Rodrigo ha scritto:Mancano i francesi!
Intanto che piacere ritrovarti!
Ne so poco, ma dall'ascolto ho maturato la convinzione che - complice il repertorio tipico e forse il carattere stesso della lingua - i cantanti "storici" transalpini facciano abbastanza parte a sè come stile di canto. Questo almento fino alla fine della seconda guerra mondiale (Vanzo è una specie di frutto postumo).
Su Vanzo, io l'ho sempre considerato uno dei tanti figli disseminati dalla piaga del Giglismo! Una specie di Ferruccio Tagliavini d'oltralpe!
Però sui Francesi hai assolutamente ragione...
Deve essere successo qualcosa di strano nel secondo Ottocento in Francia... Il canto classico deve aver subito alcune trasformazioni particolari e radicali meno strombazzate di quelle tedesche e dunque poco documentate.
Però la sensazione resta... Ne abbiamo parlato nel thread dedicato alla Viardot.
Un fatto è certo: alla nascita del disco c'è arrivata dalla Francia una serie di stranezze (tali per noi) che testimoniano uno sperimentalismo veramente spettacolare. Bassi e baritoni all'apparenza chiarissimi (come Plançon e Maurel) ma a cui veniva destinati personaggi immensi; soprani eterei e sublimanti (come la Calvé) per cui venivano composti personaggi torbidi e sensuali e iperrealisti; tenori-trombetta che parevano assimilabili al modello Tamagno (Escalais, Affré) ma con reminescenze ancora più antiche (Duprez stesso?); declamatrici fatte e finite, simili alle coeve tedesche (la Caron, la Litvinne, fino alla Lubin); e che dire di quei cantanti come De Reszke (ok, di origini polacche ma francesissimo come formazione) di cui non ci sono arrivate tracce sonore bensì racconti fantascientifici (Romeo, Raoul, Radames, Otello, Tristano... il tutto con un estensione praticamente baritonale).
E che dire del fatto che, già all'alba del disco elettrico, ci sono arrivate testimonianza sonore dalla Francia di un canto già talmente lavorato sulle vocali da apparire quasi più colorista (ante-litteram) che declamatorio (Thill, Endreze?).
Bisognerebbe davvero cercare di capire cosa è successo in francia dal Secondo Impero in poi. Deve esserci stato un sommovimento spettacolare, che andrebbe meglio studiato.
Tu dici
complice il repertorio tipico e forse il carattere stesso della lingua
mah... non so se le radici vere sono queste. Credo piuttosto che la radice di tutto vada colta in un altro aspetto...
E' vero che bisognerebbe distinguere bene i cantanti da opera e quelli da opera comique.
Ecco, invece secondo me il segreto è tutto qui.
A differenza di quello che si crede (e che soprattutto vien da credere sentendo la Sutherland che canta allo stesso modo la Grand-Duchesse e Robert le Diable), l'Opéra comique bonapartista andò secondo me a scavare in una forma di canto più popolare che classica.
E lo stesso avrebbero fatto, a cavallo fra i due secoli, gli Hahn e i Satie.
Secondo me la tecnica vocale degli chansonniers e degli specialisti del teatro popolare era completamente diversa da quella praticata all'Opéra e agli Italiens: e credo che con la crisi del romanticismo e la nascita delle poetiche naturaliste e simboliste, il canto "popolare" francese abbia talmente preso piede da condizionare quello aulico.
Se poi ad esso mescoli l'impatto (fortissimo in Francia) del nuovo dramma musicale wagneriano (che d'altronde traeva ispirazione dai grandi recitativi della Tragédie Lyrique), il fascino di figure mitiche come la Viardot, la memoria di vocalità antiche, mai veramente tramontate, come quella di Duprez e altri idoli del Grand-Opéra... salta fuori una miscela inestricabile.
E tuttavia anche nel caso dei francesi (pure con tutte le loro particolarità) io non credo che sia possibile uscire dalla dialettica vocalismo-declamato che informa tutta l'epoca...
Venendo alle interessantissime questioni mosse da Enrico,
Le registrazioni antiche secondo me sono spesso molto fedeli nel rendere le voci e spesso anche il timbro: per rendersene conto basta ascoltare i dischi di cantanti che hanno cominciato a incidere col sistema acustico e hanno continuato col sistema elettrico per arrivare in alcuni casi anche alle registrazioni su nastro o ai primi esperimenti stereofonici (Gigli, Schipa, Ezio Pinza...): è vero che il suono antico è più povero, ma le voci restano perfettamente riconoscibili, e anche lo stile di canto si può giudicare molto bene. Ciò che manca a volte è la possibilità di immaginare come suonassero quelle voci in teatro con una vera orchestra davanti (e non con le orchestrine lontane dei dischi acustici).
Sacrosanto tutto.
E comunque io credo che tutte le voci dell'epoca acustica possedessero buona propagazione nello spazio (parlo di ambienti chiusi), perché sia vocalisti, sia declamatori usavano l'amplificazione facciale.
Il vero problema della propagazione sonora ha riguardato solo i coloristi, che - cantando aperto - risultano molto meglio in disco che in teatro.
Chiunque abbia sentito dal vivo la Von Otter (la regina di tutte le coloriste del mondo) può testimoniarlo.
Misterioso, per me, resta solo il caso di Schipa.
Davvero non immagino come suonasse dal vivo (se ne può avere un'idea in certi "live" dal vivo, purtroppo molto tardivi).
Il fatto è che, come ho scritto in un thread dedicato a lui, c'è qualcosa nella tecnica di Schipa (lo Schipa maturo, dalla metà degli anni venti e soprattutto degli anni 30) che mi sconcerta.
Ho infatti l'impressione che al centro egli inauguri una serie di sorvegliatissime aperture che già (in anticipo di almeno vent'anni) sembrano alludere al colorismo.
I dischi acustici, quando Schipa era più giovane e secondo me ancora molto lontano dalle sperimentazioni della maturità, non comunicano l'espressività spaventosa di qualche anno dopo. Ciò mi induce a pensare che Schipa, divenendo uno dei sovrani mondiali del disco elettrico, abbia finito per elaborare - come tanti anni dopo la Callas - una tecnica specifica per il microfono: una tecnica che alternasse sussurri e delicate aperture di suono (rigorosamente nel medium, mai in acuto) molto ma molto simili al futuro colorismo.
Che il giovane Di Stefano si professasse un erede di Schipa (e che inizialmente venisse distribuito proprio nel suo repertorio) in fondo non mi stupisce.
Qualche dubbio su alcuni esempi proposti: Titta Ruffo cantava con voce immascherata, i suoi non mi sembrano suoni aperti,ma è vero che sapeva mantenere la chiarezza delle vocali,
Attenzione Enrico, forse non mi sono espresso bene.
Io ho sempre sostenuto che i declamatori (specie quelli originari) usassero a loro volta gli amplificatori facciali.
Non ho mai detto che cantassero "aperto" (l'apertura del suono è un'invenzione del secondo dopoguerra e va ascritta al dilagare del colorismo).
Ecco cosa scrivevo nei post precedenti:
I vocalisti non sono gli unici in grado di usare le cavità del corpo come risuonatori: lo fanno anche moltissimi cantanti pop; lo fanno anche i declamatori.
E poco dopo, parlando dei declamatori:
Tale tecnica (QUELLA DECLAMATORIA) continuava a sfruttare le cavità craniche per amplificare i suoni, ma non più puntando – come i vocalisti – sull’omogeneità dei colori, bensì esasperando i contrasti vocalici e le rotture di registro In modo da valorizzare la sillaba sulla melodia).
Ho ribadito il concetto anche parlando dei coloristi (loro sì che aprivano).
Se c'è una cosa che vocalisti e declamatori avevano in comune era l'esigenza di farsi sentire in spazi acustici più o meno vasti.
Lo sfruttamento delle cavità facciali come "risuonatori" (sia pure condotto in modo completamente diverso) era dunque indispensabile agli uni come agli altri.
Staccandosi nettamente da entrambi, i primi “coloristi” cominciarono - negli anni '50 del '900 - a mettere in discussione l’idea stessa dell’amplificazione facciale del suono.
Quindi è assolutamente normale che Ruffo (come giustamente osservi) usasse a sua volta le cavità facciali come risuonatori.
Come avrebbero ottenuto altrimenti quelle bordate sonore, quei giavellotti sillabici scagliati oltre l'orchestra che rappresentavano il segreto della loro rivoluzione?
ti pare che i grandi Wagneriani aprissero i suoni? Melchior? La Varnay? Hotter? cantano forse aperto?
Nessuno prima degli anni '50 "apriva" veramente (anche se qualche fremito, come dicevo, lo possono dare certi francesi e Schipa).
Nemmeno uno sperimentatore pazzo come Chaliapine apriva i suoni quando affrontava i cantabili (se non per fare i suoi "versetti" espressivi).
La mia tesi, semmai, è che il modo di usare le cavità facciali (e soprattutto il fiato) è tecnicamente diversissimo fra declamatori e vocalisti.
Il modo di "amplificare" (io non direi "immascherare") di Ruffo non era certo quello di Battistini o di Maurel, no?
Caruso in alcuni dischi emette la voce esattamente come Pavarotti - che infatti poteva permettersi di imitarlo negli effetti puramente vocali di certe canzoni ("Le ragazze di Trieste...", per esempio), ma si tratta di due modi di cantare diversi nell'opera non per come emettono la voce, ma per altre ragioni di stile, di musicalità, di solfeggio: sicuramente c'era una differenza di dizione, Caruso tendeva ancora ad ammorbidire molte consonanti e ad omogeneizzare a volte le vocali, e quando non legava faceva i suoi bei portamentoni, ma in alcuni aspetti trovo la sua "dizione" vicina a quella di Domingo -altro caso diverso- e lontanissima da quella di Vickers o di Tamagno.
Secondo me, la questione è più semplice di come può sembrare.
Noi oggi siamo talmente abituati a Caruso (anche attraverso le generazioni di imitatori e prosecutori che ha avuto) da non renderci più conto bene di che razza di rivoluzione abbia incarnato ai suoi anni.
Fu uno choc per l'Italia e per il mondo, e proprio la choccante emissione che proponeva è una delle ragioni del suo mito, secondo me.
Che la sua formazione originaria fosse di matrice belcantista (ossia la stessa famiglia, mutatis mutandis, di Tamagno e De Lucia) è un conto.
Ma che egli abbia forzato quell'emissione in un'altra direzione mi pare pur sempre evidente.
Il Caruso maturo usava il fiato più come propulsore che come mantice (e questa è proprio una delle grandi lezioni del declamato). Infatti non era in grado di gestire la dinamica con la stessa varietà di effetti dei suoi confratelli vocalisti. I pianissimi di Caruso non erano mai veramente pianissimi.
Nel suo canto la scansione sillabica prevaleva sulla linea (e anche questo è un segno importantissimo).
Infine la sua "copertura" vocalica puntava più all'esaltazione del corpo sonoro, alla scurissima timbrica, che non al virtuosismo e all'esasperazine del fraseggio (altro aspetto in comune con i declamatori dell'epoca).
Vuoi l'ultima prova: l'estensione. Caruso, col suo nuovo canto, dovette praticamente comprimere al medium il meglio della sua arte, altra caratteristica tipica dei declamatori.
Privo di vera dinamica, privo di agilità, corto nell'estensione, poderoso nella scansione e nella propulsione sonora, Caruso fu per me la risposta italiana (la prima risposta) alla rivoluzione declamatoria: e fu talmente choccante da sconvolgere il mondo.
Poi è chiaro che qualcosa del canto vocalistico la manteneva... il legato, l'omogeneità timbrica, ecc... se vuoi, possiamo ascriverlo al gruppo dei "declamatori morbidi" (come Melchior) che praticano un declamato che non prescinde da alcuni aspetti cari al vocalismo (legato e morbidezza), ma io non avrei dubbi nel considerarlo non solo l'iniziatore ma addirittura il monarca dei declamatori all'italiana.
Pavarotti.
Pavarotti era invece un vocalista. Tutto nella sua emissione (il fiato, l'immascheramento perfetto degli acuti, la copertura del passaggio) lo testimoniano.
Semmai - e qui so che mi farò molti nemici - era un vocalista un po' modesto!
A mio parere la sua tecnica (parlo di tecnica vocalistica) era tutt'altro che esemplare: non solo un Pertile sembra un Dio rispetto a lui, ma persino un Corelli e un Bergonzi lo battevano senza difficoltà.
Certo... il suo timbro era molto, molto bello... E gli acuti tanto facili.
Inoltre anche lui (come moltissimi tenori del secondo dopoguerra) invidiava la grande espressività dei tenori declamatori, e così invece di approfondire meglio la sua tecnica (per esempio in termini di dinamica, di virtuosismo, di legato) imitava maldestramente certe scansioni sillabiche e certe soluzioni retoriche tipiche dei declamatori (dei quali peraltro non possedeva la tecnica) e questo spiega la vicinanza che - giustamente - scorgi rispetto alla dizione di Domingo, il quale invece appartiene per me ai declamatori.
E a proposito di Domingo... ne ho anche per lui!
Volendolo ascrivere ai nostri gruppi, non c'è dubbio che sia un declamatore (sia pure "morbido" ossia desideroso di "imitare" l'idea di legato e morbidezza che solo i vocalisti veri dominano).
Il problema è che, se Pavarotti (vocalista) era un modesto vocalista, Domingo (declamatore) era un modesto declamatore.
Tanto nella produzione del suono, quanto nella propulsione del fiato, quanto nell'articolazione sillabica i risultati da lui ottenuti sono per me di estrema modestia. Non c'è davvero modo di paragonarlo ai massimi declamatori (italiani e non) del primo e del secondo novecento, morbidi e non...
Visto che ne abbiamo parlato, basta una sillaba (dico una sillaba) del Parsifal di Hofmann per capire l'enorme differenza tra un grande e un piccolo declamatore.
E Tamagno, con le sue vocali apertissime, che cos'era? E De Lucia e Bonci con il loro vibrato che cos'erano? vocalisti o altro? non vedo molto in comune fra la loro tecnica vocale e quella di Kraus (che dovrebbe rientrare nella categoria dei vocalisti).
Secondo me, le vocali di Tamagno non erano affatto apertissime. Erano chiare, è vero... ma chiaro non vuol dire aperto.
Se ti sforzi di capire "dove" il suono viene piazzato, ti accorgi che Tamagno lo piazza sempre e comunque nella maschera, proprio come Bonci e De Lucia, proprio come Kraus.
E' chiaro che sono diversi, è chiaro che (come direbbero i Cellettiani) è diverso lo stile, oltre che il mezzo.
Ma nel loro caso gli elementi "topici" del grande vocalismo sono comunque presenti.
Ossia il canto sul "fiato" e l'immascheramento vocalico.
E De Lucia che canta "Che gelida manina" secondo me mette in crisi tutte le possibili classificazioni...
Che dirti... Non secondo me...
Siamo comunque nel pieno del vocalismo.
Non ho trovato la "manina" su Youtube, ma se senti la Tosca senti la più totale osservanza di ogni dettame vocalistico.
Quali che siano le sue stranezze, immascheramento e uso del fiato sono gli stessi delle regole auree... Non trovi?
Delle donne antiche si potrebbe dire molto, ma basta l'accenno alla Melba, altra diva secondo me rappresentata molto bene dal disco (fino al 1926 dal vivo!): che cosa può avere in comune la sua tecnica vocale con quella di una Sutherland o di una Devia (perfetta "vocalista") o di una Magda Olivero che ha sempre detto di essere la perfetta incarnazione su questa terra del canto appoggiato sul fiato?
Mi spiace ripetermi!
Che cosa ha in comune?
Sempre la stessa cosa: immascheramento, passaggio di registro coperto, uso del fiato!
Siamo sempre lì: le altre differenze non contano, perché sono questi gli elementi che servono - a mio parere - a caratterizzare l'appartenenza o meno a un gruppo.
Che cosa hanno in comune una biscia e un'alce?
La colonna vertebrale.
E perciò sono entrambe vertebrati.
Ultima osservazione, per ora: ho l'impressione che il parlare di colori possa generare qualche incomprensione, perchè mi è capitato di sentire critici "tradizionali" che parlavano dei "meravigliosi colori" delle interpretazioni di Bergonzi o di altri cantanti dalla tecnica "tradizionale": e cito questo esempio perché mi pare che il "vocalista" Bergonzi sia esattamente l'opposto di ciò che qui si intende per "colorismo".
Verissimo.
Infatti ogni volta che usiamo questi termini rischiamo di generare confusione.
I critici di solito usano il termine colori per intendere quello che noi chiamiamo "chiaroscuri", ossia capacità di passare da sonorità scurite a sonorità schiarite... questo possono farlo agevolmente anche i declamatori e i vocalisti...
Noi per colori intendiamo proprio i colori vocalici puri (a...e... i... o... u... e tutti gli altri ) che solo i coloristi - ossia quelli che cantano aperto - possono valorizzare veramente.
Ah... la terminologia...
Aspetto tutte le tue contro-repliche!
Salutoni e grazie mille degli spunti fantastici...
Mat