Vedi Enrico,
come ho già detto nessuno è tenuto a trovare bello per forza uno spettacolo (in questo caso di Carsen).
Io conosco gente che ha trovato orrendo quello di Guth - che invece a te è piaciuto - usando quasi i tuoi stessi argomenti contro Carsen...
né mi pare che la musica di Mozart voglia esprimere il dramma del contrasto tra vita teatrale e vita reale
In tanti, vedendo il DG di Guth hanno appunto osservato che "far soccombere Don Giovanni all'inizio dell'opera e trasformare la sua storia in una lunga preparazione alla morte vuol dire calpestare tutto il significato del testo di Da Ponte".
E ancora...
"Se non c'è più niente da dire sul Don Giovanni, stravolgerne la vicenda teatrale è un comodo espediente: che il signor Guht si scriva lui una vicenda, un libretto e poi faccia quel che vuole!"
IN tutti i casi, non era affatto mia intenzione persuadere te o chiunque altro che questo Don Giovanni (o quello di Guth) fosse bello.
Ritengo però, come ho scritto, che prima di esprimere un giudizio bisognerebbe almeno aver compreso cosa ha tentato di dire.
Poi, ripeto, il giudizio spetterà a ognuno di noi... ma dopo.
E non è detto che a questo si debba arrivare per forza subito, a un primo ascolto, o per forza da soli.
Ci si può arrivare anche dopo un dibattivo, un confronto... come quello che abbiamo tentato di aprire qui in questa sede.
Ora, io in parte ti capisco, quando dici,
Enrico ha scritto:Se per "capire" uno spettacolo devo leggere le spiegazioni il giorno dopo, secondo me significa che lo spettacolo non comunica nel modo giusto.
A parte che questo non è del tutto vero... un fumetto di Paperino sarà più immediato che non un tomo di Kant.
Il primo sarà decifrabile subito, il secondo magari reclama più attenzione, più tempo e magari l'aituo di qualcuno.
Se per fruire dell'arte non c'è bisogno del "manuale di istruzioni" com'è che ancora oggi si insegna la lettura italiana nelle scuole?
Nello specifico, inotre,dobbiamo vedere se questa "difficoltosa" comprensione sia davvero colpa di Carsen o colpa (si fa per dire) nostra.
Se siamo noi che, per qualche ragione, fatichiamo a decifrare un insieme semantico, allora non possiamo prendercela col regista.
Se ad esempio a Londra assisto a una commedia di Wilde in inglese (lingua che domino assai male) e non ci capisco nulla, non sarà sicuramente colpa di Wilde, né potrò accusarlo di non comunicare nel modo giusto.
Secondo me, il linguaggio carseniano non è affatto difficile, né involuto, né indecifrabile.
E' solo che, purtroppo, in Italia non siamo mai stati abitutati a decifrare il simbolismo dell'immagine, specialmente nelle regie.
Storicamente per noi le regie sono quasi unicamente "narrative", ossia raccontano - più o meno bene - una storia.
NOn riusciamo nemmeno a concepire regie che non siano narrative (e questo vale anche per il cinema e la prosa).
Ciò non toglie che la tradizione teatrale (e soprattutto quella musicale) preveda anche un'infinità di lavori "non narrativi"...
Un regista può, con la forza delle immagini, raccontare anche altre cose che non delle "storie": ad esempio visualizzare miti, interrogarsi su problemi universali, sintetizzare grandi nodi culturali.
Mentre nessuno si stupisce che la letteratura non si esaurisce nella narrativa (c'è anche la poesia lirica, c'è anche la trattatistica, ecc) a livello teatrale noi italiani non siamo proprio abituati a prescindere dalle storie.
Continuiamo a cercarle anche dove non ci sono e se non ne troviamo diciamo che lo spettacolo è noioso e superficiale.
E' per questo che, a molti, è piaciuto il Don Giovanni di Guth o quello di Cerniakov, mentre non hanno apprzzato quello di Carsen.
Non perché Guth e Cerniakov fossero "più fedeli" a Mozart (ma per carità: era molto più fedele Carsen), ma perché, sia pure nello stravolgimento totale dei contenuti, narravano storie, e in questo modo risultavano a noi più gradite e intelleggibili.
Lo stesso Carsen è piaciuto moltissimo alla Scala, quando ha fatto i Dialoghi delle Carmelitane o la Kabanowa.
Quelle infatti erano fra le sue poche regie "narrative", le più facilmente importabili da noi.
Ma nel momento in cui ha proposto anche da noi un lavoro fondamentalmente simbolico (di quelli che rientrano nella sua vena migliore e che lo hanno reso mitico nel mondo) il nostro pubbico va in crisi.
E non perché siamo più stupidi degli altri (tutt'altro), ma semplicemente perché non siamo abituati ad astrarci da vicende e psicologie e a decifrare simboli.
Ripeto: non voglio convincere nessuno a divertirsi a questo Don Giovanni come mi sono divertito io.
Ma nemmeno posso condividere che si rimproveri a una monografia sulla geografia di essere fallimentare perché non ci sono vicende e personaggi da seguire.
Né, mi spiace, posso accettare - se riferita a quel che ho scritto io - una frase come questa:
ho l'impressione che molti, esaltandolo o stroncandolo, stiano vedendo in questo spettacolo di Carsen tutto o nulla secondo l'estro del momento.
Mi spiace, Enrico, ma le cose non stanno così.
Anche una regia "non narrativa" (e anzi direi soprattutto) è fatta di segni ben precisi, come ogni forma di comunicazione.
E per darne una lettura che stia in piedi, occorre che tutti questi segni siano coerenti con l'interpretazione che se ne dà.
Altrimenti si sta sbagliando.
La mia lettura (almeno fino a che non mi si dimostrerà il contrario) vorrebbe appunto unire tutti i segni presentatici da Carsen e trovare loro una risposta coerente.
Magari esisteranno altre possibili decifrazioni, forse anche di più efficaci della mia (potresti provarci tu, per esempio).
Ma non è affatto vero che qualsiasi cosa e il suo contrario possano dare risposta a ciò che l'altra sera si è visto alla Scala.
Salutoni,
Mat