Il canto: tecnica o tecniche?

problemi estetici, storici, tecnici sull'opera

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Re: "Declamatori", "coloristi", scuole varie...

Messaggioda MatMarazzi » gio 02 dic 2010, 11:22

Rodrigo ha scritto:Mancano i francesi!


Intanto che piacere ritrovarti! :)

Ne so poco, ma dall'ascolto ho maturato la convinzione che - complice il repertorio tipico e forse il carattere stesso della lingua - i cantanti "storici" transalpini facciano abbastanza parte a sè come stile di canto. Questo almento fino alla fine della seconda guerra mondiale (Vanzo è una specie di frutto postumo).


Su Vanzo, io l'ho sempre considerato uno dei tanti figli disseminati dalla piaga del Giglismo! :) Una specie di Ferruccio Tagliavini d'oltralpe! :)
Però sui Francesi hai assolutamente ragione...
Deve essere successo qualcosa di strano nel secondo Ottocento in Francia... Il canto classico deve aver subito alcune trasformazioni particolari e radicali meno strombazzate di quelle tedesche e dunque poco documentate.
Però la sensazione resta... Ne abbiamo parlato nel thread dedicato alla Viardot.
Un fatto è certo: alla nascita del disco c'è arrivata dalla Francia una serie di stranezze (tali per noi) che testimoniano uno sperimentalismo veramente spettacolare. Bassi e baritoni all'apparenza chiarissimi (come Plançon e Maurel) ma a cui veniva destinati personaggi immensi; soprani eterei e sublimanti (come la Calvé) per cui venivano composti personaggi torbidi e sensuali e iperrealisti; tenori-trombetta che parevano assimilabili al modello Tamagno (Escalais, Affré) ma con reminescenze ancora più antiche (Duprez stesso?); declamatrici fatte e finite, simili alle coeve tedesche (la Caron, la Litvinne, fino alla Lubin); e che dire di quei cantanti come De Reszke (ok, di origini polacche ma francesissimo come formazione) di cui non ci sono arrivate tracce sonore bensì racconti fantascientifici (Romeo, Raoul, Radames, Otello, Tristano... il tutto con un estensione praticamente baritonale).
E che dire del fatto che, già all'alba del disco elettrico, ci sono arrivate testimonianza sonore dalla Francia di un canto già talmente lavorato sulle vocali da apparire quasi più colorista (ante-litteram) che declamatorio (Thill, Endreze?).
Bisognerebbe davvero cercare di capire cosa è successo in francia dal Secondo Impero in poi. Deve esserci stato un sommovimento spettacolare, che andrebbe meglio studiato.
Tu dici
complice il repertorio tipico e forse il carattere stesso della lingua

mah... non so se le radici vere sono queste. Credo piuttosto che la radice di tutto vada colta in un altro aspetto...

E' vero che bisognerebbe distinguere bene i cantanti da opera e quelli da opera comique.


Ecco, invece secondo me il segreto è tutto qui.
A differenza di quello che si crede (e che soprattutto vien da credere sentendo la Sutherland che canta allo stesso modo la Grand-Duchesse e Robert le Diable), l'Opéra comique bonapartista andò secondo me a scavare in una forma di canto più popolare che classica.
E lo stesso avrebbero fatto, a cavallo fra i due secoli, gli Hahn e i Satie.
Secondo me la tecnica vocale degli chansonniers e degli specialisti del teatro popolare era completamente diversa da quella praticata all'Opéra e agli Italiens: e credo che con la crisi del romanticismo e la nascita delle poetiche naturaliste e simboliste, il canto "popolare" francese abbia talmente preso piede da condizionare quello aulico.
Se poi ad esso mescoli l'impatto (fortissimo in Francia) del nuovo dramma musicale wagneriano (che d'altronde traeva ispirazione dai grandi recitativi della Tragédie Lyrique), il fascino di figure mitiche come la Viardot, la memoria di vocalità antiche, mai veramente tramontate, come quella di Duprez e altri idoli del Grand-Opéra... salta fuori una miscela inestricabile.

E tuttavia anche nel caso dei francesi (pure con tutte le loro particolarità) io non credo che sia possibile uscire dalla dialettica vocalismo-declamato che informa tutta l'epoca...

Venendo alle interessantissime questioni mosse da Enrico,

Le registrazioni antiche secondo me sono spesso molto fedeli nel rendere le voci e spesso anche il timbro: per rendersene conto basta ascoltare i dischi di cantanti che hanno cominciato a incidere col sistema acustico e hanno continuato col sistema elettrico per arrivare in alcuni casi anche alle registrazioni su nastro o ai primi esperimenti stereofonici (Gigli, Schipa, Ezio Pinza...): è vero che il suono antico è più povero, ma le voci restano perfettamente riconoscibili, e anche lo stile di canto si può giudicare molto bene. Ciò che manca a volte è la possibilità di immaginare come suonassero quelle voci in teatro con una vera orchestra davanti (e non con le orchestrine lontane dei dischi acustici).


Sacrosanto tutto.
E comunque io credo che tutte le voci dell'epoca acustica possedessero buona propagazione nello spazio (parlo di ambienti chiusi), perché sia vocalisti, sia declamatori usavano l'amplificazione facciale.
Il vero problema della propagazione sonora ha riguardato solo i coloristi, che - cantando aperto - risultano molto meglio in disco che in teatro.
Chiunque abbia sentito dal vivo la Von Otter (la regina di tutte le coloriste del mondo) può testimoniarlo.
Misterioso, per me, resta solo il caso di Schipa.
Davvero non immagino come suonasse dal vivo (se ne può avere un'idea in certi "live" dal vivo, purtroppo molto tardivi).
Il fatto è che, come ho scritto in un thread dedicato a lui, c'è qualcosa nella tecnica di Schipa (lo Schipa maturo, dalla metà degli anni venti e soprattutto degli anni 30) che mi sconcerta.
Ho infatti l'impressione che al centro egli inauguri una serie di sorvegliatissime aperture che già (in anticipo di almeno vent'anni) sembrano alludere al colorismo.
I dischi acustici, quando Schipa era più giovane e secondo me ancora molto lontano dalle sperimentazioni della maturità, non comunicano l'espressività spaventosa di qualche anno dopo. Ciò mi induce a pensare che Schipa, divenendo uno dei sovrani mondiali del disco elettrico, abbia finito per elaborare - come tanti anni dopo la Callas - una tecnica specifica per il microfono: una tecnica che alternasse sussurri e delicate aperture di suono (rigorosamente nel medium, mai in acuto) molto ma molto simili al futuro colorismo.
Che il giovane Di Stefano si professasse un erede di Schipa (e che inizialmente venisse distribuito proprio nel suo repertorio) in fondo non mi stupisce.

Qualche dubbio su alcuni esempi proposti: Titta Ruffo cantava con voce immascherata, i suoi non mi sembrano suoni aperti,ma è vero che sapeva mantenere la chiarezza delle vocali,


Attenzione Enrico, forse non mi sono espresso bene.
Io ho sempre sostenuto che i declamatori (specie quelli originari) usassero a loro volta gli amplificatori facciali.
Non ho mai detto che cantassero "aperto" (l'apertura del suono è un'invenzione del secondo dopoguerra e va ascritta al dilagare del colorismo).
Ecco cosa scrivevo nei post precedenti:

I vocalisti non sono gli unici in grado di usare le cavità del corpo come risuonatori: lo fanno anche moltissimi cantanti pop; lo fanno anche i declamatori.

E poco dopo, parlando dei declamatori:

Tale tecnica (QUELLA DECLAMATORIA) continuava a sfruttare le cavità craniche per amplificare i suoni, ma non più puntando – come i vocalisti – sull’omogeneità dei colori, bensì esasperando i contrasti vocalici e le rotture di registro In modo da valorizzare la sillaba sulla melodia).

Ho ribadito il concetto anche parlando dei coloristi (loro sì che aprivano).

Se c'è una cosa che vocalisti e declamatori avevano in comune era l'esigenza di farsi sentire in spazi acustici più o meno vasti.
Lo sfruttamento delle cavità facciali come "risuonatori" (sia pure condotto in modo completamente diverso) era dunque indispensabile agli uni come agli altri.
Staccandosi nettamente da entrambi, i primi “coloristi” cominciarono - negli anni '50 del '900 - a mettere in discussione l’idea stessa dell’amplificazione facciale del suono.


Quindi è assolutamente normale che Ruffo (come giustamente osservi) usasse a sua volta le cavità facciali come risuonatori.
Come avrebbero ottenuto altrimenti quelle bordate sonore, quei giavellotti sillabici scagliati oltre l'orchestra che rappresentavano il segreto della loro rivoluzione?
ti pare che i grandi Wagneriani aprissero i suoni? Melchior? La Varnay? Hotter? cantano forse aperto?
Nessuno prima degli anni '50 "apriva" veramente (anche se qualche fremito, come dicevo, lo possono dare certi francesi e Schipa).
Nemmeno uno sperimentatore pazzo come Chaliapine apriva i suoni quando affrontava i cantabili (se non per fare i suoi "versetti" espressivi).
La mia tesi, semmai, è che il modo di usare le cavità facciali (e soprattutto il fiato) è tecnicamente diversissimo fra declamatori e vocalisti.
Il modo di "amplificare" (io non direi "immascherare") di Ruffo non era certo quello di Battistini o di Maurel, no?

Caruso in alcuni dischi emette la voce esattamente come Pavarotti - che infatti poteva permettersi di imitarlo negli effetti puramente vocali di certe canzoni ("Le ragazze di Trieste...", per esempio), ma si tratta di due modi di cantare diversi nell'opera non per come emettono la voce, ma per altre ragioni di stile, di musicalità, di solfeggio: sicuramente c'era una differenza di dizione, Caruso tendeva ancora ad ammorbidire molte consonanti e ad omogeneizzare a volte le vocali, e quando non legava faceva i suoi bei portamentoni, ma in alcuni aspetti trovo la sua "dizione" vicina a quella di Domingo -altro caso diverso- e lontanissima da quella di Vickers o di Tamagno.


Secondo me, la questione è più semplice di come può sembrare.
Noi oggi siamo talmente abituati a Caruso (anche attraverso le generazioni di imitatori e prosecutori che ha avuto) da non renderci più conto bene di che razza di rivoluzione abbia incarnato ai suoi anni.
Fu uno choc per l'Italia e per il mondo, e proprio la choccante emissione che proponeva è una delle ragioni del suo mito, secondo me.
Che la sua formazione originaria fosse di matrice belcantista (ossia la stessa famiglia, mutatis mutandis, di Tamagno e De Lucia) è un conto.
Ma che egli abbia forzato quell'emissione in un'altra direzione mi pare pur sempre evidente.
Il Caruso maturo usava il fiato più come propulsore che come mantice (e questa è proprio una delle grandi lezioni del declamato). Infatti non era in grado di gestire la dinamica con la stessa varietà di effetti dei suoi confratelli vocalisti. I pianissimi di Caruso non erano mai veramente pianissimi.
Nel suo canto la scansione sillabica prevaleva sulla linea (e anche questo è un segno importantissimo).
Infine la sua "copertura" vocalica puntava più all'esaltazione del corpo sonoro, alla scurissima timbrica, che non al virtuosismo e all'esasperazine del fraseggio (altro aspetto in comune con i declamatori dell'epoca).
Vuoi l'ultima prova: l'estensione. Caruso, col suo nuovo canto, dovette praticamente comprimere al medium il meglio della sua arte, altra caratteristica tipica dei declamatori.
Privo di vera dinamica, privo di agilità, corto nell'estensione, poderoso nella scansione e nella propulsione sonora, Caruso fu per me la risposta italiana (la prima risposta) alla rivoluzione declamatoria: e fu talmente choccante da sconvolgere il mondo.
Poi è chiaro che qualcosa del canto vocalistico la manteneva... il legato, l'omogeneità timbrica, ecc... se vuoi, possiamo ascriverlo al gruppo dei "declamatori morbidi" (come Melchior) che praticano un declamato che non prescinde da alcuni aspetti cari al vocalismo (legato e morbidezza), ma io non avrei dubbi nel considerarlo non solo l'iniziatore ma addirittura il monarca dei declamatori all'italiana.

Pavarotti.
Pavarotti era invece un vocalista. Tutto nella sua emissione (il fiato, l'immascheramento perfetto degli acuti, la copertura del passaggio) lo testimoniano.
Semmai - e qui so che mi farò molti nemici - era un vocalista un po' modesto! :)
A mio parere la sua tecnica (parlo di tecnica vocalistica) era tutt'altro che esemplare: non solo un Pertile sembra un Dio rispetto a lui, ma persino un Corelli e un Bergonzi lo battevano senza difficoltà.
Certo... il suo timbro era molto, molto bello... E gli acuti tanto facili.
Inoltre anche lui (come moltissimi tenori del secondo dopoguerra) invidiava la grande espressività dei tenori declamatori, e così invece di approfondire meglio la sua tecnica (per esempio in termini di dinamica, di virtuosismo, di legato) imitava maldestramente certe scansioni sillabiche e certe soluzioni retoriche tipiche dei declamatori (dei quali peraltro non possedeva la tecnica) e questo spiega la vicinanza che - giustamente - scorgi rispetto alla dizione di Domingo, il quale invece appartiene per me ai declamatori.
E a proposito di Domingo... ne ho anche per lui! :)
Volendolo ascrivere ai nostri gruppi, non c'è dubbio che sia un declamatore (sia pure "morbido" ossia desideroso di "imitare" l'idea di legato e morbidezza che solo i vocalisti veri dominano).
Il problema è che, se Pavarotti (vocalista) era un modesto vocalista, Domingo (declamatore) era un modesto declamatore.
Tanto nella produzione del suono, quanto nella propulsione del fiato, quanto nell'articolazione sillabica i risultati da lui ottenuti sono per me di estrema modestia. Non c'è davvero modo di paragonarlo ai massimi declamatori (italiani e non) del primo e del secondo novecento, morbidi e non...
Visto che ne abbiamo parlato, basta una sillaba (dico una sillaba) del Parsifal di Hofmann per capire l'enorme differenza tra un grande e un piccolo declamatore.

E Tamagno, con le sue vocali apertissime, che cos'era? E De Lucia e Bonci con il loro vibrato che cos'erano? vocalisti o altro? non vedo molto in comune fra la loro tecnica vocale e quella di Kraus (che dovrebbe rientrare nella categoria dei vocalisti).


Secondo me, le vocali di Tamagno non erano affatto apertissime. Erano chiare, è vero... ma chiaro non vuol dire aperto.
Se ti sforzi di capire "dove" il suono viene piazzato, ti accorgi che Tamagno lo piazza sempre e comunque nella maschera, proprio come Bonci e De Lucia, proprio come Kraus.
E' chiaro che sono diversi, è chiaro che (come direbbero i Cellettiani) è diverso lo stile, oltre che il mezzo.
Ma nel loro caso gli elementi "topici" del grande vocalismo sono comunque presenti.
Ossia il canto sul "fiato" e l'immascheramento vocalico.

E De Lucia che canta "Che gelida manina" secondo me mette in crisi tutte le possibili classificazioni...


Che dirti... Non secondo me...
Siamo comunque nel pieno del vocalismo.
Non ho trovato la "manina" su Youtube, ma se senti la Tosca senti la più totale osservanza di ogni dettame vocalistico.
Quali che siano le sue stranezze, immascheramento e uso del fiato sono gli stessi delle regole auree... Non trovi?




Delle donne antiche si potrebbe dire molto, ma basta l'accenno alla Melba, altra diva secondo me rappresentata molto bene dal disco (fino al 1926 dal vivo!): che cosa può avere in comune la sua tecnica vocale con quella di una Sutherland o di una Devia (perfetta "vocalista") o di una Magda Olivero che ha sempre detto di essere la perfetta incarnazione su questa terra del canto appoggiato sul fiato?


Mi spiace ripetermi! :)
Che cosa ha in comune?
Sempre la stessa cosa: :) immascheramento, passaggio di registro coperto, uso del fiato!
Siamo sempre lì: le altre differenze non contano, perché sono questi gli elementi che servono - a mio parere - a caratterizzare l'appartenenza o meno a un gruppo.
Che cosa hanno in comune una biscia e un'alce?
La colonna vertebrale.
E perciò sono entrambe vertebrati.

Ultima osservazione, per ora: ho l'impressione che il parlare di colori possa generare qualche incomprensione, perchè mi è capitato di sentire critici "tradizionali" che parlavano dei "meravigliosi colori" delle interpretazioni di Bergonzi o di altri cantanti dalla tecnica "tradizionale": e cito questo esempio perché mi pare che il "vocalista" Bergonzi sia esattamente l'opposto di ciò che qui si intende per "colorismo".


Verissimo.
Infatti ogni volta che usiamo questi termini rischiamo di generare confusione.
I critici di solito usano il termine colori per intendere quello che noi chiamiamo "chiaroscuri", ossia capacità di passare da sonorità scurite a sonorità schiarite... questo possono farlo agevolmente anche i declamatori e i vocalisti...
Noi per colori intendiamo proprio i colori vocalici puri (a...e... i... o... u... e tutti gli altri :) ) che solo i coloristi - ossia quelli che cantano aperto - possono valorizzare veramente.
Ah... la terminologia... :)

Aspetto tutte le tue contro-repliche!
Salutoni e grazie mille degli spunti fantastici...

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Re: "Declamatori", "coloristi", scuole varie...

Messaggioda Alberich » gio 02 dic 2010, 11:43

Interessantissimo. Secondo me andrebbe rivisto e presentato a qualche rivista, sarebbe interessante stimolare un dibattito oltre questo forum.
Avrei un solo appunto: a me non pare che i vocalisti (se ho capito uno dei tuoi punti) privilegino il suono a scapito della chiarezza della dizione.

Il suo grande limite (ma non ha senso parlare di limite in questo caso) era che le vocali - ossia i "colori" della voce - risultavano come omogeneizzati in un suono indistinto, rendendo molto difficile la valorizzazione e persino la comprensione della parola cantata.


Non tutti i vocalisti sono la Sutherland. Anzi, ami sembra che molti tra i piu' fulgidi esempi di dizione chiara si trovino tra i vocalisti (penso a Siepi, a Galeffi, a Pavarotti, a Kraus ecc).
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Re: "Declamatori", "coloristi", scuole varie...

Messaggioda MatMarazzi » gio 02 dic 2010, 12:02

Alberich ha scritto:Interessantissimo. Secondo me andrebbe rivisto e presentato a qualche rivista, sarebbe interessante stimolare un dibattito oltre questo forum.


Mah... io ho qualche perplessità sulle riviste! :)
E poi qui stiamo benissimo... qui non ci sono a romperci gli zibidei i soliti maestri di canto (tutti persuasi di essere gli unici possessori della verità: li odiava anche Celletti) e men che meno foniatri che pensano di poter stabilire se canterai Siegfried o Tamino misurandoti le corde vocali! :)
Qui possiamo ragionare con calma, fra amici e appassionati... direttamente sugli esempi.

Avrei un solo appunto: a me non pare che i vocalisti (se ho capito uno dei tuoi punti) privilegino il suono a scapito della chiarezza della dizione.

Il suo grande limite (ma non ha senso parlare di limite in questo caso) era che le vocali - ossia i "colori" della voce - risultavano come omogeneizzati in un suono indistinto, rendendo molto difficile la valorizzazione e persino la comprensione della parola cantata.


Non tutti i vocalisti sono la Sutherland. Anzi, ami sembra che molti tra i piu' fulgidi esempi di dizione chiara si trovino tra i vocalisti (penso a Siepi, a Galeffi, a Pavarotti, a Kraus ecc).


Giusta osservazione.
L'adesione a una scuola "tecnica" può condurre a diversi gradi di osservanza.
Fermo restando che tutti i vocalisti "immascherano", c'è chi lo fa di più e chi lo fa di meno.
La Sutheralnd è un ottimo esempio perché lei ha portato le prerogative del vocalismo a un livello estremo, pregi e difetti.
E così nessuno è virtuoso quanto lei (Galeffi, Pavarotti e Kraus se li sognano i trilli, le volatine, i gruppetti di Dame Joan), ma nessuno è indecifrabile quanto lei.
In generale, come abbiamo detto, i vocalisti possono schiarire e scurire i suoni fino a dare l'idea delle vocali, ma non delle vocali "pure"... il loro è sempre un simulacro di vocale.
Così puoi arrivare a comprendere quel che Galeffi dice, ma se ascolti bene le sue "a" e le sue "e" non saranno mai vere e indiscutibili come le "a" e le "e" di un colorista.

Prendi la Von Otter nel lamento di Arianna.
Senti solo la prima frase "lAsciAtemi morire"
E dimmi se (in Galeffi, in Pavarotti, Kraus) hai mai sentito delle A così... così colorate.



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Re: "Declamatori", "coloristi", scuole varie...

Messaggioda Tucidide » gio 02 dic 2010, 12:45

La discussione si sta facendo, come previsto, interessantissima.
Aspetto con ansia nuovi sviluppi sulla questione francese, amando il canto francese e anche il repertorio. Fra i transalpini si possono sentire davvero cantanti assai particolari, che non trovano corrispettivi fra tedeschi e italiani, o slavi e americani. Penso ad esempio ai soprani come la Robin, la Mesplé, oppure quelle voci particolari come la Boué (che io personalmente detesto) e la Doria (che mi piace invece moltissimo). I tenori francesi poi sono stati fra i più espressivi, Thill su tutti. Vanzo non lo definirei tanto un "giglino", ma un "thillino" più chiaro. :D
A me pare che la lingua francese inviti ai colori. I suoni vocalici sono più vari e cangianti, e questo aiuta la ricerca dei colori.
Comunque, non ne so a sufficienza per parlarne più diffusamente, e pertanto attendo.

Su Pavarotti, sono d'accordo con Mat nel dire che la sua tecnica non fosse perfetta, anzi. I difetti che tutti i critici gli imputano, come la mancanza di una vera mezzavoce, il disagio nelle sfumature in acuto, sono lì a testimoniarlo. Poi Pavarotti non aveva i centri oscurati tipici dei vocalisti. Nei centri, big Luciano cantava bello aperto, come il suo idolo Di Stefano. Solo in acuto copriva, e ci mise anche un po' ad imparare bene, senza incorrere in stecche o suoni stretti.
Su Domingo, invece, esiterei non poco a chiamarlo "declamatore". A me pare che in lui la ricerca del legato prevalesse sulla scansione. Non so se i risultati magari piacevoli, ma non illuminanti, del suo Wagner vadano ascritti ad una modesta tecnica di declamato e non piuttosto al fatto che lui fosse in fondo un erede del Wagner "latino", quindi decisamente spostato sul versante vocalistico. Che poi Domingo ricercasse un suono scuro, inchiostrasse l'emissione (il difetto che gli trovava Celletti) e quindi non fosse un vocalista provetto, è verissimo. Ma la sua mi pare ricerca di un colore, più che tecnica da declamatore.

Sui colori. Io ho una visione un po' diversa. Il vocalista vero non ha i colori chiari e colori scuri. Ha solo QUEL colore, quello che l'emissione perfettamente calibrata gli consente. A me pare che quando si parla di colori in riferimento ai vocalisti, si intenda l'uso della dinamica e della mezzavoce. Quindi, uno come Tagliavini, o Gigli, o Schipa, avevano moltissimi colori perché potevano rinforzare, smorzare, fare mezzevoci e falsettoni senza problemi.
Io ho un'idea più da "pittore" del colore. Per me il colore è la capacità di fare la stessa nota con diversi "tipi" di emissione, quasi cambiando tecnica. Non ritengo i timbri vocalici oggetto del canto coloristico. Se ho ben capito, Mat, tu ritieni il colore la capacità di cantare le vocali spiccando bene la loro articolazione, senza coprirle e oscurarle.

Un ultimo punto. Forse sbaglierò io, ma non mi pare che un colorista, anche radicale, possa abdicare al suono "amplificato" naturalmente dai risuonatori facciali. I teatri non sono stanzette, e un suono non amplificato non arriva proprio! E' vero che i vociomani lamentano quasi sempre, nei cantanti odierni, il fatto che "non si sentono", magari anche quando si sentono benissimo, ma non ronzano nelle orecchie, non producono il cosiddetto "metallo"; in ogni caso, per me un suono "non amplificato" è quello puro, vicino al parlato, che è usato molto nella musica leggera, nel pop, anche nel rock. Che ne so, Freddie Mercury non cantava "amplificato" naturalmente, e infatti usava il microfono. C'è una tecnica anche lì, sicuramente, ma non di amplificazione. Secondo me la von Otter, colorista radicale, sarà sicuramente non potente dal vivo (non l'ho mai sentita) ma se si sente, vuol dire che usa i propri risuonatori per amplificare.
Il mondo dei melomani è talmente contorto che nemmeno Krafft-Ebing sarebbe riuscito a capirci qualcosa...
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Re: "Declamatori", "coloristi", scuole varie...

Messaggioda Alberich » gio 02 dic 2010, 12:48

: Thumbup : chiarissima spiegazione, grazie Mat.
Sulle riviste....il mio era un consiglio per uscire dal settarismo, assaltare il palazzo d'inverno e favorire il necessario trionfo della rivoluzione. :mrgreen:
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Re: "Declamatori", "coloristi", scuole varie...

Messaggioda MatMarazzi » gio 02 dic 2010, 15:46

Tucidide ha scritto:A me pare che quando si parla di colori in riferimento ai vocalisti, si intenda l'uso della dinamica e della mezzavoce. .


Mah... non saprei Tuc.
Per me quando si parla di dinamica... si parla di dinamica! :)
Non ho mai sentito nessuno dire che un pianissimo è un colore! Comunque sarà...


Alberich ha scritto:il mio era un consiglio per uscire dal settarismo, assaltare il palazzo d'inverno e favorire il necessario trionfo della rivoluzione.

eheheheh....
Non so... sarà che mi sento assai poco rivoluzionario in generale! ;)
Però non vedo l'esigenza di assaltare il palazzo d'inverno...
Se qualcuno si rifiuta di "usare le orecchie" e soffre a sentir minate le sue confortevoli certezze, perché dobbiamo infliggergli questo dolore?
Sbaglio?

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Re: "Declamatori", "coloristi", scuole varie...

Messaggioda Cantare bene » gio 02 dic 2010, 17:26

Non ho molto tempo, faccio solo un paio di osservazioni, ma dovrei farne centinaia.

1) secondo la mia filosofia del canto, costruire una sistematica come quella proposta da Matteo Marazzi, al di là della veridicità dei suoi contenuti (ma, ricordiamocelo, nessuno "schema", nessun "codice" è mai "vero", ma al contrario è solo un modo relativo di osservare e "ordinare" la realtà), è esercizio sterile di dubbia utilità. Come ha giustamente osservato Tucidice, le uniche "categorie" che a me interessano sono quelle del "cantare bene" e del "cantare male": per il resto trovo assurdo anche solo pensare di poter inquadrare in uno schema fisso le caratteristiche di ogni vocalità, dal momento che ciascuna voce presenta caratteristiche proprie, peculiari, che ne rendono improbabile la classificazione univoca.

2) non mi piace parlare di "canto classico" e di "canto leggero", ma solo di Canto. Quello che voi chiamate "canto leggero", per me non esiste, e non lo considero nemmeno. Di conseguenza, il "canto classico" (che poi è quello che io definisco unico vero "Canto"), non ha niente da imparare dal "canto leggero" (che "canto" non è, ed anzi per me manco esiste). Essenzialmente, c'è un solo modo di cantare, e non è né "leggero" né "classico": è Canto.

Un ulteriore appunto:
MatMarazzi ha scritto:A farcelo notare è proprio Celletti, non io (e so che ti fidi molto più di lui che di me!).

Io del Celletti che vuole insegnare come si fa a cantare e che pretende di essere sommo conoscitore della vocalità non mi fido per niente. Spessissimo anzi trovo sbagliati i suoi precetti, alla luce di quella che è la mia personale esperienza di studio dellle fonti e della stessa arte del canto che provo in prima persona. Quindi, non pensate che io sia qui a ripetere come un pappagallo quello che ha scritto Celletti nei suoi saggi.


Vedo comunque che la discussione va avanti bene anche senza di me, visti che altri sono intervenuti evidenziando questioni che pure io avrei sottolineate.

In particolare, si è parlato di Schipa. Schipa secondo me è l'esempio preclaro di come il canto corretto, il vero "bel canto", quello che qui chiamate "vocalismo", possa dare luogo ad infinite possibilità espressive, oltre a consentire una perfetta chiarezza delle vocali e una scansione precisissima delle consonanti. Schipa per me è l'incarnazione massima di quel concetto di "naturalezza" su cui insistevano già il Tosi ed il Mancini nel '700, e che è la cifra fondamentale del bel canto. Il vero bel canto non è artificioso, non è "manipolato": il bel canto è l'esaltazione della voce nella sua natura intrinseca. E la tecnica serve proprio a far emergere questa profonda natura, che senza una dovuta educazione rimarrà sempre nascosta sotto le cattive abitudini del mal-canto (ciò che voi chiamate "colorismo": e che io definisco fonazione becera ed ingolata).

Per "declamato" io intendo solo uno stile, non una tecnica. La voce, per essere emessa bene, può essere emessa in un solo modo. Tutto il resto io non posso approvarlo.

Saluti
Cantare bene
 

Re: "Declamatori", "coloristi", scuole varie...

Messaggioda Alberich » gio 02 dic 2010, 17:33

Anche per me non esistono i cavalli, ma solo le mucche e le mucche senza corna.
A parte la battuta, caro/a Cantar Bene, la tua e' una tassonomia tale e quale quelle di Matteo. Solo che la tua ha due elementi (A e non A), mentre quella di Matteo tre (A, B e C).
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Re: "Declamatori", "coloristi", scuole varie...

Messaggioda MatMarazzi » gio 02 dic 2010, 17:58

Alberich ha scritto:Anche per me non esistono i cavalli, ma solo le mucche e le mucche senza corna.
A parte la battuta, caro/a Cantar Bene, la tua e' una tassonomia tale e quale quelle di Matteo. Solo che la tua ha due elementi (A e non A), mentre quella di Matteo tre (A, B e C).


E c'è una differenza ancora più importante, caro Alberich.
Che io non pretendo che A sia giusto, B sbagliato, C inesistente...
Non sono così irrazionale.
Mi limito a osservarne l'esistenza e a rispettare il fatto che se la storia del canto li ha prodotti (e avallati, facendo entusiasmare milioni di persone) una ragione c'è.

Per quanto riguarda Cantare Bene, sarà perchè è di fretta, ma devo constatare che non ha aggiunto alcun elemento al dibattito che non sia il solito rosario di chi crede in "un solo canto". :)
Conto su altri contributi (ad esempio aspetto le risposte di Enrico e Rodrigo) perchè l'affascinante dibattito prosegua, ma per cortesia... su basi storiche!
I postulati e le verità rivelate lasciamoli a discipline non umanistiche.

Salutoni,
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Re: "Declamatori", "coloristi", scuole varie...

Messaggioda Maugham » gio 02 dic 2010, 19:06

Alberich ha scritto:Anche per me non esistono i cavalli, ma solo le mucche e le mucche senza corna.
A parte la battuta, caro/a Cantar Bene, la tua e' una tassonomia tale e quale quelle di Matteo. Solo che la tua ha due elementi (A e non A), mentre quella di Matteo tre (A, B e C).

:D :D :D :D :D
Siamo alle solite.
Finisce sempre così.
Quando mancano gli argomenti si arriva sempre alla solita storia del cantar bene e del cantar male. Oppure il vero Verdi e il falso Verdi, Shakespeare così come l'ha voluto Shakespeare.... :D :D :D :D
Chissà perchè succede solo quando si parla di teatro.
Pensa te se fossimo in un forum, che so io, di alta cucina e uno saltasse fuori dicendo che ci sono solo due tipi di cuochi: quelli del "cucinar bene" e quelli del "cucinar male"....
O che esiste solo la cucina italiana codificata a fine Ottocento nel manuale di Pellegrino Artusi.
Quella è la Cucina... tutto il resto non esiste.
Speravo in argomenti più convincenti.
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Re: "Declamatori", "coloristi", scuole varie...

Messaggioda Tucidide » gio 02 dic 2010, 22:45

MatMarazzi ha scritto:
Tucidide ha scritto:A me pare che quando si parla di colori in riferimento ai vocalisti, si intenda l'uso della dinamica e della mezzavoce. .


Mah... non saprei Tuc.
Per me quando si parla di dinamica... si parla di dinamica! :)
Non ho mai sentito nessuno dire che un pianissimo è un colore! Comunque sarà...

Beh, vedi, anche per me la dinamica dovrebbe essere... la dinamica. Poi però sento magnificare i colori della Sutherland, di Kraus, di Gigli, della Devia, e mi dico: grandi cantanti, certo, ma cantano su un solo colore, di fatto variando solo altezza ed intensità, ed accentando. Il colore è sempre quello. Mai sentito un suono scuro in Kraus, ad esempio.
Allora mi sono detto: forse con "colori" si intende la dinamica.

Cantare bene, alcune cose che dici mi trovano d'accordo, in particolare quando ti mostri scettico sulla possibilità di incasellare in uno schema sistematico le infinite possibilità del canto.
Dove sono in netto disaccordo è su questa frase:
non mi piace parlare di "canto classico" e di "canto leggero", ma solo di Canto. Quello che voi chiamate "canto leggero", per me non esiste, e non lo considero nemmeno. Di conseguenza, il "canto classico" (che poi è quello che io definisco unico vero "Canto"), non ha niente da imparare dal "canto leggero" (che "canto" non è, ed anzi per me manco esiste). Essenzialmente, c'è un solo modo di cantare, e non è né "leggero" né "classico": è Canto.

Escludere non già diverse correnti del canto lirico (io preferisco chiamarlo così) ma addirittura TUTTO il canto non lirico è semplicemente impensabile. :shock: Negare che la storia del canto lirico abbia subito influenze da parte delle altre forme di espressione canora mi pare forviante, perché preclude la possibilità di indagare influenze, significati, sostrati presenti ANCHE in cantanti... classicissimi. :D
Non so se ami Leontyne Price: beh, negare la vena jazz nel suo canto, in particolare nei suoni gravi e nell'uso dei portamenti significa togliere una parte del suo bello. :)
Ma poi, che diamine! :D il canto lirico non è mica il primo canto apparso sulla terra! Tu stesso dici che esso è (a tuo modo di vedere) il risultato teleologico di un'evoluzione, di un dirozzamento del canto dal Paleolitico in poi. Beh... ammettiamo che sia vero! Il canto, però, ha preso altre strade: gli aedi, gli attori della tragedia greca, i trovatori, i trovieri, i Minnesänger, i menestrelli, i cantastorie, le sciantose... tutto questo, prima del canto "moderno" propriamente detto, da Rabagliati fino a Francesco Renga, da Tony Williams a Michael Bublé.
Se neghi che Freddie Mercury sia un cantante, allora non lo è stato nessuno fino a Francesco Rasi. :shock:
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Re: "Declamatori", "coloristi", scuole varie...

Messaggioda Riccardo » gio 02 dic 2010, 23:00

Effettivamente nei Conservatori per "colori" si intendono solitamente le indicazioni dinamiche, per gli strumentisti e credo anche per i cantanti.

Ma è evidente che Matteo intende il colore in un'altra accezione, non dinamica ma qualitativa e che - guardate un po' - è la stessa che usava Garcia, anche se nel suo caso limitata a "chiaro" e "scuro".
Ich habe eine italienische Technik von meiner Mutter bekommen.
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Re: "Declamatori", "coloristi", scuole varie...

Messaggioda pbagnoli » ven 03 dic 2010, 0:27

Cantare bene ha scritto:
1) secondo la mia filosofia del canto, costruire una sistematica come quella proposta da Matteo Marazzi, al di là della veridicità dei suoi contenuti (ma, ricordiamocelo, nessuno "schema", nessun "codice" è mai "vero", ma al contrario è solo un modo relativo di osservare e "ordinare" la realtà), è esercizio sterile di dubbia utilità.

A parte il fatto che non sono per niente d'accordo con questa tua affermazione - tant'è vero che, su questa sistematizzazione, ci abbiamo costruito un sito - caro CB, spiegami, dove volevi andare a parare? Se avevi letto un po' delle nostre cose, dovevi sapere che questi sono i nostri cavalli di battaglia. Hai chiesto un sacco di spiegazioni per poi concludere comunque a modo tuo... Per noi è stato utile lo stesso per ribadire i concetti, cosa che non guasta mai, ma tu cosa te ne fai di questa roba? Nulla!

Cantare bene ha scritto:2) non mi piace parlare di "canto classico" e di "canto leggero", ma solo di Canto. Quello che voi chiamate "canto leggero", per me non esiste, e non lo considero nemmeno. Di conseguenza, il "canto classico" (che poi è quello che io definisco unico vero "Canto"), non ha niente da imparare dal "canto leggero" (che "canto" non è, ed anzi per me manco esiste).

:D
Ossignùr...
Decisamente, come diceva Danny Glover/Roger Murtaugh in Arma letale, "Sono troppo vecchio per (snip)..." : Chessygrin :
"Dopo morto, tornerò sulla terra come portiere di bordello e non farò entrare nessuno di voi!"
(Arturo Toscanini, ai musicisti della NBC Orchestra)
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Re: "Declamatori", "coloristi", scuole varie...

Messaggioda Tucidide » ven 03 dic 2010, 0:53

Se ho ben inteso quel che ha voluto dirci, CB (che detto così sembra un dispositivo da radioamatori :D ) si chiedeva se le categorie di cui si discute qui su OD fossero ripartizioni interne del gruppo dei "bencantanti".
In effetti, come dissi già tempo fa, un'accusa che si può muovere a chi crede nell'evoluzione delle tecniche e nell'accettazione e addirittura classificazione delle varie scuole di canto è quello del giustificazionismo. Tale deve apparire ai vociomani di stretta osservanza l'individuazione di più tecniche. Semplificando: "se uno non sa cantare, ci si inventa che usa una tecnica diversa pur di non ammettere che la sua è imperizia." :D
Io risponderei all'obiezione con la teoria del "controllo", ossia individuando nella sicurezza, nella confidenza del cantante nell'uso che fa della propria voce il discrimine per valutarne la tecnica.
Mi ripeto come i vegliardi... : Andry :
Anch'io dico la frase di Danny Glover. : Chessygrin :
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Re: "Declamatori", "coloristi", scuole varie...

Messaggioda Cantare bene » ven 03 dic 2010, 11:36

MatMarazzi ha scritto:io non pretendo che A sia giusto, B sbagliato, C inesistente...
Non sono così irrazionale.

Tu però, Marazzi, sembri pretendere qualcosa di molto più grave, e cioè che la tua tripartizione A,B,C sia VERA. Essa invece è solo un tuo modo di vedere le cose. Un modo che, peraltro, io non condivido minimamente, a partire dai suoi presupposti.

Tucidide ha scritto:Escludere non già diverse correnti del canto lirico (io preferisco chiamarlo così) ma addirittura TUTTO il canto non lirico è semplicemente impensabile.

Vedi Tucidide, per me già parlare di "canto lirico" ha scarso significato, è espressione pleonastica, un po' come dire "acqua bagnata". Aut-aut: Canto o non-canto. Non mi curo delle altre chiacchiere. E, quanto al canto che avrebbe preso "strade diverse" prima dell'avvento del "canto lirico" (non mi piace quest'espressione, la uso per farmi intendere), non sono affatto d'accordo... nessuno di noi può dire di aver sentito cantare gli aedi o i trovatori, ma una cosa è certa: quelle diavolerie chiamate "microfoni" allora non esistevano. E, visto che le rivoluzioni non esistono se non nelle favole che raccontano agli studenti, sono sicuro che a quei tempi non si cantasse molto diversamente da come si cantava nel Rinascimento o nel Barocco... la voce si usa in un solo modo, il resto è vociferazione buona solo per questa nostra modernità fracassona e diabolica.

Tucidide ha scritto:Se neghi che Freddie Mercury sia un cantante, allora non lo è stato nessuno fino a Francesco Rasi. :shock:

"Freddie Mercury"? Che cos'è? Bah... ripeto, quella che tutti chiamano "musica leggera", per me non esiste. Aut-aut: Musica o non-musica, il resto è chiacchiera.

pbagnoli ha scritto:caro CB, spiegami, dove volevi andare a parare? Se avevi letto un po' delle nostre cose, dovevi sapere che questi sono i nostri cavalli di battaglia. Hai chiesto un sacco di spiegazioni per poi concludere comunque a modo tuo... Per noi è stato utile lo stesso per ribadire i concetti, cosa che non guasta mai, ma tu cosa te ne fai di questa roba? Nulla!

Caro Bagnoli, io vi leggo occasionalmente, noto che parlate sempre di "declamatori" e "coloristi"... ero solo curioso di capire bene cosa significasse questa terminologia. Ora me lo avete chiarito e vi ringrazio. Ciò non toglie che io non sia minimamente d'accordo: mica volevo farmi convincere, volevo solo capire bene le vostre idee. Il fatto che il dibattitto sia tornato utile pure a voi mi fa piacere.

Tucidide ha scritto:"se uno non sa cantare, ci si inventa che usa una tecnica diversa pur di non ammettere che la sua è imperizia." :D
Io risponderei all'obiezione con la teoria del "controllo", ossia individuando nella sicurezza, nella confidenza del cantante nell'uso che fa della propria voce il discrimine per valutarne la tecnica.

Faccio l'esempio di Kaufmann: è chiaro che lui è ben consapevole di vociferare alla maniera d'un lupo mannaro con problemi di stipsi, lo fa pure con sommo controllo e confidenza, in questo è davvero bravo! Ciò non toglie che sia inascoltabile. Non so che farmene della "teoria del controllo", se prima non appago la "teoria dell'ascolto"... Si trovi un'altra parola con cui denominare il mestiere di questo Kaufmann: è chiaro che lo fa con perizia e consapevolezza, ma altrettanto chiaro è che non è un cantante!


Un'ultima cosa. Marazzi compie un errore grossolano quando scrive che il "limite" del belcanto "[...]era che le vocali - ossia i "colori" della voce - risultavano come omogeneizzati in un suono indistinto, rendendo molto difficile la valorizzazione e persino la comprensione della parola cantata. Ma, ripeto, non si trattava affatto di un limite per le estetiche barocche, che sottoscrissero, come abbiamo detto, il predominio della musica sulla poesia, del suono sulla parola."
Basta leggere i due più importanti trattatisti del '700, Pier Francesco Tosi e Giambattista Mancini, per smentire questa assurdità. La loro didattica prevedeva dapprima l'educazione dell'allievo nel solfeggio, per imparare a pronunziare ed articolare bene le vocali insieme con le consonanti, e solo in un secondo momento si intuonavano i vocalizzi. La parola ed il suono nel belcanto sono un tutt'uno, sono due elementi inseparabili, in simbiosi, interdipendenti. La parola non è qualcosa che viene "aggiunta" alla musica "dall'esterno". "Si canta come si parla": il belcanto (io semplificherei: il Canto) è appunto il "parlato" che si eleva e si trasfigura all'altezza trascendentale dell'arte, della musica. Il Canto è la parola fatta musica. Eccone l'esempio:

Cantare bene
 

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