquista di un nuovo linguaggio per il Grand Opéra.
E' pur vero che la scarsa esperienza operistica della Dante si fa sentire: ad esempio nella difficoltà di emancipare i solisti dallo stereotipo della gestualità melodrammatica, o nel ricorso (che fa molto anni '80) del simbolone "grande così" che sovrasta un palco quasi vuoto (i quadri e il lampadario che scendono per evocare ambienti aristocratici, i tendaggi di lino che invece evocano le spiagge dei pescatori, le onnipresenti porte su ruote).
Altro grosso limite (almeno per il pubblico di oggi) è l'ingenuità del progetto poetico: la solita critica all'ipocrisia del potere contrapposto all'infelicità e alla naturalezza degli umili...

E tuttavia non era questo che ci si aspettava da lei.
Da lei, proprio in virtù della sua singolare esperienza registica e dell'uso spregiudicato della corporeità sviluppato in tanti spettacoli choccanti, ci attendevamo stimoli diversi, eterodossi: proprio ciò di cui abbiamo bisogno per inventarci un'immagine moderna e plausibile del Grand-Opera.

Intanto il personaggio di Fenella (difficilissimo) ha trovato con lei un "gesto" di assoluta efficacia: una mobilità selvaggia, un agitarsi animalesco, istintivo; da chi la aggredisce o la sfotte, Fenella si difende graffiando, sputando, scalciando. Lotta con la vioenza primitiva di una handicappata, abituata a lottare prima ancora di capire cosa sta succedendo.

Immagine

All'emotività di questo gesticolare arcaico e ferino è stata contrapposta la gestualità altrettanto straordinaria nei mimi-ballerini della compagnia della Dante (impegnati quali soldati del Vicerè). Cattivi, certo, violenti: una decina di energumeni-acrobati da profondo Sud, che provocano, aggrediscono, espongono la loro virilità, ma in modo che non li rende odiosi; anche loro devono adeguarsi alle "regole" di una società che della preistoria ha conservato la necessità della violenza.
Con i loro balli - che incredibilmente si fondono a una musica tanto salottiera - conferiscono un'intensità nuova, moderna a tutta la narrazione.

Questo contributo "coreutico" sarebbe già di per sè una vittoria, anche se la Dante non fosse riuscita a fonderlo al resto.
In realtà spesso c'è riuscita.
Ad esempio la grande aria di sortita di Elvira (risolta in un grande minuetto con la protagonista al centro e i soldati spagnoli attorno a lei, che danzano con bambole di ceramica vestite da aristocratici) trasformava il palcoscenico in un impressionante carillon.

Toccante (oltre che ottimo esempio di "regia musicale") è stata - alla fine del terzo atto - la prière a cappella, dopo che i soldati spagnoli (in una sorta di attacco epilettico) sono caduti a terra morti: avvolta da una luce misteriosa, Fenella cammina in mezzo ai cadaveri dei "nemici" (che a questo punto sono solo vittime, in puro spirito alla Scribe), ne accarezza il volto, ne chiude gli occhi.

Spunti di questo tipo sono stati frequenti (a differenza della Carmen), anche se - obbiettivamente - non sufficienti a tenere in piedi il quarto e il quinto atto. Il progetto drammaturgico e poetico restava troppo fragile.
E tuttavia gli elementi migliori dello spettacolo e soprattutto la relazione scoperta fra questa musica da feuilletton storico e l'impeto rurale e primitivo del ballo meritano di entrare nel vocabolario del rinato Grand-Opéra.

Salutoni,
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Re: La Muette de Portici (Auber)

Messaggioda MatMarazzi » gio 02 ago 2012, 14:14

Su Internet è apparsa la grande aria di Masaniello, tratta da questa rappresentazione, ovviamente con Spyres.
Enjoy.

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Re: La Muette de Portici (Auber)

Messaggioda Luca » gio 02 ago 2012, 16:32

Su Spires che apprezzo molto e che effettivamente è molto valido in questo genere di opere in bilico tra grandiosità ed intimistici ripiegamenti, ti consiglio - qualora non lo avessi fatto - la lettura dell'intervista che ha rilasciato sull'ultimo numero de L'Opera (n. 271, lu-ago 2012, pp. 37ss.) dove l'artista americano fa capire il suo metodo, stile e scelte di canto.

Saluti da Roma...
Luca.
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Re: La Muette de Portici (Auber)

Messaggioda MatMarazzi » ven 03 ago 2012, 14:10

Vado OT, ma l'argomento Spyres mi trascina a questo ascolto che io ritengo interessantissimo...

Il duetto di Otello (quello di Verdi) cantato da Spyres e la compianta Elisabeth Connell, nel 2011.



Credo che sia uno di quegli ascolti da fare concentrati, indipendentemente dai piccoli problemi che potrebbero presentare.

Lei è incredibile e commovente.
A 65 anni la sua voce non ha perso nulla della sua trasparenza, della sua intensità.
La tenerezza con cui si commuove, sorride al giovane collega (di trent'anni più giovane) e alla fine lo abbraccia è amplificata dal fatto che, all'epoca, era già malata e di quei mali che non perdonano.

Quanto a lui... non so che dire.
Per me (e tutti voi potrete immaginarlo) è un'emozione fortissima sentire questo brano cantato così.
Dopo aver scritto e riscritto per anni sulla vera "voce" di Otello, tradita da un secolo di tradizione declamatoria e baritonale, e sulla necessità di tornare al modello aulico e romantico di un tenore acutissimo alla Tamagno, dalle memorie contraltine, cavalleresche e meyerberiane.... ecco che mi trovo di fronte a un'esecuzione che si avvicina moltissimo a ciò che a molti pareva una fantasia bislacca.

Poi è vero che Spyres ha una tecnica ribelle, più attenta all'exploit che al controllo....
E anche qui molti suoni finiscono indietro, qualche pianissimo esce strano, qualche nota è stonata...
Non mancano nemmeno tentativi di baritonalizzarsi e a livello espressivo siamo piuttosto rudimentali.
Ma il colore, il baricentro, il legato, l'accento sono proprio quelli (e finalmente) di Otello...
E in una frase come "che più non mi sarà concesso quest'attimo divino" come non avere la rivelazione?

Almeno a me pare così.

Buon ascolto.
Mat
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Re: La Muette de Portici (Auber)

Messaggioda pbagnoli » mar 07 ago 2012, 15:30

Hai ragione, Matteo: è forse la strada di cui parliamo da molto, moltissimo tempo. Praticamente dall'inaugurazione del nostro sito e, privatamente, anche da prima.
Sono d'accordo con te nel ritenere questo ascolto perfettibile: e non tanto per problemi di intonazione - si è sentito di molto peggio - quanto proprio per la tendenza del tenore a trovare affondi baritonali (soprattutto nella prima parte), il che ci dimostra che quest'impostazione del personaggio sarà difficilissima da superare.
Ma se vogliamo arrivare a una riforma dell'espressione perdiana, non si potrà prescindere da un abbandono radicale di stili interpretativi che, teoricamente, al personaggio in questione non si sarebbero nemmeno dovuti applicare.
Mi spiace che sia disponibile solo il duetto: non è il momento più esemplificativo, vorrei sentire un "nuovo" Otello in tutto il secondo atto, in modo da dimostrare che si può sopravvivere a questo ruolo cantandolo nel "modo giusto".
Splendido spunto, davvero.
Ed è un piacere riascoltare la Connell!
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Re: La Muette de Portici (Auber)

Messaggioda mattioli » mar 07 ago 2012, 15:35

Postato due volte...
Ultima modifica di mattioli il mar 07 ago 2012, 15:36, modificato 1 volta in totale.
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Re: La Muette de Portici (Auber)

Messaggioda mattioli » mar 07 ago 2012, 15:35

una riforma dell'espressione perdiana


:shock: Perdiana : WohoW : !

PS: ma che c'entra Otello con la Muta (a parte il fatto che ascoltando la maggior parte degli Otelli della mia vita ho sperato che lo diventassero, muti intendo!)?
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Re: La Muette de Portici (Auber)

Messaggioda DottorMalatesta » mar 07 ago 2012, 15:42

Davvero una splendida interpretazione, anche se all'inizio del duetto tende a scurire troppo il timbro (la mia diagnosi concorda con quella del caro collega ;-)).
Splendide alcune frasi tra cui un luminosissimo "venga la morte e mi colga nell'estasi di ques'amplesso".
La vera voce di Otello? Beh, siamo sulla buona strada!

P.S.: Se solo Pavarotti si fosse deciso ad interpretare Otello prima (e con un direttore che lo costringesse ad approfondire meglio il personaggio, un Karajan, un Kleiber!!!)!!!
P.P.S.: a giorni sentirò Spyres come Baldassarre nel Ciro in Babilonia al ROF. Sulla carta sembra un ruolo a lui davvero congeniale!!!! Speriamo bene...
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Re: La Muette de Portici (Auber)

Messaggioda pbagnoli » mar 07 ago 2012, 17:19

mattioli ha scritto:
PS: ma che c'entra Otello con la Muta (a parte il fatto che ascoltando la maggior parte degli Otelli della mia vita ho sperato che lo diventassero, muti intendo!)?

Geniale intuizione marazziana? Il GM che legge nei nostri desideri più reconditi? Tutto Quello Che Avremmo Voluto da Verdi Ma Non Abbiamo Mai Osato Chiedere?
Non lo so, ma questo ascolto è proprio bello… speriamo che la strada sia quella giusta!
Concordo sulle osservazioni di Mattioli sugli interpreti di Otello, con un'eccezione: Domingo alla Scala con Kleiber nel 1986 (e non nel 1976, serata mitizzata ma non esente da problemi): lì fu quasi perfetto, sia pure come… Domingo!
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