I miti di Celletti

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Re: I miti di Celletti

Messaggioda FRITZ KOBUS » sab 24 apr 2010, 0:53

Caro Mat,
prima o poi ci dovremo incontrare; magari mi iscrivo al tuo club e vengo a una bella rappresentazione in Inghilterra o in Germania, così litighiamo per qualche migliaio di Km all'andata e qualche migliaio al ritorno. Sotto ti rispondo come riesco e posso.

Il fatto stesso che tu affermi che tra Pertrile e Wittrich vi sia "tanto quanto" dimostra che anche tu li hai messi a paragone traendone la tua personalissima e rispettabilissima conclusione che il loro livello sia uguale.
E' illogico affermare "non vi è opposizione", dal momento che tu stesso hai fondato il tuo giudizio su un confronto.
Non avresti detto la stessa cosa, immagino, se a Wittrich invece che Pertile avessi dovuto paragonare (che so) Martinucci...
Avresti detto (credo) che il primo è superiore al secondo. Con Pertile sei arrivato a un giudizio di uguaglianza rispetto a Wittrich e Company, proprio perché hai operato un confronto e formulato un giudizio, esattamente come Pietro.
Ma evidentemente tu puoi farlo e Pietro no!
O meglio, se lo fa Pietro (arrivando a un conclusione diversa dalla tua) allora è "esterofilia".


Mi riferivo a quanto mi ero permesso di scrivere su Pattiera che avevo (io), nel repertorio italiano, confrontato con italiani. Bagnoli (lui) ha espresso la sua opinione su Pertile confrontandolo (lui per primo) con Jadlowker e company, non io. Proprio con Wittrisch, Jadlowker e Roswaenge avrei (io) misurato Pattiera nel repertorio non italiano o, italiano, ma cantato in tedesco (lo farò appena ne avrò tempo). Obiezione respinta!!!!!!!!!!

Spero che tu mi permetta di dire come la penso...
"Leggere fra le righe" non è un buon esercizio, almeno per me.
Cercare le "intenzioni", coltivare le "impressioni" (tutti termini da te usati) e in definitiva pensare sempre che dietro le opinioni diverse dalle nostre ci sia sempre una ragione recondita è un modo un po' facile di evitare il confronto sui punti: se uno la pensa diversamente è perché ...è esterofilo.
E invece sarebbe più utile, invece che restare basiti, chiedersi perché altri ascoltatori si dilettano più ad ascoltare Roswaenge in Manrico che non Pertile.
E se non si è d'accordo, circostanziare la propria posizione.


Da dove ricavi l'idea che non voglia permetterti di dire coma la pensi? Puoi ritenere che non sia vero, ma "leggere tra le righe" non è un esercizio né buono né cattivo: si tratta di semplice, naturale, spontanea, sacrosanta esegesi del testo che ognuno di noi applica incessantemente a quanto legge; lo si fa in modo progressivamente maggiore tanto più alta è la qualità del testo che si ha sott'occhio. Non vedo perché partire dall'idea che si voglia fare i dietrologi per partito preso. Forse perché il più dietrologo è proprio chi attribuisce agli altri tale inclinazione? Non è vero che non mi chiedo come si faccia a preferire Roswaenge, ma come si faccia, caso mai, parlando di Pertile, a partire dai suoi limiti. Vi ha fatto qualcosa? Obiezione respinta!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Che il belcanto sia nato in Italia è un fatto.
Che sia IL modo corretto di cantare è un'opinione. Non è per nulla un fatto.
Anzi è un'opinione che si potrebbe smontare molto facilmente, usando le armi della logica.


Stai a vedere che il belcanto è diventato il modo "scoretto" di cantare. Se è un'opinione facilmente smontabile mi basta citarti: circostanziare per favore. Obiezione respinta!!!!!!!!!!!!!!

Partiamo dal fatto che tu credi di difendere il modo di fare l'"Opera" dalle "lesioni" di chi ne accetta l'evoluzione, ma non credo sia veramente così.
In realtà tu ti limiti a difendere solo "un" modo di intendere l'opera: quello che tu hai conosciuto e che tu hai amato.
Quello che, per usare una tua espressione, viene "leso" non è l'OPERA, ma tutt'al più l'insieme dei tuoi gusti, delle tue esperienze, delle tue preferenze, delle tue abitudini d'ascolto. Non posso credere che tu seriamente ritenga che questo "tuo" mondo (tuo e di chi condivide i tuoi gusti) sia L'OPERA e che qualunque altro orizzonte d'attesa (e ce ne sono stati tanti in quattro secoli di storia, nei milioni di persone che l'hanno ascoltata e l'ascoltano, nei cinque continenti dove l'Opera si è diffusa) non lo sia.
Io non mi scandalizzo se uno mi dice: quel che amo è questo modo di intendere l'opera e il canto. Il resto non mi interessa.
Mi scandalizzo invece (anzi mi incavolo proprio) se qualcuno mi dice: quello che io intedo E' L'OPERA, E' IL CANTO. Tutto il resto no.


Potrei risponderti sostenendo adversus te lo stesso argomento che tu utilizzi contro di me: ti limiti a ripetere che è giusto in assoluto il TUO modo di intendere l'opera, ecc., ecc.
A me pare che ognuno cerchi di affermare il proprio modo di concepire le cose. Più si argomenta a sostegno delle proprie tesi e più diventerà accoglibile quanto si propone o almeno sarà necessario confrontarcisi. Che amo un certo modo di intendere l'opera è chiaro come il sole. Non è vero però che il resto non mi interessa. Mi interessa eccome!!!!!!!!!!!! A Livorno nel 2007/2008 venne dato Dido et Aeneas di Purcell in dittico con Satyricon di Maderna: dopo la rappresentazione mi trattenni con una firma de l'Opera il quale diceva che sarebbe stato il caso di bruciare tutto perché spettacoli vocalmente indecorosi (il riferimento era a Purcell). Risposi che, sebbene la caratura vocale degli interpreti non fosse proprio entusiasmante (proprio no) bisognava assolutamente che si dessero tali opere, soprattutto con l'idea di proporre ad un pubblico di provincia esperienze culturali comunque importanti con cui, altrimenti, sarebbe privo di contatto. In certi casi è la rappresentazione "quasi" comunque sia, che è importante, non l'elemento esecutivo. Ma qui stiamo parlando dei massimi sistemi e allora, ritengo, bisognerebbe pretendere ciò che la scuola italiana ha sempre predicato e che dovrebbe essere la prima preoccupazione. Solo applicando tutte le raccomandazioni sull'immascheramento del suono, il sostegno del fiato, il canto a fior di labbro, il tener leggeri i centri ecc.. la voce circola come si deve in teatro. Altrimenti circola come gli pare e a questo punto va bene quasi tutto. Anche la Silja in Macbeth!!! Naturalmente tutto questo ha a che fare con la capacità di leggere le esecuzioni da parte del pubblico, del fatto che un tempo l'opera era popolare ed oggi non lo è più perché non si sa bene cosa sia popolare e cosa non lo sia e (e se abbia un qualche senso porre la questione in questi termini), cosa sia d'elite e cosa non lo sia più. Bisognerebbe tirar dentro una riflessione sul rapporto tra udito e suono, tra recettività auditiva odierna e d'un tempo, un discorso sull'inquinamento sonoro, sulla naturalezza o meno della relazione tra (già detto nella discussione sull'amplificazione) emissione del suono atraverso la voce e orecchio....

Sono con te nell'affermare che il canto non è nell'opera un elemento secondario.


Cavolo che concessione!!!!!!!!!! Sono frastornato da tanta generosità!

Mi distacco invece se qualcuno afferma che il canto è "prioritario" rispetto a Teatro e Musica.


I CD si odono e non si vedono: in questo modo posso capire cos'è un'opera. I DVD invece non si guardano con l'audio azzerato. O no?

No, mi spiace. L'opera è nata come genere di teatro e musica, e come tale è rimasta in vita per quattro secoli, non come scusa per sentir cantare.


Qui siamo d'accordo. L'idea originaria era quella. Pertanto, se allarghiamo l'orizzonte, possiamo eventualmente parlare di concezione prioritaria, nella rappresentazione, relativamente al periodo di appartenenza delle opere. Ci sarà pure un criterio prioritario o una costellazione di criteri di riferimento nell'eseguire I Puritani che forse non sono quelli che vanno bene per rappresentare Mosè e Aronne, che non vanno bene per Il mondo della luna, che forse non sono è quelli che vanno bene per Tristan und Isolde. Ma in quasi tutti questi casi una tecnica esecutiva alla Kraus o alla Bergonzi /non voglio dire che Kraus sarebbe stato un grande Tristan, ovviamente) rimane una specie di stella polare.

E' il pubblico che, da svariati secoli in qua, seleziona i suoni operistici. E' il pubblico che ne valuta l'efficienza, il potenziale, il fascino.
Se il pubblico rifiuta un suono, esso non entrerà nel bagaglio dei suoni "consentiti" e non sarà ammesso nelle scuole.
Viceversa è il pubblico che autorizza i suoni nuovi e li fa "passare" come giusti.
Niente di più ovvio: a chi, se non al pubblico, è rivolto il canto? Chi dunque, se non il pubblico (anzi i pubblici della storia) è autorizzato a decidere la proprietà o meno dei suoni, la loro forza emozionale o evocativa?
Non è una domanda retorica: è una domanda seria, Teo.
Ammesso che ci siano delle regole, chi le ha fissate secondo te?
Dio? Il Logos? chi?
Chi se non la "consuetudine" derivata da una scelta originaria formulata dal pubblico?


A questo rispondo domani. Si tratta di una questione delicata e complessa. Ora è tardi e ho sonno. Buonanotte. FRITZ
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Re: I miti di Celletti

Messaggioda MatMarazzi » dom 25 apr 2010, 13:59

Tucidide ha scritto:La risposta dei molti che non sono concordi è più o meno la seguente: "il pubblico, in quanto incolto, diseducato, disabituato all'arte, scambia per buoni suoni che non lo sono, e seguendo i comunicati stampa delle agenzie e le pubblicità patinate si convince della bontà di questo o quel suono."
In assoluto, credo che la tua posizione sia la più giusta e storicamente fondata. Certo, però, alle volte lo storicismo è proprio difficile da professare.


Caro Tuc,
il problema di sostenere posizioni relativiste è che molti interlocutori le scambiano per nichiliste.
Essi hanno la sensazione che, senza i loro comodi "dogmi", non resti più niente, niente a cui aggrapparsi, la totale anarchia.
Così, se uno afferma che il canto non ha basi "metafisiche", se uno li priva dei loro facili dogmi cellettiani... essi si terrorizzano, perché pensano che - ad esempio - un perfetto dilettante, un puro malcantista potrebbe presentarsi a teatro, sbraitare malamente e, dato che non ci sarebbero più le regole, non sarebbe più possibile distinguerlo da un vero artista.
Ciò che i dogmatici non capiscono è che c'è una via di mezzo fra il dogma e il niente, due concetti che - a parte nella religione - sono assolutamente equivalenti. Nell'Universo non c'è l'uno, come non c'è l'altro.
Esiste solo la via di mezzo: quella per cui le cose "ci sono" ma non sono assolute.
Per fare l'esempio (molto caro sia a me, sia a te) della lingua, il fatto che non esistano "regole a priori" nè su come una lingua nasce, nè su come si sviluppa, non toglie che essa (la lingua) nel frattempo "esista", sia pure mutevole, in evoluzione, e che ponga convenzioni più o meno condivise fra i parlanti e che - finché non saranno cambiate - manterrano la loro relativa stabilità. Queste convenzioni (non essendo dogmi) possono evolvere, possono modificarsi, possono col tempo contraddirsi, ma finché ci saranno saranno proprio loro a consentire la "comunicazione" (che è l'unico fine di ogni lingua).
Se non ci fosse - anche a livello linguistico - questa "via di mezzo tra l'Assoluto e il Niente, noi non potremmo parlare, nè comunicare.
La "via di mezzo" esiste per ogni linguaggio, anche quello artistico, anche per il canto classico.
Per inciso, è ormai convenzionalissimo anche il Declamato! E' un secolo e più che esiste...
Solo un ingenuo come Celletti poteva chiamare "eterodosso" il canto di un declamatore.

Ribadisco che io non invito affatto all'anarchia, a prescindere dalle nostre abitudini d'ascolto, dalle nostre esperienze, dalla conoscenza delle varie scuole di canto tradizionali (a loro volta sviluppatesi da secoli di contributi e sperimentazioni, come il Belcanto e il Declamato, che si tramandano di generazione in generazione da moltissimo tempo, sempre aggiornandosi sui nuovi stimoli). Tutt'altro: tutto ciò ci aiuta a formulare i giudizi, perché - per quanto convenzionale e non metafisico - anche il canto classico è un linguaggio.Conoscerne le convenzioni ci serve a capirlo.
E' destinato ad evolvere anch'esso ovviamente, ma non sul "niente" (anche l'italiano o il francese non evolvono sul niente), bensì sulle tradizioni precedenti.

La consocenza della tradizione, la forza dei nostri gusti, persino il rimpianto di un certo modo di cantare oggi tramontato... non sono altro che il nostro modo di partecipare alle "convenzioni" linguistiche del canto classico ed è perfettamente normale che condizionino il "nostro" giudizio individuale.
Il quale giudizio conta ben poco da solo (se non per noi); ma conta invece moltissimo quando si fonde (come giudizio collettivo) a quello di tutti gli altri fruitori del genere "opera" (ossia i parlanti di questa particolare lingua).

Per come la vedo io, giudizi collettivi sono sintesi possenti, i veri motori dell'evoluzione: solo loro hanno la forza di condizionare la storia del canto e di imprimere ad essa eventuali sviluppi.
Qualche ingenuo - come tu scrivi - afferma che i "pubblicitari" e gli agenti hanno il potere di condizionare il pubblico e i suoi "giudizi collettivi"?
Che ingenuità... :)
E' vero il contrario, semmai... I pubblicitari, gli agenti, i discografici hanno il sacro terrore dei "giudizi collettivi"; sono loro a farsene condizionare!
Nessun agente sosterrebbe mai un artista vistosamente in contasto con gli orientamenti dettati dai pubblici (intesi appunto come sintesi di tantissimi giudizi individuali). Se gli agenti si sono buttati come falchi sui casi di Netrebko o di Kaufmann è perché sapevano (è il loro mestiere) che essi avevano le caratteristiche giuste, ci piaccia o meno, per andare incontro al giudizio "collettivo" del pubblico.
Anche gli artisti, per quanto geniali e rivoluzionari siano, non hanno il potere, nè il coraggio di sfidare troppo i giudizi collettivi.
Possono cambiare le tradizioni (e lo fanno!) solo inserendosi in esse, calandosi nelle consuetudini linguistiche (che permettono loro di essere anzitutto accettati) e da lì facendo un passettino alla volta, aspettando che il giudizio collettivo "approvi" ogni passettino, prima di passare a quello successivo.

Veniamo al tuo Idomeneo bolognese.
Faccio davvero fatica a credere che il pubblico bolognese (fra l'altro condannato alla provincia da una programmazione dissennata, ormai da vari anni) sapesse chi era la Gulin, o avesse letto di lei chissà quali panegirici sulla stampa specializzata.
Se l'hanno applaudita evidentemente avevano altre ragioni. Ma il "pubblico di Bologna" è da solo in grado di rappresentare un tipo di "giudizio collettivo"?
Già perchè un teatro o una città (specie se isolati e fuori da una dialettica più vasta) non hanno la forza di condizionare alcunchè.
Chiediti perché la Gulin (che secondo te non sa cantare) non è una stella del firmamento operistico, benché applaudita a Bologna?
E perché al contraio José Cura (che secondo Teo non sa cantare) lo è?
Forse perché c'è un "giudizio collettivo" assai più vasto e potente intorno a Cura, di quanto non ci sia (Bologna a parte) intorno alla Gulin... :)
Io credo che gli applausi di Bologna, come i fischi di Milano, contino quasi nulla... Perché per costituire un giudizio collettivo non basta una città, non basta un teatro, specie se - ripeto - essi sono al di fuori della vera sperimentazione, della vera ricerca.

Veniamo a Fritz.

Fritz Kobus ha scritto:prima o poi ci dovremo incontrare; magari mi iscrivo al tuo club e vengo a una bella rappresentazione in Inghilterra o in Germania, così litighiamo per qualche migliaio di Km all'andata e qualche migliaio al ritorno. Sotto ti rispondo come riesco e posso.


:) L'idea di incontrarsi è ottima (magari proponendo finalmente quella replica del ritrovo "Operadisc" che molti iscritti invocano da tempo). Però ti deluderei: io sono più efficace per iscritto che a voce! :)

Mi riferivo a quanto mi ero permesso di scrivere su Pattiera che avevo (io), nel repertorio italiano, confrontato con italiani. Bagnoli (lui) ha espresso la sua opinione su Pertile confrontandolo (lui per primo) con Jadlowker e company, non io. Proprio con Wittrisch, Jadlowker e Roswaenge avrei (io) misurato Pattiera nel repertorio non italiano o, italiano, ma cantato in tedesco (lo farò appena ne avrò tempo). Obiezione respinta!!!!!!!!!!


E' vero che essere tenore in Italia fra le due guerre era ben diverso che esserlo in Germania. La scuola tedesca infatti era ...più avanti su diversi fronti, ad esempio sul rispetto dalla partitura, sull'espressione più lucida e meno retorica, sul maggiore rispetto del dettaglio musicale. I nostri tenori (non per colpo lora, ma in senso generico della nostra scuola) era impressionanti dal punto di vista tecnico, ma meno curati musicalmente e più facilmente schiavi di sottolineature espressive oggi molto, ma molto, superate.
Alle orecchie di un ascoltatore moderno, inutile negarlo, i tedeschi degli anni 20-40 risultano più interessanti all'ascolto - persino in Verdi - degli Italiani coevi. Pertanto sono d'accordo con te che nel confrontare gli taliani e tedeschi dell'epoca occorra considerare la tare rispetto alla diversa "modernità"delle scuole e alle diverse esigenze dei pubblici.
E' giusto dire che certe "pesantezze" espressive e compiacimenti arzigogolati di Pertile non vanno imputati solo a lui (ma a tutto il contesto in cui agiva), mentre alcune "modernità" sorpendenti di Wittrich o Roswaenge non sono solo merito loro, ma di tutto il mondo teatrale e musicale in cui agivano (con il pubblico che era abituato a pretendere in Verdi lo stesso rigore che si pretendeva nelle liederabend di Schubert).

Detto questo, è anche mia opinione che il grande Pertile non abbia veramente capito se stesso e il proprio smisurato potenziale espressivo.
Io lo considero un po' un fallimento discografico (aspetta a scandalizzarti... leggi fino in fondo :) ), nel senso che dotato di intuito e strumenti espressivo-musicali del tutto fuori dal comune, avrebbe solo dovuto trovare i ruoli giusti in cui riversarli.
Culturalmente e umanamente Pertile non era eroico, non era nè giovane, nè giovanile, non era nè irrequieto, nè controcorrente. Era l'ipostasi del distinto signore da anni 20, con completo bianco e bastone, tanti chili di troppo, più intelligente che romantico. Anche il suo canto, dalle sbalorditive suggestioni dinamiche e dai chiaroscuri infiniti, aveva un qualcosa di algebrico, di raffinatissimo e decadente insieme, che sembrava alludere a sommovimenti sotterranei, intellettuali, persino inconfessabili.
Grandissimo attore (in questo sono tutti concordi), grandissimo musicista, glorioso interprete di maschere e "doppi sensi" (espressione che uso senza alcun intento volgare) sarebbe potuto essere il prototipo di un tenorismo completamente diverso e innovativo, tutt'altro che giovanile e romantico, ma piuttosto con le lacerazioni e le sofferenze (o gli odi, le paure, i furori nascosti) del tranquillo "borghese" novecentesco.
Non è un caso che egli sia stato uno dei primi Erodi di Strauss in Italia. E nemmeno che il suo trionfo più spettacolare l'abbia colto in una parte di sconvolgenti doppiezze come il Nerone di Boito. E nemmeno che lo smaliziatissimo pubblico di New York abbia riservato freddezza al suo Cavaradossi, mentre ha riservato un successone al suo Grigori del Boris.
Purtroppo Toscanini non ha capito niente di Pertile. Ne ha colto le sconfinate risorse drammatiche e musicali e ha pensato bene di indirizzarle proprio dove non servivano a nulla. Nei ruoli verdiani ad esempio (i Manrichi, i Radames) che sarebbero dovuti essere il triofno della ribellione, dell'inquietudine, della giovinezza instabile e irruente. Nei ruoli Duprez (Lucia), prototipi di una violenza tenebrosa e aggressiva che rappresentava l'anima nera del Romanticismo. Nei ruoli più sognatori e controcorrente del Romanticismo, come Lohengrin, o i Maestri Cantori, in cui anche solo fisicamente - per non parlare della ricercatezza antichissima del canto - Pertile faceva sembrare Beckmesser un giovinastro rivoluzionario.
Non gli è certo saltato in mente di sfruttarlo nei più complessi personaggi Nourrit (la Juive, Poliuto...), nè di osare la carta di Otello o di Loge, ovviamente negli anni buoni. Alle prese con un eroismo che non gli era naturale, Pertile pestava di singulti e singhiozzi, di enfasi stracariche quanto false, innaturali, di compiacimenti vocalistici che ledevano (anche musicalmente) la veemenza semplice e diretta di questi personaggi.
Ecco perché ho parlato di fallimento: perché ascoltando il 90% delle sue incisioni soffro a pensare allo spreco di questo sconfinato talento, alle prese con un mondo che non era il suo. E francamente, in questi casi, l'immagine del Gallo cedrone non mi pare così fuori posto.

Stai a vedere che il belcanto è diventato il modo "scoretto" di cantare. Se è un'opinione facilmente smontabile mi basta citarti: circostanziare per favore. Obiezione respinta!!!!!!!!!!!!!!


Ecco un buon esempio di quel che dicevo sopra a proposito del timore che i dogmatici provano di fronte al relativismo! :)
Se non ci sono i dogmi, allora c'è il nulla.
Se il Belcanto non è IL canto corretto, allora non può che essere scorretto.
Ovviamente non ho mai detto questo.
Il Belcanto è UN modo (correttissimo) di cantare, ma in milioni di anni di storia umana (già perchè il canto esiste come forma d'arte fin dalla preistoria) tante altre tecniche canore (altrettanto corrette) sono state elaborate. E se anche prendiamo solo la tradizione operistica (e i suoi quattro secoli) vediamo che anche qui esistono una marea di tradizioni e tecniche, ben oltre il Belcanto.
Il Belcanto non è l'unico modo di cantare elaborato dalla nostra civiltà, nè dal mondo dell'Opera; non è quello più giusto (se non nel repertorio belcantista); non è nemmeno lui intangibile da evoluzioni e cambiamenti radicali (il già citato esempio dello strappo tenorile degli acuti di petto, che ha sconvolto la tecnica tradizionale negli anni '830, lo dimostra).
Quindi che sia IL modo corretto di cantare è sbagliato, perché vorrebbe dire che le altre tecniche di canto, anche quelle millenarie (dalle trifonie dei monaci tibetani agli attuali rappers) sono scorretti e che lui stesso è inalterabile; è ugualmente falso affermare che sia IL modo scorretto.
E' semplicemnte UN modo di cantare, particolarmente glorioso, perssoché insostituibile per una larga fetta del repertorio operistico sette-ottocentesco, benchè a sua volta soggetto a cambiamenti e contaminazioni molto sensibili.

Potrei risponderti sostenendo adversus te lo stesso argomento che tu utilizzi contro di me: ti limiti a ripetere che è giusto in assoluto il TUO modo di intendere l'opera, ecc., ecc.


Già, ma c'è una differenza! :) Tu affermi che, al di fuori di questo, c'è la "lesione" di "ciò che chiamiamo opera".
Ne fai quasi un "principio". Io al contrario diffido - per... principio - delle questioni di principio.
L'arte, la Lingua e tutto ciò che riguarda l'umanità... procede fregandosene dei principi, secondo criteri evolutivi che è interessante studiare, si possono anche disapprovare (per quel che vale), ma che non si possono assolutamente arrestare.

Solo applicando tutte le raccomandazioni sull'immascheramento del suono, il sostegno del fiato, il canto a fior di labbro, il tener leggeri i centri ecc.. la voce circola come si deve in teatro. Altrimenti circola come gli pare e a questo punto va bene quasi tutto. Anche la Silja in Macbeth!!!

Bene, allora invece di fare l'esempio del Macbeth, facciamo quello di Jenufa, opera bellissima che amo quanto il Macbeth e che richiede alla sua protagonista - la Sacrestana - un impegno vocale non inferiore a quello che Verdi richiede alla sua Lady.
La differenza è che è un'Opera scritta per un canto declamatorio.
La gloriosa vocalista Olivero - artista che amo molto - risultò semplicemente catastrofica alla Scala, forse persino più imbarazzante della Silja in Lady Macbeth. Per fortuna se ne avvide e non cantò più il ruolo.
Al contrario la Silja, declamatrice favolosa, "canta" questo ruolo infinitamente meglio di qualsiasi Olivero, non ha bisogno di "parlare", urlare e ringhiare (come la Olivero), non stecca i si naturali e i do bemolle (come la povera Olivero, che si schianta sui "limiti" della sua tecnica, almeno per questo personaggio) e ha tenuto il ruolo in repertorio per venticinque anni.

Vuoi un'altro esempio? La Gencer ha cantato l'Angelo di Fuoco solo nel 59 in due produzioni, poi mai più. Ha sempre dichiarato che questo ruolo le spaccava la voce, che non era in grado di affrontarlo... Che si è portata dietro per mesi un senso di fatica nella voce, dopo averlo affrontato.
Ha anche dichiarato, in un'intervista, che dopo quell'Angelo di Fuoco non è più stata in grado di filare i do sopracuti.
Strano... per una che cantava i più pesanti ruoli possibili (Lady Macbeth, Norma, Roberto Devereux). Come si può pensare che la povera Renata dell'Angelo di Fuoco sia tanto più spaventosa di Norma o Lady Macbeth?
:) non lo è...
semplicemente richiede una tecnica declamatoria che la Gencer non possedeva! :)
Alla fine la sua Renata è splendida, ma si sente benissimo che la sua voce è tecnicamente "indifesa" rispetto a questa scrittura e non avrebbe retto altre dieci recite di questo personaggio. Se senti la Silja nell'angelo di Fuoco ti accorgi che se lo mangia in un boccone (anche se poi crolla in Lady macbeth).
In certe opere è proprio il Belcanto a essere il modo "scorretto" e "suicida" di cantare.

Povero me, ho scritto la solita lenzuolata.
Perdonatemi.
Un salutone,
Mat
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Re: I miti di Celletti

Messaggioda FRITZ KOBUS » lun 26 apr 2010, 11:02

Esiste solo la via di mezzo: quella per cui le cose "ci sono" ma non sono assolute.


Come affermazione relativista non c'è male!

Al di là della polemica spicciola (ma divertente) attraverso cui mi sono dilettato a duellare con Mat anche nella discussione sull'amplificazione (purtroppo mi rendo conto di avere una tecnica di schermidore alquanto rozza rispetto a lui) le idee di relativismo e dogmatismo (ma il dogmatismo non è forzatamente il contrario di relativismo e la caratterizzazione positiva del relativismo e negativa del suo contrario supportata da Mat è tutta da discutere) sono centrali nella visione delle cose e quindi anche della nostra concezione di cos'è l'opera. A mio modo di vedere l'opera, sia sul piano esecutivo, che su quello creativo, ha seguito un percorso evolutivo sostanzialmente "armonico" fino a non troppi decenni fa e, sostanzialmente, i due piani sono andati di pari passo. Da quando l'opera ha smesso di essere un genere popolare per diventare un genere di elite ha cominciato a crearsi un sistema esecutivo sempre più disassato rispetto al processo evolutivo "armonico" cui mi riferivo sopra. Qui entra in gioco un concetto, che mi sembrò corretto richiamare nella parte riservata al linguaggio e alle regole grammaticali (non a caso Mat ha parlato delle lingue) e cioè il "tempo" attraverso cui avvengono i cambiamenti. Oggi la tecnologia, la manipolazione, l'idea dell'intervento diretto, intenzionale e profondo su ciò che è processo naturale ha talmente modificato (e sempre più lo farà) il rapporto tra essere umano e natura da rivoluzionare in modo continuativo ogni equilibrio di volta in volta raggiunto. Tale processo c'è anche nell'opera e avviene con una velocità ed una veemenza cui non posso accondiscendere. Pertanto mi oppongo. So perfettamente che verrò travolto, ma non di meno mi oppongo e mi opporrò a quella ideologia relativista che lacia aperta la porta al cambiamento comunque sia, cambiamento che promana a valanga incessante e perseverante ogni giorno che passa. Sono un inattuale, lo so, ma vorrei che ci rispettassimo di più e accogliere le mutazioni a macigni (e spesso sono mutazioni fini a stesse) a mio modo di vedere non fa bene a nessuno, nemmeno a Mat che, per esempio, altrove si era dichiarato un entusiasta dell'ebollizione segnica prodotta dal web. Non per questo sono un fanatico dell'immobilismo; ma nell'opera mi piacerebbe tanto che rimanessimo all'interno delle coordinate sviluppatesi a partire dalla camerata de' Bardi fino allo sprechgesang, per passre attraverso il recitar cantando, i castrati, il canto fiorito, il declamato, dove vedo una continuità o, meglio, opposizioni e fratture "entro" una cornice di riferimento stabile. Oggi siamo fuori da questa cornice e ci siamo finiti in un nanosecondo, pertanto mi oppongo. Accolgo perciò il richiamo cellettiano ad una "metafisica del canto", come la definisci, non tanto per ipostatizzazione meccanica e preconcetta di ciò che piace a me, ma perché la ritengo giustificata dal percorso plurisecolare che ha compiuto l'arte canora.

Nel complesso mi piacciono molto le tue riflessioni argomentate su Pertile, ma ritengo che le osservazioni siano eccessivamente ancorate al punto di vista contemporaneo che, proprio in nome del relativismo a cui ti sei sopra appellato, dovrebbe essere, quale strumento di valutazione critica, utilizzato con circospezione. Rimane indubbio che alcune caratteristiche espressive dei cantanti italiani tra il Venti e il Sessanta del secolo scorso appaiano oggi più stantie di Matusalemme. I famosi "singhiozzi" o la "lacrima nella voce", per esempio, sono soluzioni standardizzate e posticce oggi indigeribili. Ma, nel complesso, ribadisco l'impressione ad una inclinazione esterofila che pone tendenzialmente in una miglior luce ciò che vien da fuori rispetto a ciò che deriva dall'Italia. Perché è indubbio che la Fedora cantata da Masini, pur con tutti i suoi singulti, sia quanto di meglio sia possibile trovare in quel repertorio, così come il suo Alvaro. Ai nostri orecchi forzatamente migliore, di qualsiasi tedesco, per quanto grande, p. es. non padrone della lingua. La dizione, tanto fondamentale. Gli stranieri che l'hanno imparata sono riusciti a farlo perché sono stati gli italiani a insegnar loro come si articolava la parola. Proprio Toscanini ad esempio. Quanti anglofoni riescono a scandire e sillabare con correttezza la lingua italiana come Peerce per es.? E quanti invece ne sono rimasti estranei nonostante carriere meravigliose?

Sulla Olivero, la Silja, la Gencer (ma su tutti i cantanti) potremmo azzuffarci senza fine. Volendo, già che c'eri avresti potuto citare anche la Medea della Olivero.

Celletti aveva non tanto nell'assolutizzazione dei principi, quanto nell' assolutizzazione della corretta pratica esecutiva da cui non si poteva, a suo dire, deviare d'un millimetro, il tratto indigeribile. Indicare l'interpretazione discografica di riferimento e dire "Si canta così; il resto davanti al plotone d'esecuzione"; schizzare veleno anche ladove, pur essendoci limiti e mende, bisognava solo ringraziare dell'esistenza di certi artisti. C'era proprio bisogno di definire con epiteti a un micron dalla pura offesa Bastianini e del Monaco? Ma anche nel caso di cantanti che sono totalmente fuori dalle mie corde, e che sicuramente hanno proposto modelli di riferimento tutt'altro che da seguire, bisognava esprimersi con tanta acidità? E dire che il verismo era la iattura più grande che fosse comparsa dai tempi del diluvio universale? Cose già dette comunque.

Grazie per la ricchezza degli spunti. Saluti. FRITZ.
FRITZ KOBUS
 
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Re: I miti di Celletti

Messaggioda Pruun » mar 27 apr 2010, 16:03

Di solito non sono quasi mai d'accordo con Mat, lui lo sa, io lo so, ogni tanto ci pizzichiamo (lui mi pizzica di più perché io ho meno pazienza di lui a scrivere) e va bene così.
Ma su una cosa mi sento di essere totalmente d'accordo con lui: non ci si pone di fronte al cambiamento di molti in pochi.
Si è citata l'ebollizione segnica del web: è indubbio che da un mio studente non accetterei un tema con -_-' :-) o_O... ma è anche indubbio che questo codice permette al mondo di oggi una comunicazione eccellente a vari livelli.
Come tutte le cose credo che ogni cambiamento abbia dei lati positivi e negativi... è inevitabile.
Non mi ricordo se era già stato accennato, ma quando è stata eliminata la j dalla scrittura (la i di "gioia", fino a molti anni fa scritta "gioja", è in effetti diversa da quelle di "Ipazia") c'è stata una perdita, una perdita di accuratezza, ma si è guadagnato dal punto di vista della semplificazione.
Quando il latino è trasmigrato nelle lingue romanze sono spariti quasi sempre i casi... una perdita da un lato e un guadagno dall'altro...
Credo che sia inevitabile.
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Re: I miti di Celletti

Messaggioda MatMarazzi » sab 01 mag 2010, 16:12

Fritz Kobus ha scritto:A mio modo di vedere l'opera, sia sul piano esecutivo, che su quello creativo, ha seguito un percorso evolutivo sostanzialmente "armonico" fino a non troppi decenni fa e, sostanzialmente, i due piani sono andati di pari passo. Da quando l'opera ha smesso di essere un genere popolare per diventare un genere di elite ha cominciato a crearsi un sistema esecutivo sempre più disassato rispetto al processo evolutivo "armonico" cui mi riferivo sopra.


Caro Fritz,
premetto che mi scuso del ritardo con cui rispondo.

tu vedi la storia dell'Opera da un determinato punto di vista (quello dell'epoca in cui te ne sei appassionato e a cui hai deciso - in tutta libertà - di fermarti).
Ti vogli indietro, al passato, e lo appiattisci in un'immagine "statica" (o più o meno statica) che non è altro che la tua visione.
In pratica hai fissato (ovviamente arbitrariamente, ma non c'è nulla di male) un punto di inizio e un punto di fine: il punto di fine è quello che hai stabilito tu.
E' ovvio che ti paia "armonico" il processo storico precedente, dato che tu hai stabilito - ripeto, in modo del tutto arbitrario - che ciò che sta dentro a questi paletti (seppure entratovi a secoli di distanza) sia lecito, ciò che vi entrerà no: tutto quello che viene dopo la tua "fine", ossia è nuovo, apparirà così in contrasto rispetto al quadretto statico che ti sei fatto dei quattro secoli precedenti.
Ma quante cose "nuove" sono apparse in quei quattro secoli, anche se tu le consideri "lecite" perché all'interno del cammino storico che hai deciso di considerare "armonico". Quante rivoluzioni (ben maggiori di quelle a cui assistiamo oggi) si sono operate nel corso di questi quattro secoli?

E' questo il punto: sei davvero sicuro che i quattro secoli d'Opera suddetti siano proceduti in modo tanto armonico come tu vuoi costringere a credere?
Non pensi che lo stesso "spaesamento" tuo, questo senso di "fine del mondo" lo abbia provato anche il pubblico dei primi del '900 che a un solo decennio di distanza ha lasciato Verdi, applaudendo il Falstaff, e si è ritrovato nella Salome di Strauss o nel Pelleas di Debussy?
Non pensi che davvero non c'è proprio nulla (ma proprio nulla) di armonico fra la prima rappresentazione, se non sbaglio in un contesto scolastico, della Dido and Aeneas di Purcell e il Tristano di Wagner, due secoli dopo? Come si sarebbe sentito il pubblico ottocentesco del Tristano (già sconvolto da ciò che sentiva) se lo avessimo catapultato nel '600 per la prima di Dido and Eaneas e (soprattutto) viceversa?
Come avrebbe reagito il tuo Mascagni se avesse sentito cantare un castrato settecentesco? e come avrebbe reagito Handel se avesse sentito cantare un tenore verista di quelli che piacevano a Mascagni?
Ci sono stati, in questi quattro secoli, sconvolgimenti pazzeschi, che hanno ribaltato l'immagine dell'Opera, il suo tipo di fruizione, l'atteggiamento del pubblico.
Ma per noi (che li appiattiamo in un recinto di cui noi - e non l'Opera, non la Storia, non la Civiltà - siamo gli artefici) sembrano tutte cose normali... perché, venendo dopo, le diamo per scontate... mentre non diamo affatto per scontato ciò che accade da oggi in poi.

E' troppo comodo vedere questi "sconvolgimenti" passati come parte di un unico pacchetto del passato, ben confezionato, solo perché abbiamo la fortuna di vederlo dall'alto del nostro 2010.
Nell'anno 3000 ci sarà sicuramente qualche appassionato d'Opera che vedrà - dal suo punto di vista - l'opera come un tutto "armonico", in cui i cambiamenti della nostra epoca saranno assimilati agli altri cambiamenti che l'Opera ha subito nel tempo...
E probabilmente anche lui si lamenterà che l'Opera nel 3000 si starà distaccando da tutto quel "percorso armonico" che era stata fino a lui....

Resta infine da vedere se quelli che tu consideri "elementi di continuità" lo siano davvero.
Come facciamo a provarlo?
Come possiamo affermare che davvero da Monteverdi a Berg (come diceva Celletti, dimostrando che la sua cultura musicale arrivava a stento a Berg) si sia sempre davvero cantato allo stesso modo.
Come facciamo a dimostrare che i creatori di Monteverdi, nella Venezia di primo seicento, cantassero esattamente con la stessa tecnica dei creatori del Parsifal a Bayreuth (non avendo sentito nè gli uni, nè gli altri).
E' qui che le "metafisiche" sono rischiose... Quando pretendono di leggere la storia prescindendo ...dalla storia.

Un buon esempio è quello della "metafisica" cellettiana...

Accolgo perciò il richiamo cellettiano ad una "metafisica del canto", come la definisci, non tanto per ipostatizzazione meccanica e preconcetta di ciò che piace a me, ma perché la ritengo giustificata dal percorso plurisecolare che ha compiuto l'arte canora.


Eh no! Tu puoi accettare la "metafisica" Cellettiana come si può accettare qualsiasi religione.
Ma se si afferma che esse (le religioni) sono garanzie di Storia, allora no...
La "metafisica" cellettiana non escrive affatto il "plurisecolare percorso dell'arte canora", anzi lo nega, lo contraddice, lo fa a pezzi.

Quella cosa "terribile" che si chiama "declamato wagneriano" esiste, è praticata da migliaia di artisti, è amato dai pubblici di tutto il mondo, e lo è da più di un secolo. Esso è STORIA ed è storia del canto, non da oggi (in questo orrido presente pieno di cambiamenti che ci porteranno alla perdizione) ma da almeno 120-130 anni.
Celletti lo nega. Celletti finge che non esista. Quello non è canto... non è la storia.
E lo stesso fa con tutti i cantanti che non rientrano nella sua metafisica (quelli almeno che conosce... che ha sentito, perché di come si cantava veramente nel '600 non ne può sapere mezza).
Gente come Philip Langridge, Astrid Varnay, Victoria de Los Angeles, Mario del Monaco sono "patrimonio storico" della storia del canto e della storia dell'opera.
Loro hanno fatto la Storia del canto. Celletti no. Lui si è limitato a negarla per inseguire i suoi facili fantasmi.

La "metafisica" di Celletti non nega solo l'evoluzione del canto (in prospettiva futura), ne NEGA PROPRIO LA STORIA, nega proprio quel plurisecolare percorso che - secondo te - egli descriverebbe.
Non mescoliamo Celletti con la Storia del Canto...
Lasciamolo nelle chiese dove si predica, fra un rosario e l'altro, la sua metafisica: "Credo in una sola tecnica, ecc... ecc... ecc..."

Sono un inattuale, lo so, ma vorrei che ci rispettassimo di più e accogliere le mutazioni a macigni (e spesso sono mutazioni fini a stesse) a mio modo di vedere non fa bene a nessuno, nemmeno a Mat che, per esempio, altrove si era dichiarato un entusiasta dell'ebollizione segnica prodotta dal web.


Ma che dici? Io ti rispetto eccome, come rispetto chiunque.
Ti confesso che mi piacerebbe di più rispettare semplicemente i tuoi gusti, le tue opinioni, le tue idiosincrasie... Su questo mi piacerebbe discutere... senza preconcetti, dogmi e millenarismi.
e invece mi tocca rispettare (ma faccio una gran fatica) anche il tuo bisogno di far assurgere i tuoi gusti (LECITISSIMI!!!) a metro di giustizio storico, se non universale.
Comunque non credere, non sei "inattuale"! :) Affatto...
Sono io ad esserlo: non c'è nulla di più inattuale (in tutti i tempi) di chi ritiene che il mondo, l'arte, il pensiero, la civiltà, la società, le lingue non si fermino a dove siamo arrivati noi, ma continuino il loro cammino, inarrestabili, sconvolgendo i paletti e i percorsi che noi avevamo pensato essere giusti e definitivi (e che ci consolava tanto pensare lo fossero).
Tu al contrario sei attualissimo... basta che fai un giro sui siti d'Opera o sui blog e vedrai che per mille persone che la pensano come te, ce ne sono ben poche che la pensano come me.
Sono io ad essere inattuale: in un mondo dove esiste solo il "passatismo" e il "futurismo", uno che crede a entrambi e non cerca "verità" e "definitività" in nessuno dei due è per forza di cose un inattuale.

Salutoni,
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Re: I miti di Celletti

Messaggioda FRITZ KOBUS » sab 01 mag 2010, 20:49

Caro Mat,
riprenderò gli argomenti che conduci per circostanziare meglio (spero che questa doiscussione interessi a qualcun altro oltre che a noi due, non interviene nessuno!) alcune mie posizioni e per controbattere (ovviamente!!!!!); adesso mi è impossibile. Un chiarimento immediato però è d'obbligo.


Sono un inattuale, lo so, ma vorrei che ci rispettassimo di più e accogliere le mutazioni a macigni (e spesso sono mutazioni fini a stesse) a mio modo di vedere non fa bene a nessuno, nemmeno a Mat che, per esempio, altrove si era dichiarato un entusiasta dell'ebollizione segnica prodotta dal web.

Ma che dici? Io ti rispetto eccome, come rispetto chiunque.


In questo caso non parlavo del rispetto tra noi due, che non ho mai messo in dubbio (anche in un paio d'occasioni dove avrei avuto voglia di ridurti in coriandoli!!!!!!!!!!!!!), ma del rispettarci noi tutti come esseri umani dotati (nonostante tutto) di intelligenza e ragione. Mi dispiace d'essermi espresso male e che tu abbia inteso mi riferissi a te e me. Saluti. FRITZ KOBUS
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Re: I miti di Celletti

Messaggioda Milady » sab 08 mag 2010, 20:26

Caro Fritz e cari amici,
effettivamente sarebbe necessario un bilancio globale dell'operato di Celletti.
Non credo di avere le competenze specifiche per fare bene questo bilancio , posso solo parlare delle mie reazioni personali e degli insegnamenti che ho ricavato dai suoi scritti.
La prima Bibbia del melomane fu per me un fulmine a ciel sereno: tutti i cantanti da me amati, Callas compresa, erano stati o bocciati o rimandati a Ottobre in un sacco di materie.
Cercai di mantenere la massima calma e la massima oggettività , e non fu facile, perché Celletti intingeva troppo spesso la sua penna nel fiele o nella derisione e il suo obiettivo - fare piazza pulita dei vecchi "miti" e sostituirne dei nuovi- era più che chiaro.
Anche io ritenni allora e ritengo ancora oggi che, in generale, l' impostazione del suo esame della vocalità dei vari cantanti fosse sostanzialmente giusta : ho imparato molte cose, come ad esempio un giudizio meno epidermico, ma i cantanti che amavo sono rimasti gli stessi, indipendentemente dalle bocciature cellettiane.
Quello che ho trovato discutibile è stato il suo eccessivo rispetto della partitura : bastava solo che il malcapitato cantante cpommettesse qualche peccatuccio anche veniale di omissione o mostrasse la minima incertezza per incorrere nei suoi strali censori.
Ed ho trovato ancora più discutibile il fatto che egli elevasse a modelli imprescindibili ed a canone indiscutibile solo chi rientrava nei suoi gusti , come è stato osservato giustamente,sin troppo analitici: giudicando infatti sostanzialmente solo in base all'ascolto dei dischi,non teneva infatti conto dell'impatto che artisti dotati di carisma hanno sul pubblico, indipendentemente dall'ossequio rigoroso della partitura .
C'è anche un altro lato che vorrei sottolineare.
Sapeva di avere una preparazione non comune e se ne servì per la sua maggiore creazione : se stesso nel ruolo di critico ferratissimo ,e altrettanto spietato nelle stroncature : in una parola, una figura veramente temibile per i cantanti.Parlo per esperienza : ho sentito parlare di Celletti con aria smarrita anche da cantanti navigati, così come ho sentito citare a memoria pagine intere delle sue recensioni - e con aria ispirata - dai suoi seguaci.
Seppe gestirsi alla perfezione in questo ruolo ,imponendosi all'attenzione del pubblico e della critica : per un certo periodo è stato l'indiscusso e temuto arbiter elegantiarum della lirica italiana, seguito da un gruppo di ferventi adoratori.Gruppo assolutamente autoreferenziale quanto devoto.
Non so se Celletti abbia esercitato un ruolo negativo sulla generazione di cantanti italiani dell'epoca del suo fulgore : è una domanda che pongo a voi : quale ruolo ha effettivamente esecitato Celletti su cantanti e critici?In Italia, naturalmente.
Buona serata a tutti
da
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Re: I miti di Celletti

Messaggioda Ebestignani » dom 05 feb 2012, 19:51

La mia famiglia era equamente divisa tra cellettiani e anticellettiani: mio padre e mia sorella aspettavano con ansia l'uscita di Discoteca Alta Fedelta',anzi il primo intratteneva con zio Rudy,come lo chiamate voi,un fecondo rapporto epistolare. Mio fratello e mia madre, distefanisti e tebaldiani accanitissimi,non lo potevano vedere per quanto era lungo.Io ero una bambina di 4-5 anni e ste litigate ad ora di cena mi davano un fastidio immenso,anche perche' ci si ritrovava sempre al punto di partenza. Quando,per ironia,io ho cominciato a studiare canto, con una voce strana che non riuscivano a classificare (Bechi,amico di famiglia,diceva che ero un mezzo,e credo che avesse ragione:io comunque mi ci sentivo :oops: ) ho cominciato a leggermi la Bibbia di Celletti, e mi sono trovata a volte d'accordissimo, a volte cosi' cosi',a volte per niente,come credo sia normale.La suddetta Bibbia arrivava proprio agli anni 80, tutto quello che e' venuto dopo non ha risentito affatto di quelle letture.Devo dire che pero'qualcosa mi si e' inciso dentro,un brutto peccato originale,vero Matt WSM e Pietro? :oops: tipo la diffidenza per i suoni aperti e il rancore per le voci troppo bianche o troppo dark: ad esempio,e se volete faccio mea culpa, la Silja,Langridge o un po' di Kaufmann non li riesco neppure ad ascoltare.Vi ricordate di quando chiamava i tenori nordici mozartiani e rossiniani ,ma anche Alva, a seconda dell'estro,passerottini cacaioli o San Luigino e Padre Ignazio? O la sua chicca finale recensendo mi pare la Varnay in una delle sue ultime incisioni( la Strega Marzipan dopo la laringotomia?)
Evidentemente i suoi effetti pescano anche nell'inconscio.
Ho ripreso questo thread cercando di recuperare notizie proprio sulla Dupuy,che non pensavo fosse una creatura sua.Lo apprendo adesso. Io vivo in Canada,purtroppo, e mi occupo di altro. Ma ho un paio di colleghi francofoni e melomani che mi parlavano,a cena e con 20 sotto zero, proprio della Dupuy. Cosi' l'ho risentita sul Divino Tubo.
E' stata una sorpresa,e la conoscevo solo per sentito dire. La Cuberli no,ho un ricordo indelebile di una sua splendida Bolena
e in sua difesa sfiderei il diavolo.
Ma tornando alla Dupuy,quanto e' durata esattamente? Sul tubo vedo cose che vanno dall'84 al 98.E' vero che ha smesso per salute? Quanti anni ha?
Era comunque una grande,no? Certo un timbro meno voluttuoso rispetto ad altre regalissime rossiniane,ma una signora cantante,con tutti i quarti di nobilta'. Un paio di settimane fa ho sentito Daniela Barcellona come Malcolm da Milano,mi sembra,
e mi pare che il confronto sia assolutamente impietoso.Non trovate? Per non parlare del Rossini eseguito da una cantante giovane e celebratissima,ma che fuori dal Barocco dovrebbe trovare i guinzagli,e parlo di quella musicalissima zanzara anophele che corrisponde al nome di Vivica Genaux.

Un abbraccio dai ghiacci (ma anche voi non state molto meglio,mi dicono)
Maria Chiara aka Zia Ebe. Cosi' avrete pure capito perche' mi chiamo Maria Chiara. Il massimo. Ma mi e' andata pure bene,potevo essere Renata Magda o Giuseppina.
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Re: I miti di Celletti

Messaggioda pbagnoli » lun 06 feb 2012, 19:38

Ebestignani ha scritto:

Un abbraccio dai ghiacci (ma anche voi non state molto meglio,mi dicono)
Maria Chiara aka Zia Ebe. Cosi' avrete pure capito perche' mi chiamo Maria Chiara. Il massimo. Ma mi e' andata pure bene,potevo essere Renata Magda o Giuseppina.

Cara Maria Chiara,
c'era qualcosa di immensamente bello nel fatto che Ebe Stignani fosse scesa dal Cielo e avesse scelto proprio il nostro forum per raccontarci le sue storie, per parlarci dei suoi amici cantanti di Lassù, per battibeccare d'opera. E Donna Ebe ci aveva portato anche la Callas, e poi chissà chi altro ancora...

Siamo contenti di conoscerti, infine; ma è un po' come se fosse la fine di una bella favola :(
Sai quando dici: non è vero, ma ci credo lo stesso?
Comunque:
:arrow: è bello conoscerti per nome, tra l'altro davvero bello
:arrow: ci dispiace per il freddo anche lì da te
:arrow: personalmente, non ho mai amato particolarmente la Dupuy, che pure rispetto profondamente come professionista ma che non mi emoziona. Non credo che sia la summa del cantar rossiniano; quanto meno, non lo è per me. Le preferisco altre cantanti
:arrow: la Barcellona. Non so come sia messa attualmente, ma sino a un po' di anni fa era una cantante per cui facevo follie. Tra l'altro è una (per me) gran bella donna, raffinata, spiritosa, elegante e simpaticissima. Trovo certe sue letture rossiniane (tipo Tancredi) assolutamente mesmerizzanti. E anche tecnicamente era davvero brava. Per me era davvero splendida, ma adesso è un po' che non l'ascolto per cui non saprei dire
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Re: I miti di Celletti

Messaggioda Ebestignani » mer 08 feb 2012, 21:52

Carissimo Pietro,sai che c'e'? Che era divertente ma mi piaceva di piu' poter venire ogni tanto a parlare con voi senza sforzarmi troppo le meningi: sto tutto il giorno sulle scartoffie e avendo un paio di colleghi piu' colti e fissati di me per quel che riguarda l'opera,la sera davanti a un piccolo canadianwhisky -fa freddo!!!- rielaboro e magari condivido con voi.
Per quanto riguarda la Barcellona, che ricordavo anch'io molto brava, sta succedendo qualcosa di strano.Ci pensavo sentendomi la registrazione del suo Malcolm italiano, quello di dicembre,credo,dove non mi e' sembrata affatto all'altezza della sua fama. E ci pensavo anche sentendola sul Tubo nel Favorita-Contest ( una roba stupida ma divertente)anche se cantare Donizetti e' un'altra storia. E' come se qualcosa si fosse scassato,anche stilisticamente.Prova un po' a risentirla.Era forse la peggiore di tutte. Fermo restando che,lasciatelo dire da una che proprio da mezzo studiava, sono cose di una difficolta' immensa dove basta un piccolo granello di sabbia per rovinare un congegno perfetto.
Certo rispetto alla Dupuy ha uno strumento privilegiato.Ma quella,diciamocelo, il suo lo padroneggiava proprio bene.Celletti qualche volta ci indovinava. Certe volte penso a cosa avrebbe detto dei cantanti odierni,e mi diverto in questo nonsense.Credo elogi assoluti per la Meier,elogi con qualche condizionamento per Stemme,Fleming,Di Donato e la Barcellona che ricordavo,alternanza di elogi e rimbrotti per la Dessay e la Larmor o come si chiama,pozione amarognola per Florez, stricnina per Hampson Terfel e Keenlyside,curaro puro- e pentothal - per JK. Chissa' se mi sbaglio.

Con affetto, e un saluto a tutti. Stavo meditando di scrivere qualcosa sul tuo interessantissimo post riguardante il baritono verdiano. Se non disturbo,ci provero' presto.

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Re: I miti di Celletti

Messaggioda pbagnoli » mer 08 feb 2012, 22:16

Maria Chiara, non solo non disturbi ma - credimi - adoro quello che scrivi!
Nessuno di noi qui ritiene di essere depositario della Verità.
Siamo appassionati, e da appassionati parliamo. Certo, c'è anche Matteo, ma lui è un caso a parte.
Scrivi tutto quello che vuoi, come vuoi, quando vuoi. E poi, ci fa solo piacere una presenza femminile. Una volta c'era Milady, ma è un po' che non scrive più... e mi manca!
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Re: I miti di Celletti

Messaggioda pbagnoli » gio 19 apr 2012, 20:04

Stamattina, approfittando di un inizio ritardato delle incombenze quotidiane, mi sono ripreso in mano il volume "Il teatro d'opera in disco" del vecchio Rudy.
E' proprio vero: gli anni passano per tutti.
Curioso che il mito di questo vecchio critico passi attraverso recensioni all'insegna del "non lo conosco" o frasi quanto meno curiose che fanno pensare.
Parlando di Helga Dernesch, per un paio di volte la definisce "un soprano lirico leggero". Dice anche, a proposito dell'incisione di "Tristan" di Karajan del 1972, "...la Dernesch è un'Isotta dalla voce chiara e sottile". Nel "Siegfried" sempre di Karajan "La Dernesch, con il suo timbro fresco e chiaro di soprano lirico, delinea una Brunnhilde fanciulla". Senza contare, nel "Crepuscolo": "Alcuni acuti suoneranno forzati, un po' fissi e quasi infantili" e "La Dernesch non ha una gran tecnica".
Curioso per una che è nata e finita come mezzosoprano, mettendo in mezzo un paio di ruoli da soprano Hochdramatische come Isolde e Brunnhilde...

Ma proviamo a ascoltare qualcosa. Ecco il Liebestod:

Adesso, con tutto il rispetto per il vecchio Rudy, questa è una voce di soprano lirico leggero, una voce chiara e sottile?!?
Questa è la voce di una fanciulla?

Ma andiamo avanti.
Questa è una Leonora di Vargas del 1961:

Sentite la scansione bruciante come ben si combina con il colore naturalmente malinconico. Certo, gli acuti sono un po' fissi come da tradizione declamatrice tedesca, ma per piacere! Non è la voce di una fanciulla!

Torniamo a Tristan.
Ecco il duetto con Vickers.
Non so, giudicate voi: forse l'uso di pianissimi e messe di voci invece delle trombonate care ai fan delle voci grosse così possono ingenerare il sospetto di un "lirico leggero", ma l'impostazione è chiaramente quella di un drammatico vero.


Insomma, continuo a pensare che zio Rudy, specie quando usciva dal suo seminato, non ne imbroccasse mezza.
E anche nel suo "territorio d'elezione" mi sembra ormai francamente superato.
Il suo tentativo di unificare sotto un comune denominatore tutte le scuole di canto porta come conseguenza l'elaborazione di assunti a dir poco fantascientifici, come quello di cui ho parlato qui sopra.
E' giusto ricordarlo come figura storica.
E, come tutte le figure storiche, superarlo
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Re: I miti di Celletti

Messaggioda VGobbi » gio 19 apr 2012, 22:22

Davvero dice cosi' Celletti sulla Dernesch?

Ha preso una cantonata mica da poco ... e dire che di professione faceva il critico musicale!!!

Comunque ti ringrazio di aver postato alcuni tra gli ascolti che piu' esaltano le qualita' vocal (la sua Isolde resta un'autentica pietra di paragone) i di un artista che ho sempre ammirato. Anzi ... diro' di piu' ... tra la Dernesch e la Nilsson, forever Helga!!!
Nemmeno noi siamo d'accordo con il gobbo, ma il gobbo è essenziale! Guai se non ci fosse!
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