oggi parte la Bolena di Vienna, con il clamoroso debutto (da me anni fa auspicato e previsto ) della Netrebko.
Certo non è specialista donizettiana, ma in questo ruolo le specialiste hanno fallito, omologandolo al loro tipico linguaggio (fierezza di variazioni, scintillio di sopracuti, banali puntature post-cabaletta, compiacimento di legati), asservendolo al primadonnismo barricadiero (furori a gogò, espressività sovraccarica e regalità ingombrante) più adatto ad “altre” regine donizettiane, quelle posteriori al ’35, arroventate dai versi di Cammarano e simili, sagomate sulla personalità selvaggia di Giuseppina Ronzi de Begnis e imitatrici varie.
Bolena però non è affatto parente delle assatanate tiranne a cui (per amor di “trilogia”) la sia è voluta apparentare. Maria Stuarda, Elisabetta hanno scrittura diversa (più grave, aspra, spezzata), diversa sensibilità (governate come sono da furia autodistruttiva, parossismo del contrasto).
Scritta per Giuditta Pasta, l cantatrice dei romantici abissi di Vincenzo Bellini (Norma, Sonnambula, Beatrice di Tenda), Anna trascina in sé una sensazione di abbandono infinito.
Mentre Elisabetta e Stuarda si escoriano nei fondali di un canto tormentoso, la voce di Anna si alza in volo, si sublima fra diafane rarefazioni. L’incubo rovente delle “altre” si stempera, in lei, in trasparenti rimpianti, sogni impalpabili e struggenti; l’ebbrezza rabbiosa si trasforma in sacrificio che è sì grandioso ma anche inerme.
La sua pazzia non si contorce in reazioni esacerbate, ma si distende su vari livelli di coscienza, come veli che si sovrappongono.
Tutto questo non si deve solo al canto sublimante e ideale della Pasta, ma anche ai versi di Felice Romani, il volto neoclassico e crepuscolare del Romanticismo italiano (laddove Cammarano avrebbe incarnato quello malato e notturno).
Le “specialiste” novecentesche del Belcanto hanno sacrificato ciò che rende così speciale Anna Bolena, questa bambina inconsapevole e sognatrice che il ruolo di regina (e la sua stessa ambizione) ha profanato, a consuetudini vocali ed espressive valide sommariamente per quel repertorio ma non per la singolarità del personaggio.
Prima di ascoltare la Netrebko, può essere simpatico ricordare le interpreti che in questo ruolo l'hanno preceduta nel 2000.
Tra le "antiche" glorie, ricordiamo:
Edita Gruberova (Zurigo 2000, Monaco 2003, Barcellona 2010, dresda 2011)
June Anderson (Pittsburgh 2000, Bilbao 2007)
Nelly Miricioiou (Londra 2002 - Bratislava 2003)
Adelaide Negri (Buenos Aires 2003)
Mariella Devia (Verona 2007, Palermo 2008)
Jenny Drivala (Atene 2008)
Hasmik Papian (Dallas 2010)
A mio gusto, fuori posto la Gruberova (impermeabile alle specificità dei ruoli Pasta, oltre che troppo matura per il ruolo), la Miricioiou e la Negri (troppo infagottate nel "gran modo" delle primedonne belcantistiche) e la devia (troppo inerte e prevedibile come interprete). La Anderson avrebbe maggiore consuetudine con la poetica pastiana, ma è arrivata troppo tardi all'appuntamento. La drivala e la Papian non sono adeguatamente carismatiche (al di là di vocalità a loro volta troppo appesantite).
Qualche soddisfazione in più l'hanno data le Anne "giovani" del 2000.
Ma solo alcune.
Dimitra Theodossiu (Bergamo, Napoli 2000 – Bergamo 2006)
Krassimira Stoyanova (New York Orchestra, 2003)
Gabriella Morigi (Kiel 2003)
Francesca Scaini (Kiel 2003)
Darina Takova (Torino 2005)
Alexia Voulgaridou (Torino 2005, Palermo 2008)
Lara Ciekiewicz (Toronto 2007)
Elena Mosuc (vienna 2007)
Caroline Whisnant (Mannheim 2008)
Angela Meade (Piladelphia 2008, New York 2011)
Ludmila Slepneva (Mannheim 2008)
Ermonela Jaho (Lyon 2008, Paris CE 2008)
Maria Pia Piscitelli (Barcellona 2010)
Personalmente boccio due "specialiste" come la Takova e la Theodossiu; ossessionate dal "fare grande" (senza esserlo) riducono il personaggio a una serie di pose incombenti da regine di periferia.
Non amo - per la stessa ragione - le vocaliste tuttofare, nostalgiche imitatrici delle Gencer e delle Caballé e a loro volta schiave di un primadonnismo retorico e fuori tempo massimo (la Morigi, la Scaini e la Piscitelli).
Non ho alcun bisogno inoltre delle imitatrici della Gruberova, belcantisti "soubrettes", Papagene incoronate, a cui sfugge l'immensità poetica e drammaturgica della parte (la Mosuc e la Ciekiwiecz).
Non capisco il senso (delirio tipicamente tedesco) di affidare la parte a una Bruennhilde/Elektra/Turandot come la Whisnat.
Quanto alla Stoyanova, è una così ammirevole artista che le si può perdonare l'errore di esserci misurata (sia pure una sola volta) con un personaggio e uno stile di cui non possiede nè la specificità, nè la poetica.
Una menzione a parte alla giovane Meade, che si sta imponendo nel mondo come volto rivoluzionario di un belcantismo aspro e possente; è una cantante che scriverà di sicuro una pagina importante in questo ambito...
e tuttavia le consiglierei di lasciar perdere proprio i ruoli Pasta e le loro sublimanti trasparenze.
Restano tre cantanti che nel loro piccolo si avvicinano molto a ciò che per me si dovrebbe richiedere al ruolo.
Più che belcantiste sono soprani "lirici" di tradizione naturalista o mozartiana.
Quindi apparentemente distanti da questo repertorio (e distantissime dalle famose "specialiste del belcanto").
Eppure Anna si è come nutrita della loro fragilità, della loro discrezione, della loro gioventù pallida e sognatrice.
Le tre in questione sono la Voulgaridou, la Slepneva e soprattutto colei che io considero la più grande Anna Bolena del primo decennio del 2000: Ermonela Jaho.
La Jaho, con la sua dolcezza sfiorita e l'inesprimibile incombere della nostalgia sul velluto del suo canto, continua la serie delle Bolene "liriche", che io prediligo sulla stessa Callas: la "prima" Gencer (quella ancora virginale del 58), la sublime Cuberli di Madrid (1991) e l'altrettanto straordinaria Giusy devinu con Jonathan Miller a Montecarlo (1994).
Ecco, la ragione per cui mi aspetto tanto dalla Netrebko è che saprà continuare questa corrente, col peso del suo straordinario carisma scenico e col fascino vellutato e indifeso che la contraddistingue nelle sue migliori interpretazioni.
Salutoni,
Mat